lunedì 22 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Case, vicoli, canali, palazzi

Ma come è suggestiva e affascinante Amsterdam, con le sue case strette e lunghe e inclinate, con i ganci penzoloni dalle travi che spuntano delle soffitte a memoria del tempo in cui ogni casa sui canali era bottega/abitazione/deposito. 

Quante sono, e come sono ordinate e ritmiche le finestre rettangolari, tante finestre tese a catturare tutto il sole che il capriccioso cielo olandese lascia penetrare!
Che delizia i frontoni, tutti diversi, coi pinnacoli, a scala, a bottiglia, con le volute: uno skyline fantastico.

Come sono pittoresche le case galleggianti, ex barconi o ex sommergibili o ex pescherecci che non potranno mai più prendere il largo.
Alcune sono state trasformate in deliziosi pied a terre, altre – talvolta quattro tavole di legno e tre lamiere tirate su delle chiatte – sembrano più depositi di munnezza dove, tra tendine e finestre scardinate, i vasi di fiori cercano di dare l’idea di una rustica casetta di campagna. 
Però. Col caizer vivrei dentro una houseboat. Mi sembrerebbe di stare in un vascio. 
(Anche i bassi napoletani sono tipici e pittoreschi: e tirittitì). 

Chissà invece come sono belli i giardini e i cortili che si aprono dietro le facciate, se sono serafici e pacifici anche un decimo del cortile del Begijnhof, un’enclave a un passo dalla frenetica piazza Spui (e infatti ci sono entrata dal lato opposto, manco l’avevo notata la porticina marrone tra le altre bianche).
Ecco, in una delle 146 abitazioni che vi sono nelle palazzine del Begijnhof ci vivrei volentieri, invece. Chi vive lì, certo non più le beghine, non è neanche disturbato dal via vai dei turisti – c’è una compostezza che manco in una chiesa – disciplinato da un rigido orario di ingresso (10-17 naturalmente) e limitato ai vialetti più lontani dalle case.
E se vivessi lì, un giorno sì ed uno no andrei a pranzo o a cena al The Seafood Bar, pochi metri e m’abbofferei di pesce e patatine fritti.
[ma chi può, si lanci pure sui tripudi di crudo.]


Com’è suggestiva Amsterdam dopo il  tramonto, quando le luci della città colorano le acque dei canali e non si distingue più il marrone scuro del fiume [ci possono vivere i pesci in quell’acqua bruna e opaca? Non ho visto nessuna canna, o meglio, nessun pescatore con canna]

Come è struggente Amsterdam al mattino presto, quando i palazzi si riflettono tremolanti nell’acqua che non è ancora solcata da decine di battelli, motoscafi, canoe scialuppe e barchetelle e le orde di ciclisti non hanno ancora imbracciato i manubri. 




Com’è checazzo perdersi tra i vicoli di Amsterdam, un attimo sei nel quartiere cinese e quattro passi più in là in mezzo alle vetriniste. 
(nota a margine. Non ne ho vista neanche una di colore. Tutte bianche, giovani, prosperose, molte con gli occhiali studentessa mode, annoiate più che ammiccanti, intente a chattare, a giocare con il cellulare, a limarsi le unghie o a chiacchierare con la vicina di finestra)
Ah, il quartiere a luci rosse. Eh. 
Bisogna fare attenzione, perché persino io sapevo che è proibito fotografare le ragazze in vetrina, ma non credevo che fosse rischioso anche fotografare il vicolo,  intendendo per vicolo la prospettiva della strada, senza alcuna intenzione e volontà di inquadrare le abitazioni né tantomeno le finestre e chi le occupa.  
Tra le tappe della caccia alle curiosità architettoniche e urbanistiche della città – la casa più stretta, la casa dalla facciata più larga etc etc -, c’era anche il Trompettersteeg, il vicolo più stretto di Amsterdam.
(I carrugi di Genova gli fanno un baffo)
Mannaggia alla capa mia quando ho deciso di percorrerlo velocemente con il cellulare spianato.
Ero quasi arrivata alla fine quando sono stata arpionata da una tizia, della cui esistenza giuro giurin giurello non mi ero minimamente accorta   che mi ha abbuffato di maleparole in olandese (non capisco l’olandese, ma  il tono non lasciava dubbi a riguardo. Ignoro se nella mia corsa nel vicolo sia  passata davanti ad altre,  più tolleranti, più indulgenti).
Manco avessi fatto una rapina o un reato ben più grave, vergognosamente ho blaterato qualche sorry but  e ho accelerato il passo e fatto ciao ciao a quel reticolo di strade. 
Via, via, proprio dall’altra parte del mare o del lago, boh, chissà cosa è l’IJ.

Alle spalle della stazione centrale c’è il  traghetto gratuito per pedoni e ciclisti. Buiksloterweg, c’è scritto.
Pochi minuti e si è ad Amsterdam Noord, dove elegante si staglia la sagoma dell’EYE, non solo museo del cinema, molto di più. 
E’ su questa parte del lungomare che è stata posizionata la scritta gigante Amsterdam, che fino a qualche tempo fa era collocata davanti al Rijksmuseum. 
(in verità ne ho vista  un’altra all’aeroporto di Schiphol, ma mi è sembrata pezzotta)
Nell’EYE c’è un bar ristorante panoramico molto carino. Mi rinfranco  con una birra e un piatto di formaggi e pane alle noci e una strepitosa composta di fichi e mele. 

Quattro giorni passano in un baleno. 
Ed anche le cinque note. 
Un piccolo colpo di coda,  il panino con l’aringa cruda (ma senza cipolla) in aeroporto.


Non avrei potuto lasciare Amsterdam senza pagare questo piccolo  e sorprendentemente delizioso tributo.




Prima nota:
Il museo Van Gogh

Seconda nota:
La I Amsterdam city card

Terza nota:
Micropia e oltre

Quarta nota:
Birre, formaggi, fiori e biciclette.

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Birra, formaggio, fiori e biciclette.

L’Heineken è l’unica birra europea che compare nella hit delle dieci birre più vendute al mondo (le prime sono cinesi, inquietante più che sorprendente). 
Non mi va di andare fino ad Amsterdam per bere la birra che posso comprare al supermercato sotto casa.
(non è come  sorseggiare un bicchiere di Porto a Porto guardando il Duero)
Tanto meno mi solletica l’idea di fare l’Heineken experience, il tour interattivo sulla storia del famoso marchio, con degustazione finale (memento del museo della Mercedes-Benz a Stoccarda: bello,  ma dopo due piani su sei di  autocelebrazione le scatole mi giravano a 3000).
Meglio una birra artigianale, meglio se quella del birrificio situato ai piedi dell’unico mulino di Amsterdam, il De Gooyer, il più alto dei Paesi Bassi, integro seppur non funzionante (e neppure visitabile).
Amsterdam mulino De Gooyer

Al birrificio Brouwerij 't IJ -  [altro luogo di analisi fisiognomica:  la stragrandissima maggioranza dei consumatori ha meno di 30 anni] - fino alle 17 è possibile  degustare cinque diversi tipi di birra, serviti in bicchieri infilati in un vassoio di legno.

Brouwerij 't  Amsterdam degustazione birre
E’ possibile accompagnare le birre con stuzzichini come formaggio e salami o salsicce. 
Nel regno del Gouda, il formaggio  che  viene servito è belga. (???)
[ci sono tante botteghe che vendono spicchi o forme del formaggio rivestito di cera gialla. Sembrano più gioiellerie che negozi di alimentari. Ma quale gouda ho finora mangiato? Sono  come l’ americana e il parmisan. E comunque. Nei supermercati il gouda che viene venduto è come quello che si trova in Italia, e anche il gouda  d’oro non regge il paragone con il parmigiano reggiano. Ci son formaggi e formaggi]
Oltre al differente grado alcolico e alla meravigliosa gamma cromatica delle cinque birre, posso dire poco: tutte buone, troppo buone [allegria e leggerezza!] e meno male che soffia il vento freddo.

“Il Bloemenmarkt è l'unico mercato dei fiori galleggiante al mondo” – Wikipedia dixit. 
Immaginavo gli stand   appollaiati su chiatte in legno e barconi, ancorati alla banchina con funi e corde, i fiori riflettersi nelle acque del canale. E invece.

Mi chiedo come facciano a galleggiare delle piattaforme di cemento (perché tali mi sono sembrate “le chiatte galleggianti”) su cui poggiano gli stand, tutti chiusi verso il fiume da saracinesche (dopo la chiusura) o pannelli bianchi opachi (durante l’apertura). 
[il lato B]
Effetto container abbastanza squalliduccio.
La passeggiata dall’altra parte del Singel offre invece una visione estremamente colorata: tulipani di tutti i colori, bulbi di tulipani in svariate confezioni (e dubito, fortemente dubito che fioriranno), mulini e zoccoli in miniatura, calamite.
[il lato A]
Un concentrato di bancarelle di souvenir.


È molto più suggestivo cogliere la passione olandese per i fiori e per il verde passeggiando nelle strade meno battute dai turisti, dove i microcortiletti prospicienti le abitazioni traboccano di piante e fiori. (oibò, le categorie pittoresco v/s sublime risalgono dai meandri della memoria).

In verità, i microcortiletti non traboccano solo di piante ma anche di biciclette. Le biciclette sono dovunque: attaccate alle ringhiere dei ponti, ai pali della luce, agli alberelli, oltre che negli appositi stalli e negli smisurati parcheggi per bici.

Ce n’è uno accanto alla stazione centrale, multipiano, che è davvero esagerato. Mi chiedo come faccia il possessore di bici a riconoscere la propria, a ricordarsi dove cazzarola l’abbia messa. 
(ogni volta che vado all’ipermercato con l’auto, dopo la spesa, carrello pieno, faccio il giro delle piazzole innumerevoli volte alla ricerca della mia postazione, mai capita che mi ricordi  al primo colpo il posto esatto in cui parcheggio – riconoscere la bici tra un migliaio è per me mission impossible ).
L’idea che avevo accarezzato di noleggiare una bici per girare Amsterdam al modo degli olandesi è sfumata immediatamente, appena ho intuito quali competenze e abilità occorrano per non essere travolti o abbuffati di maleparole dagli altri ciclisti. 
Corrono come pazzi (frotte di pazzi) ed è vero che bisogna stare proprio attenti a non invadere le piste ciclabili perché dei pedoni se ne fottono altamente, ma persino   ai semafori si devono tenere occhi aperti, si passa quieti solo davanti alle auto ferme. Mi chiedo se il rosso non valga anche per le biciclette.
(e circolano anche dove sarebbe loro vietato, eh, il rispetto delle regole)

Andare in bici ad Amsterdam è molto meno romantico di quanto si possa immaginare.



Prima nota:
Il museo Van Gogh.

Seconda nota:
 I Amsterdam City Card

Terza nota:
Micropia e oltre.

Quinta nota:
Case, vicoli, canali e palazzi.

domenica 21 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Micropia e oltre.

Dalla marineria alla pipa, dalla borsa ai microbi, dai gatti alla cannabis. 
Ad Amsterdam ci sono 75 musei, più di 40 sono visitabili gratuitamente con la I Amsterdam City card. 
La scelta è guidata da tre assiomi: varietà (e però che due palle sorbirsi processioni di quadri), localizzazione (un’ora per andare, un’ora per tornare ed è finita la mattinata)  interesse (il museo della bibbia???? Ma per carità.)

Tra i prescelti (i favoriti, gli eletti) il più sorprendente, affabulante, seducente è stato Micropia.

[i musei scientifici sono sempre avanti]. 
Numero totale di visitatori in due ore e trenta minuti: cinque.

Una fortuna per me, un peccato per chi non l’ha scelto.

Nessuna audioguida, tutte le informazioni sono in inglese e in olandese, ma il museo può contare sull’allestimento soprattutto visuale e sullo spirito di abnegazione di una collaboratrice che a gesti, in uno spagnolo elementare, e poco ci mancava che usasse pure i segnali di fumo, mi ha accompagnata passo passo per quasi tutto il primo piano, dopo aver scoperto la provienenza  e aver intuito la limitata capacità di comprensione di idiomi diversi dall’italiano.
(non tutti gli olandesi sono algidi)
Il piano inferiore è riservato al peso degli invisibili nel quotidiano.
Una sedia costruita con i funghi, uaaaaaa. 
E chi mai avrebbe immaginato che i funghi possano essere trasformati in un materiale simil/legno, resistente, impermeabile,  ignifugo, ecologico? 
(e un domani  si potranno costruire interi condomini)
Per non dire degli armadietti – spiazzanti assai – che contengono i segni/effetti/rimedi legati ai cattivissimi virus, quelli responsabili delle terribili malattie, dall’ebola all’aids. 
[Apri l’armadietto su cui è piazzato il virus HIV e ci trovi tante banane – sì, banane – accuratamente protette da preservativi colorati. Ho impiegato alcuni secondi a capire il nesso. Sono tonta.]
Non ho zompato nessuna postazione e nessun microscopio, e alla fine di tutta la giostra ho pensato che nella prossima vita, oltre a fare l’idraulico, non sarebbe per niente male studiare microbiologia, e che gli appassionati di scienze potrebbero esser colti da una parasindrome di Stendhal visitando il museo.

Oltre Micropia, immaginando di dover indicare solo un altro museo dove mi piacerebbe ritornare, scelgo l’ Het Grachtenhuis, il museo dei canali.

E ’il (e in un) bellissimo palazzo  situato sull’ Herengracht, il “Canale dei signori”.
Il museo racconta la storia urbanistica della città di Amsterdam, il modo in cui si è sviluppata e le modalità di costruzione degli edifici.

La prima parte della visita si fa con l’ausilio di  un’audioguida (che in alcune situazioni ostenta una traduzione in italiano venato da diversi e riconoscibilissimi accenti, siciliano milanese pugliese romano, davvero esilarante) attraverso un percorso in cui  i progetti, il lavoro, la vita sono esplicitati da ologrammi, proiezioni, visori interattivi, plastici.

C’è uno spazio, una stanza vuota, sulle cui pareti è disegnato con linee luminose lo skyline del canale, con tutte le facciate dei palazzi che lo dominano, e attraverso veri e propri buchi della serratura si possono vedere gli interni, o altre immagini evocative. 
Una figata.  
Dopo, naturalmente, si può continuare la visita nelle stanze originali del palazzo, osservando documenti, quadri, arredi. ( questa parte è arronzabile, ed io l’ho arronzata alla grande)

Non c’è tempo di dire degli altri, sono le cinque e stanno chiudendo. 
Ora si deve bere birra e cazzeggiare. Alè.



Prima nota:
  Il Museo Van Gogh

Seconda nota:
  Il tempo e la I Amsterdam city card 

Quarta nota:
birra, formaggio, fiori e biciclette.

Quinta nota:
case, vicoli, canali e palazzi.

sabato 20 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Il tempo e la I Amsterdam City card.

Amsterdam non è una meta economica. 
Passeggiare sui ponti tra i canali, intalliarsi  nei parchi o sulle terrazze aperte o sulle banchine, incriccare il collo per ammirare le facciate  delle case è gratis e già questo potrebbe bastare,  ma. 
Se piove?  
Ad Amsterdam del ciel sereno non c’è certezza, manco ad agosto. 
(Una cipolla: canotta, mezza manica, manica lunga, maglioncino, giacchetta a vento, tutto il contenuto del trolley indossato ogni mattina, con progressiva svestizione fino alle 18, orario di massimo calore, e progressivo rivestimento fino al rientro in albergo. Per un qualche misericordioso volere del destino non è piovuto, ma vento freddo, quanto ne vuoi? Che clima di mm.) 

 “Mica siamo di zucchero” dicono gli olandesi. 
Forse non è un caso che abbiano così tanti musei e altre strutture  accoglienti, superaccessoriati,  tutti dotati di caffetteria, ristorante, bibliotecuccia, dove si possono passare ore a fare cose varie e diverse.  
Ma i biglietti, come i pernottamenti, sono piuttosto costosi.
Per i residenti olandesi la carta musei, che permette l'ingresso gratuito e illimitato,  costa 60 euro e dura un anno. 
Per i turisti invece con 60 euro si ha il via libera, e solo per un'entrata, per 24 ore. 

La  I Amsterdam City card*, sul cui sito ho navigato almeno un centinaio di volte prima di decidere l’acquisto, è un pass che comprende sia l’uso dei mezzi pubblici, tram bus e metropolitane (ma è escluso il treno dall’aeroporto al centro e viceversa), sia l’ingresso in molti musei (non in quello di Anna Frank, che a prescindere non avrei visitato –  né al Moco, dove c’è una mostra su Bansky che invece volentieri…). 
Dopo certosini incolonnamenti su foglio excel, incrociando costo del biglietto dell’attrazione da visitare, orari di ingresso, tempi presunti di durata della visita, distanza e tempi di percorrenza tra le attrazioni – sono paranoica, lo so – ho optato per quella da 48 ore.


La maggior parte dei musei ad Amsterdam è aperta al pubblico dalle 10 alle 17. 
Di fatto 14 ore da dedicare alle visite. 
Sono riuscita a fare il giro in battello sui canali (incluso nella carta), a prendere tre volte il tram (per principio piuttosto che per necessità), a visitare il Tropenmuseum, Micropia, il Museo marittimo, il Museo dei canali, la casa di Rembrandt, la Chiesa in soffitta e la  Sinagoga portoghese.
E sarei potuta passare anche attraverso l’Artis  Zoo senza eccessiva dispersione di tempo  se mi avessero dato l’informazione corretta, ovvero che c’è la possibilità di uscire anche dalla parte opposta all’unica entrata. 
Un vero tour de force grazie al quale ho risparmiato più di 30 euro: quasi due bustine di semi.


*E’ un  pass conveniente solo se ad Amsterdam si trascorrono più di due giorni e  se lo si ritira negli uffici VVV in aeroporto o nei pressi della stazione centrale, visto che il costo di spedizione è di  19 euro da aggiungere al costo della card, che varia in funzione della durata, dal momento del primo utilizzo.


Prima nota. 

venerdì 19 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Il Museo Van Gogh.

Decine e decine  di canali, centinaia e centinaia di ponti, miriadi e miriadi di biciclette. Volti.

Amsterdam.

Del centro di questa città che forse troppo tardi ho visitato ciò su cui più volte ho fissato lo sguardo sono stati i visi delle persone che attraversavano i ponti, brulicavano nelle stradine,  sfrecciavano sulle bici.
Facce giovani.
Amsterdam è una città giovane, strabordante di ragazzi e ragazze.

Mi raccomando, vai nei  coffee shop e portami i semi
Una  sì, una no.
C’è sempre tempo per fare qualsiasi cosa o piuttosto ogni cosa va fatta al suo tempo? Non so rispondere.
Di certo, se  fossi andata ad Amsterdam anni e anni fa la scelta delle cose  imperdibili da vedere o da fare sarebbe stata diversa da quella che ho fatto nella pianificazione del viaggio.
In primis, il museo Van Gogh.
[vado  a Roma a vedere il Colosseo]
Le  cinque note a memento del viaggio ad Amsterdam cominciano da qui.


Amsterdam Museo Van Gogh


Il museo Van Gogh era così  altamente in primis che ho acquistato i biglietti sul sito del museo un mese  prima dell’arrivo.
Nel  museo si accede solo prenotando on line,   ma il numero di ingressi riservato ai possessori della I Amsterdam city card* ( che avevo già acquistato) -  è limitato , e dunque, se non si prenota con ampio anticipo, si rischia di saltarlo. 
(Giammai!)
Scelto il giorno, scelto l’orario – ad apertura, sperando in poca folla e grande godibilità, effettuato il pagamento, in un lampo sono stati inviati i voucher scaricabili anche sul cellulare.
Semplice, rapido, comodo, non proprio economico (19 euro a capoccia).

Un paio di giorni prima della partenza arriva la mail   “We look forward to welcoming you”  con la quale le informazioni pratiche riguardo la visita sono esplicitate da un video “personalizzato” –  sorridente olandesino all’ingresso del museo con cartellone su cui campeggia il  nome dell’aspirante visitatore, il  nome che si materializza nel pannello con l’albero stilizzato degli  amici di Van Gogh.
Una figata di video, molto ben promettente   [sta casa aspetta ‘a tte],  anche se per un attimo mi ha evocato i libricini di favolette che prendevo raccogliendo i punti dei pannolini, dove in alcune pagine comparivano i nomi dei miei figli Pinco e Pallina.
E invece. 
Fila all’ingresso, anche se scorrevole. 
Folla.
Asetticità negli enormi spazi vuoti dell’atrio a cui si accede da una scala mobile, che mi ha fatto pensare ad un centro commerciale più che ad un museo.
L’audioguida (costo 5 euro, da aggiungere ai 19 del biglietto di ingresso) fornisce spiegazioni  dal sapore didattico.
Asetticità nelle sale che ospitano i quadri, moltissime opere giovanili, alcune tele dipinte su ambo i lati, con soggetti diversissimi, a testimonianza della  spasmodica ricerca di Vincenzo.
Eppure, le opere sembrano depotenziate dalla struttura che le accoglie.
Le più note sono ulteriormente depotenziate dalla quantità di teste e di spalle che  sono loro davanti.
L’esposizione permanente è ricca, ma didascalica, senza tensione né poesia.
[Non sarebbe piaciuta a Van Gogh.]
Compensano in parte questa freddezza le mostre temporanee. 

mostra Van Gogh dreams




Ho trovato affascinante l’installazione Van Gogh dreams: cinque spazi da attraversare in cui suoni luci e colori evocano il travaglio dell’artista ad Arles, quando era quasi convinto di trovare nel calore della campagna nel sud della Francia la serenità. 
Prima che tutto si arravugliasse nuovamente.




(Arles, Arles. Il giardino dell’ex ospedale psichiatrico in cui era ospitato  conserva la stessa tipologia e disposizione di piante e fiori che dipingeva dalla finestra della sua stanza, e ricordo ancora il brivido guardando la geometria floreale, la stessa che vedevano i suoi occhi. Quanta emozione.)  

Restituita l’ audioguida, risalita la scala mobile, riuscita nella grande piazza dei Musei, avrei potuto fare la tripletta.
Dopo Van Gogh, mi sarei potuta tuffare nel  presente dello Stedelijk,  il museo dell'arte moderna e nel passato del Rijksmuseum.
E invece, per dirla con le parole di Calvino, “...ogni scelta ha un rovescio cioè una rinuncia, e così non c'è differenza tra l'atto di scegliere e l'atto di rinunciare."

Non  sono pentita di aver scelto e di aver rinunciato. Non piove.


amsterdam piazza dei musei



*dell'I Amsterdam city card dico nella seconda nota, qui
Il tempo e la I Amsterdam city card


la terza nota sugli altri musei
Micropia ed oltre


Quarta nota:
birra, formaggio, fiori e biciclette

Quinta nota;
 case vicoli canali e palazzi.