sabato 10 agosto 2013

Della Provenza e oltre: Les Baux e Arles (4)

La Provenza  non è solo  lavanda e fiorellini sui tessuti e imposte tinteggiate di viola. 
E’ anche cultura, arte, etc etc. 
(dovrò farmi pagare dall’ufficio del turismo delle provincia francese Provenza, Alpi, Costa Azzurra e da quelli dei vari dipartimenti)

Quarta tappa/puntata: Les Baux e Arles.
Arles vista da Les Arènes

Arles è una città strategica. Ivi facendo base, si possono agevolmente visitare tante località diverse, dalle Camargue ad Avignone, da Nimes a Les Baux. 
Les Baux è quella meno distante (meno di una ventina di chilometri).
Non credevo che esistesse davvero il Signore di Baux, pensavo fosse una menestrelleria di Branduardi, pura invenzione.





(tra l’altro, i  Signori di Baux dal 1600  sono i Grimaldi  principi di Monaco – e marchesi di Baux- , anche se l’amministrazione effettiva è francese, ma ciò spiega   perché vi sia una  targa adulatoria e celebrativa  e commemorativa in una struttura del villaggio che ospita una mostra fotografica)
La canzone di Branduardi è  evocativa, cupa, tesa, misterica e misteriosa.
Les Baux ha poco di misterioso.
Les Baux
E’ davvero un borgo costruito sui sassi, sugli spuntoni di roccia, e da lontano è piuttosto suggestivo vedere i torrioni spiccare sui monti, rocce tra le rocce. 
E' attorniato da un vastissimo parcheggio – il nuovo borgo nomade/meccanico -, e nelle viuzze della cittadella è un susseguirsi di negozi di souvenir e paninoteche e ristoranti. 
Non ci abita nessuno, a Baux.
I signori di Baux spariscono di notte, a meno che non si faccia qualche bella manifestazione. 
Certo, nel momento in cui il traffico turistoide si allenta, e in alcuni vicoletti in cui difficile sarebbe stato piazzare il barettino o il negozietto,  con un certo sforzo, si possono immaginare gli scalpiccii dei cavalli  e i gridi dei falchi ( le iaculatorie dei monaci).

Il castello di Baux è visitabile a pagamento. 


E' anche abbastanza  caruccio (9,50 euro a cranio) la verità, considerando che ben poco oltre le mura esterne restano dell’antico maniero. 
Però  vi sono una serie di interessanti plastici che ricostruiscono la storia  del castello, il modo in cui si è esteso nel tempo inglobando tra le mura il borgo.
A disposizione dei visitatori vi è  anche un'audioguida multilingue che delucida filo filo sui vari edifici e sui resti delle murazioni.
(io non sono riuscita  a percorrere  tutte le “stazioni” , stante il solleone  e la temperatura rovente: una via crucis).

Anche gli orari degli spettacoli, tra cui il lancio della catapulta e il duello medioevale, poco più che delle scenette di animazione adatte ai bambini in un villaggio turistico, naturalmente a bambini parlanti francese, non sono proprio dei più felici. 
Da evitarli in generale, ma da evitare soprattutto quelli delle 13,30  e delle 14,30 a meno di non voler provare il brivido dell’allucinazione.
http://www.chateau-baux-provence.com/en/events/medievales-baux

Anche Arles è una città strana. 
Un ammescafrancesco di stili, l’anfiteatro romano attaccato ai palazzotti provenzali attaccati alle case in cemento armato attaccati alle chiese ottocentesche.
Ha il sapore paradossale di qualcosa quasi in disuso, ma in senso pittoresco e anche picaresco.
E’ fascinosa e talora birbantemente sorprendente.
(penso al moai che fa cucù da una finestra, ai murales, alle varie espressioni della street art)
Anche qui di  sera  per strada c’è pochissima gente, e chi c’è fa un po’ come gli pare. 
(Può essere che dalle 20  alle 22 vi sia il coprifuoco pro cena, boh)
Mi ha impressionato un ragazzo che faceva le acrobazie in bicicletta (bvavò, bvavò!!) nella piazza della Repubblica – La Piazza - , saltando con una ruota sola sui gradini della cattedrale, l’  Église Saint-Trophime,  roteando e capriolando attorno all’obelisco, senza importunare alcuno. 
(i quattro gatti vaganti si disperdevano sul bordo piazza) 
Insomma, la vedo dura per un ciclista acrobata esprimersi così in piazza del Gesù a Napoli, in una calda serata di luglio, ad esempio.
Comunque bella è Arles.
Bello e suggestivo è l’anfiteatro, Les Arènes, che non è pietra morta come il Colosseo de Roma,
ma ospita spettacoli coi cavalli, coi tori, insomma continua a vivere nella e con la città.


Ma sopra tutto mi ha affascinato l’Espace Van Gogh.
Un tempo era un ospedale, quello in cui fu ricoverato Van Gogh quando si tagliò l’orecchio, e dove dipinse, ritraendolo dal vero, il giardino.
Il Giardino è stato conservato così come l’occhio del pittore lo aveva immortalato, con le aiuole colme degli   stessi tipi di piante e di fiori.
Espace Van Gogh




L’Espace Van Gogh è un luogo fricchettone. 
(lo sono anche i visitatori che lì si trattengono)
Ho pensato, a latere, in un attimo di cinismo acuto, che i francesi sanno valorizzare pure le cacate delle mosche.
Non che l’Espace Van Gogh lo sia, però non ho potuto fare a meno di pensare a  quante cose in Italia  giacciono sotto incuria e indifferenza.








(fine quarta puntata. Qui la prima, la seconda e la terza. Coraggio, ne mancano solo due.)

2 commenti:

  1. Non sono solo i francesi a valorizzare anche le cacche delle mosche. In Irlanda ci hanno fatto fare un tour nel corso del quale abbiamo visitato tre pietre messe a forma di capanna, con due sotto che sostenevano una grande sopra piatta, che stavano in mezzo a un campo di grano, elogiandolo come se fosse una meraviglia! Ho pensato: "Questi se vedono Segesta e Selinunte danno in escandescenze!"

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  2. Si, i paesi più civilizzati sono bravissimi a valorizzare le loro "poche" cose. Noi che abbiamo il patrimonio artistico occidentale più vasto, ricco e inestimabile del mondo lo facciamo andare in rovina. Dovrebbe essere la nostra industria n°1. Il nostro ORO NERO, come dice il saggio e inossidabile Piero Angela. Non capisco proprio come siamo. Gloria

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