sabato 28 luglio 2012

L'orto di Fabio


“Tu vai là, da Mario, un contadino   che coltiva con grande passione, entri nel suo campo, leggi  sul cartello le verdure disponibili, te le raccogli nella quantità che desideri, poi vai alla "cassa" (*), cioè da lui, e gliele paghi.
Hai preso 2,4 kg, gliene paghi 2. Sempre per difetto.
E se lui non c'è? Fai uguale fino alla (*) e invece di farti pesà  tutto  e dare i soldi a lui, pesi da te e poi lasci i soldi in un'apposita cassetta messa lì in bella vista.
Ci si sente (magari poco poco, ma vabbè) un po' parte in causa, se coinvolti nel processo di raccolta. E i soldi a Mario glieli dai volentieri: come fai a "fottere"  una persona che ti lascia la porta di casa aperta e ti ha anche apparecchiato la tavola?”

Quando il mio amico Vincenzo, terrone come me  ma trapiantato in Umbria, mi scrisse questa cosa, mi  uscì il fumo dalle orecchie.
Sé, sé, una roba di questo tipo qui non potrebbe accadere manco tra tremila anni.
Come si fa a “fottere” una persona così?
 Si fa, si fa.
Povero  il Mario X napoletano, me lo immagino, a rifonderci  filippo e  panaro,  manco la cassetta, troverebbe, oltre all’orto sventrato.
Però che rabbia pensare che altrove si  può.
Cazzo, ci deve essere qualcuno che pure qua ci ha la passione, coltiva senza pesticidi schifezze e fresco fresco te lo vende,   sono io che non ne so niente, che non sono informata.
Allora ho cominciato a guardare con curiosità sempre crescente le due bandiere della coldiretti che sventolano sulla strada nuova che aggira il paese, un nastro di cemento e muro e marciapiede dove è moda andare a correre (prima uno o due sparuti, adesso frotte – si sa, l’unione fa la forza), mentre le auto percorrono rapide per immettersi sulla circumvallazione esterna della città.
Tra le palazzine e i parchi nuovi, ancora resistono fazzoletti di terra coltivata, si vedono gli alberi da frutta spuntare oltre i muri.
Finalmente ho osato.
Ho infilato la stradina sbandierata.
In fondo c’è una palazzina, con un grande spiazzo antistante dove sono stati montati dei gazebo.Sotto i gazebo, sistemati  a U, dei ripiani su cui occhieggiano tanti tipi di frutta e verdura:  pesche, ananas, pomodori, melanzane, zucchine, banane.
(nessun cartellino indicante il prezzo)
C’è qualcosa che non mi torna.
La banana coldiretta?
Niente fai da me:  la padrona di casa, butta  un occhio alla finestra  dicendo -  ecco, ora si sono svegliati - , poi mi chiede cosa mi serve.
Evito l’ananas.
Compro  mezzo chilo di pomodori, un chilo di prugne  e mezzo chilo di zucchine .
Pure lo scontrino fiscale.
Totale: 4 euro e 50.
Alla faccia del bicarbonato.
Dal mio fruttaiuolo  abituale (Fabio, prendo io? Facite, facite, signò)  con due euro accatto 3 chili di frutta assortita, pesche/prugne/percoche/albicocche. 
O una cassetta con 6 meloncini bianchi.
E nella busta Fabio ci infila un quintale di basilico, sedano, prezzemolo.

Quando si dice ‘a carne sotto e i maccaruni 'acoppa.
Basta una bandiera, per  farti fottere dal contadino.

Il che non significa che siano tutti così.
E’ ciorta.

lunedì 23 luglio 2012

Il (mio) gioco del mondo


Ho impiegato molti mesi per leggere Rayuela.
A zompi e a salti, naturalmente, intervallandolo  con  altre letture.
Però sono stata molto compìta, ho seguito buona buona tutte le indicazioni di Cortàzar:
A suo modo questo libro è molti libri, ma soprattutto è due libri. Il primo, lo si legge come abitualmente si leggono i libri, e finisce con il capitolo 56 e alla pagina ove tre evidentissimi asterischi equivalgono alla parola Fine. Conseguentemente il lettore potrà prescindere senza rimorsi di coscienza da quel che segue. 
Il secondo, lo si legge cominciando dal capitolo 73 e seguendo l’ordine indicato a piè pagina d’ogni capitolo.  In caso di confusione o poca memoria, basterà consultare la lista seguente (…) “
Segue la lista dei capitoli, da leggere secondo l’ordine che Cortàzar ha predisposto, e che mescola tre dei molti libri: “Dall’altra parte” il cui scenario è  Parigi, fino al capitolo 56; “ Da questa parte” , il cui scenario è  Buenos Aires; “Da altre parti” , dove lo spazio e il tempo (le unità aristoteliche) non hanno alcun senso:  è composto da capitoli che integrano le parti  precedenti, da citazioni, da false citazioni.  

Ma come è possibile, date la premesse, che chi arriva a leggere il primo libro, dove pure ci stanno  passi pallosissimi e  capitoli incomprensibili,  come  il 34, non continui a leggere pure il resto?
E’ uno sfottò, o appunto, una sfida.
Di fronte a moltissime pagine, mi sono sentita come la Maga: viola.
Tutte le volte che qualcuno si scandalizzava delle sue domande, una sensazione viola, una  massa viola ecco l’avvolgeva per un attimo. (…)  poco le potevano importare i sospiri di qualcuno quando faceva una domanda, però restava comunque  la macchia viola per un attimo, voglia di piangere, un qualcosa che durava il tempo di scuotere una sigaretta con quel gesto che rovina per sempre i tappeti, ammesso che ci siano.” (pag. 131)
Le discussioni dei componenti del Club del Serpente, che balooons stratosferici, tutti quei Grandi intellettualoidi inchiavicati dentro una stanza a sfumacchiare e bere e parlareparlareparlareparlare di arteletteraturamusica, marò, pura sega/segatura mentale.
E che dire del  mitico capitolo 34, che si legge a righe alterne, dove in un rigo vi è  il testo di un romanzo che il protagonista sta leggendo, e nell’altro i pensieri e le riflessioni del personaggio stesso nell’atto del leggere?
Una roba da atturcinare gli occhi e lo stomaco, proprio.
(e anche l’incontro con Berthe Trèpart).

Naturalmente, non nutro incertezza alcuna sulla originalità dell’opera, una vera pietra miliare dello sperimentalismo letterario, della ricerca di cosa sia e cosa possa essere la letteratura, raggiungendo livelli di vorticosità assoluta  (penso al libro La Luce della Pace del Mondo di Ceferino Piriz o al capitolo 68, un vero orgasmo linguistico) e di poeticità straziante (la lettera a Rocamadour/capitolo 32, o il vuoto nella parete di mattoni/capitolo 66).
Meraviglia.

Sono un lettore femmina (senza trattino) 
E accettando fino in fondo  la sfida, la terza lettura l’ho dedicata a costruirmi il mio Rayuela, e mi sono arrogata pure il diritto di levare, di togliere.
Ho ucciso il capitolo  34 (e anche altri), senza rimorsi di coscienza.
Non era forse questo che intendeva Cortàzar quando scriveva:
"E noi, che non vogliamo essere lettori-femmina, a che cosa serviamo se non ad aiutare in quanto possibile quella (della letteratura) distruzione?”

In giallo i capitoli che ho trovato più belli, indimenticabili.
(forse li rileggerò per la quarta volta)

Il gioco del mondo


mercoledì 18 luglio 2012

Tunnel

Mi è capitato altre volte.
Un paio di parole, una frase, un passo.
Ernesto Sabato - Il tunnel
[Un campanello, uno squillo, una tromba.]
E  così succede che un libro possa andare oltre se stesso, oltre la storia che racconta e galleggiare  per altro, per gli "effetti collaterali".
(ma dici a me?)

Avevo appena iniziato a leggerlo, Il Tunnel di Ernesto Sabato.
Il protagonista, misantropo autoironico (la specie peggiore, o migliore, questione di prospettiva), cerca di spiegare perchè vuole consegnare ad un editore la sua storia, la storia di un assassino.
Da pagina 10, più o meno.
Alla fine non se ne fotte nulla di ciò che possano pensare i probabili lettori, ma - dice - non è per vanità (ci mancasse) che decide di consegnare la sua memoria ai posteri.
A prescindere dai temi, dai contenuti and so on del libro, comunque una buona opera prima, il passo che ha prodotto non dico tromba, ma un'intera orchestra di (indicibili) pensieri, è questo:

"Riguardo la vanità non dico nulla: credo che nessuno sia sprovvisto di questo notevole motore del Progresso Umano. Mi fanno ridere i signori che tirano in ballo la modestia di Einstein, o roba del genere; risposta: è facile essere modesti quando si è celebri; o meglio, apparire modesti. Anche quando si pensa che non esista in assoluto, la si scopre all'improvviso nella sua forma più sottile: la vanità della modestia."

Ahemm. 
Non dico sanfrancesco, ma.









giovedì 5 luglio 2012

Ritorni

Non sempre è un bene tornare. Ora ad esempio, non riesco a fare a meno di notare quanti pochi fiori ci siano. Ce n'erano tanti, la prima volta. Adesso invece le foglie dei cespugli sono tutte malate, la cocciniglia? - pensavo fosse sabbia - [anima ingenua, mi dice] Qui c'è uno specchio impietoso. Sará la luce che cade a picco dal lucernaio. Mi guarda, lo specchio, nello stesso modo in cui guardo il giardino.