lunedì 27 febbraio 2017

Lettera a [da] una professoressa

Cari ex ragazzi della scuola di Barbiana,
la lettera che vi aspettavate arrivò, arrivò molto prima di questa mia.
Quante cose sono cambiate dagli anni ’60, per fortuna.
Quante cose sono cambiate dagli anni ’80, quando ero dalla stessa vostra parte della barricata e i Gianni avevano le stesse opportunità dei Pierini.
Da quasi vent’anni sono dall’altra parte.
Dalla parte di chi ora si sente - ed è, per moltissimi fattori – la parte scamazzata (da martello a incudine).

Cari ex ragazzi di Barbiana, chissà che uomini siete diventati - [lo so, mi sono informata, siete tipografi, sindacalisti, infermieri, Francesco Gesualdi è uno scrittore e saggista] – chissà cosa ne pensate della scuola dei vostri nipoti.
Adesso non si insegna solo l’educazione civica ma l’educazione alla cittadinanza e costituzione che contempla centomila altre educazioni, alla salute, all’ambiente, alla legalità, alla melanzana fritta; agli esami di terza media non ho mai visto un bocciato – e ormai sono venti anni – , anzi qualche pargoletto ha ricevuto l’onore di essere svegliato da prodi professori che pur di non fargli perdere l’anno sono andati fino a casa a prenderlo e a portarlo a scuola, dal letto dove dormiva beato dopo aver fatto bagordi e impennate notturne con il motorino; conta chi balla, chi canta, chi suona, chi è atleta e chi rappa e strappa.

Leggendo il vostro atto d’accusa, il vostro sputo sul sistema educativo degli anni ’50, così giusto, così sacrosanto rispetto a quel che era la scuola di un tempo – ma adesso dovendo fare il calcolo delle mie ore di lavoro, oltre alle 18 in classe e alle altre contrattuali, si perde il conto di quelle  impiegate per preparare e per diversificare le lezioni, per produrre materiali diversi per i bes, i dsa, i ragazzini da potenziare, altro che ripetizioni a pagamento - ho pensato marò, ma perché poi da un eccesso si deve passare ad un altro?

Chissà, ex ragazzi della scuola di Barbiana, se qualche volta vi è capitato di rileggere il vostro libro.
E dire. Ahh, altri tempi, proprio altri tempi.

Riporto solo una frase che riassume ciò che il libro può dire adesso.

Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui.
 Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.”

Si può essere in larga parte d’accordo, ma in larga parte anche no.

sabato 11 febbraio 2017

Il partigiano Johnny

Il partigiano Johnny è un libro sulla Resistenza, e si sa.

E’ un libro in larga parte autobiografico e neorealista: Johnny è Beppe Fenoglio, sbandato come lui dopo l‘8 settembre, arruolatosi come lui prima nelle file di partigiani rossi, poi in quelle degli azzurri, i  badogliani: i capi partigiani, le vicende della città di Alba e dei paesi delle Langhe, le non-azioni degli inglesi e quelle dei repubblichini e dei tedeschi sono reali, storicamente documentate e anche
questo si sa.

Il partigiano Johnny è stato pubblicato postumo: l’assemblaggio dei capitoli è dovuto ai curatori che hanno “manipolato” varie “versioni” fenogliane del testo, e anche questo si sa.
E allora, perché leggere un libro di cui già si sa?

[Soprattutto, perché leggere Il Partigiano Johnny avendo letto altri romanzi brevi che in qualche modo sono una costola del suddetto?]

Dire che è bellissimo potrebbe bastare, ma anche no.
Ci sono temi e tracce presenti in altri racconti lunghi, Primavera di bellezza e Una questione privata,  ma in questo romanzo l’accento è calcato sul senso di disfatta, di “sbandamento”, che non è - in riferimento all'uso del termine nel racconto - solo il momento in cui le formazioni partigiane si scompongono dopo il massiccio attacco dei repubblichini e dei tedeschi: è una condizione intima, individuale e collettiva, di fronte alla necessità di fare e alla disperata consapevolezza di poter fare poco più che pochissimo o niente.
[se pochissimo può dirsi liberare un paese sapendo di non poterlo “tenere” per più di 15 giorni, se pochissimo può dirsi offrire cibo e alloggio rischiando la vita, se pochissimo può dirsi affrontare il nemico ed esser certi della disfatta, se pochissimo, attualizzando e assolutizzando, può dirsi sopravvivere alle bufere della vita].
Oltre a Johnny, oltre ai suoi  compagni, ci sono i contadini. 
Quanta dignità, quanta. 
La vecchia della Langa e la sua cagna sono indimenticabili. 
(Vecchia a cinquantanni, urca)

Straordinario, rispetto ai romanzi brevi,  è il linguaggio: incrostato di parole ed espressioni anglofone [il mellow sole e la mareante erba], di aulicisimi [nictalopa curiosità e rapinosa tristezza], tessuto in fili di lancinante poetica bellezza.

Johnny andò verso una tetra notte previa d’un goalles giorno vuoto e fremitoso, e senza fine. Nel greve cielo dove le stelle erano, appuntate come sul velluto, un aereo gemeva, con una infinita coscienza di minuscolità, sempre sull’orlo del naufragio. Era un apparecchio di sconosciuta nazionalità, forse waged e pilotato da un moderno aeronautico capitano Nemo, che la voce popolare asseriva mitragliasse tutte le luci violanti l’oscuramento, in una fanatica istanza di tenebra assoluta.