martedì 30 giugno 2015

L'arte della cucina sovietica

Tutti i ricordi alimentari felici si somigliano fra loro, ogni ricordo alimentare infelice è  infelice a suo modo.

I miei ricordi infelici sono legati alla sbobba dell’asilo, i tubetti galleggianti nella brodazza di lenticchie e la pasta collosa al sugo puzzolente.
Meglio della cotognata – che non ho mai assaggiato - di cui mi raccontava mia madre, o dei piccioni – solo il pensiero mi fa impressione - che erano il pranzo della festa  nei ricordi di mio padre bambino.
Per il resto, solo felicità che si perpetua (la dieta è una brutta parola). 
Quanta diversità  per chi ha vissuto in luoghi e in tempi  dove il cibo   mancava del tutto o quasi, e  il ricordo di una “bontà quasi crudele, segnata dal sapore sinteticoesotico di ananasso” è  un cioccolattino ripieno Ottobre rosso.

Anya Von Bremzen
Anya von Brezmen, nata a Mosca, emigrata con la madre negli USA all’età di  dieci anni,  è una giornalista che si occupa di viaggi e gastronomia.
Il legame con la Rodina, la terra natale, non si è mai sfilacciato, grazie ai tanti esuli in America e ai rapporti mai sospesi, seppur distanti, con i parenti  rimasti in patria, ma soprattutto per la presenza di sua madre, Larisa Frumkin, detentrice dell’arte culinaria e della memoria storica familiare, anello che lega  quattro generazioni, dalla  fine dell’impero zarista alla Putinland.

L’arte della cucina sovietica  non è un libro di gastronomia: il cibo fa da "discreto" conduttore attraverso cui sono raccontati novanta anni  di Storia.
( in appendice vi sono dieci ricette, ognuna rappresentativa di un decennio.
Sperimenterò  l’insalata Olivier, ovvero l’insalata russa che con la mia ha in comune solo  carote,  patate e maionese)

Gli aneddoti familiari - libri, passeggiate,  lavori perduti e fortune improvvise -  kommunalka, file per procurarsi il cibo,  nostalgia, spaesamenti  e  “schizofrenie” disegnati  sulla ragnatela della Storia sono tenuti insieme  con tenerezza, lucidità e  ironia dosati in un equilibrio straordinario.
Una ricchezza che si può paragonare alla  kulebjaka, una pasta lievitata ripiena di funghi, due tipi di pesce o carne e almeno altri 10 ingredienti.

Attraverso la microstoria familiare, si descrive la nascita e il dissolvimento dell’URSS, e si capiscono molte più cose rispetto a quanto passa o abbia passato  il convento dell’informazione occidentale standardizzata.
Ad esempio l’amore  per Stalin
… la reazione di mamma alla morte di Stalin mi mostrò in tutta la sua evidenza la forza della venerazione per il Grande leader. La sua subdola doppiezza. Da una parte il vozd’ era una divinità immune dalle affezioni comuni dell’umana esistenza. Una forza storica, trascendente, misteriosa, che viveva in qualche modo al di fuori e al di sopra del regno infelice di cui era l’artefice. Dall’altra era una figura paterna per tutti: un pater familias gentile e confortevolmente domestico dell’intera nazione sovietica, un uomo che abbracciava i bambini attirandosi qualificativi propagandistici come prostoj (semplice), blizkij (vicino) e rodnoj, espressione affettuosa riservata ai  parenti più stretti , che ha la stessa etimologia di un termine ricco di altrettante risonanze interiori: Rodina.”

RodinaUrodina. Una “terra madre”  che fa rima con “brutta strega

o il disprezzo  che avvolge la personalità di Gorbačëv, considerato il peggiore leader russo di tutti i tempi.
 Non immaginavo che fosse    così poco amato dai sovietici e ex sovietici.


Un libro molto più che interessante. Bello. Davvero bello. 

mercoledì 10 giugno 2015

Sunset Park

Non avevo mai letto niente di Auster. 
E dire che lo vidi parlare –  senza capire  cippa,  immagino dovesse avere anche senso dell’humor, date  le risate a bocca larga della mia amica che comprende l’inglese,  mentre io dovevo aspettare la traduzione, in  differita sintetica, stanti i dieci minuti di parlata dello scrittore e i tre della traduttrice.
Sunset Park,  Premio Napoli per la letteratura straniera 2011 (nel periodo in cui  - maledizione, le cose belle durano poco - il premio Napoli ha significato qualcosa, partecipazione popolare e  non salotto per iniziati)
E’ da allora che stazionava nella libreria. 
Sono contenta di averlo letto.  

I personaggi hanno spessore, sono “rotondi”, rotondissimi. 
[Ognuno  di loro mi ha detto qualcosa.  In ognuno di loro ho trovato un mio  frammento]
Ho  apprezzato il modo in cui Auster li ha legati a doppio filo, attraverso la Casa in Sunset Park  che diventa nodo e snodo. 
Era una casa abbandonata, una catapecchia.
Bing Nathan, il “guerriero dell’indignazione, il campione del malcontento, il detrattore militante della vita contemporanea”, il riparatore di oggetti tecnologicamente obsoleti,  decide di occuparla. 
Squatter. 
Non è da solo. 
Nella casa vivono abusivamente Hellen e Alice,  e in un primo tempo anche Millis, la compagna di Bing. 
Lì troverà asilo  il protagonista del romanzo, Miles Heller, dopo un’assenza da New York durata sette anni.  
Nella casa abusivamente abitata gli occupanti cercano di ritrovare una barra e una direzione per le loro vite irrisolte. 
E’ lì’ che cominciano a fare veramente i conti con se stessi. 
E’ lì che cominciano a coltivare desideri, sogni.
E’ lì che pianificano l’idea del futuro. 
Non è un caso che il romanzo inizi con altre case, quelle nelle quali Miles lavorava come addetto allo sgombero. 
Miles fotografava i resti della desolazione, i segni del fallimento, prima che la squadra di sgombero di cui faceva parte cancellasse ogni traccia delle vite trascorse tra le mura abbandonate.
 “Per non avere progetti, cioè non nutrire desideri o speranze, accontentarti del tuo destino, di quello che il mondo ti dà da un’alba a un’altra – per vivere così devi volere molto poco, il meno che sia umanamente possibile.
Così aveva vissuto Miles nei sette anni della sua fuga  dal mondo e da se stesso.  
Il meno che sia umanamente possibile è un desiderio incancellabile, è nel non essere soli. 
E’ nell’abbraccio. 

[E’ nel ritrovare suo figlio, per Morris Heller , il personaggio che ho amato di più, straordinario,  l’uomo delle lattine.
E’ Pilar, per Miles. 
E’ nello sguardo del pubblico, per  Mary Lee Swann.
E’ in un  figlio che non è mai nato, per Hellen]

Il corpo umano non può esistere senza altri corpi umani. Il corpo umano ha bisogno di essere toccato  - Non solo i corpi umani piccoli, ma anche quelli grandi. 
Il corpo umano ha la pelle. “

Ma basta un attimo perché tutto precipiti o muti direzione:  un incontro casuale,  uno spintone, un pugno.
Vite irrisolte nella perdita.

...e si chiede se valga la pena sperare in un futuro quando non c’è futuro e d’ora in poi, si dice, non spererà più in niente e vivrà solo per questo, questo momento, questo momento che passa, l’adesso che è qui e poi non è qui, l’adesso che se ne è andato per sempre.” 

[e ora altri, Mr. Auster. Vediamo quanto dura il feeling]

mercoledì 3 giugno 2015

Il libro (e la Legge) della giungla

Il libro della giungla  che è radicato nella mia memoria è quello di  Walt Disney.

[mio fratello era terrorizzato dal serpente  Kaa. sognava la nonna con gli occhi arrotolati  e con la sssssshhhseppola come Kaa]

Il libro di Kipling  è completamente diverso.

[Il serpente Kaa è un personaggio buono]

Innanzitutto  è  costituito da una raccolta di racconti -  favole “esotiche” - ,  e Mowgli compare solo nei primi tre.
Le storie degli animali della giungla e non solo - la foca sulle banchise polari e la mangusta nella villetta borghese-    svolgono  il loro bravo compito  morale, come in tutte le favole.
La morale è che bisogna rispettare La Legge della Giungla, ovvero dei Sistemi Sociali consolidati, rigidamente incanalati nelle gerarchie.
(e chi sgarra paga)
Il  racconto “Al Servizio di Sua Maestà”  si conclude così:
- Obbediscono, come obbediscono gli uomini. I muli, i cavalli, gli elefanti, i buoi obbediscono al loro conducente, il conducente obbedisce al sergente, il sergente al tenente, il tenente al capitano, il capitano al maggiore, il maggiore al colonnello, il colonnello al comandante di brigata che comanda tre reggimenti, e il comandante di brigata al generale che obbedisce al vicerè, che è il servitore dell’Imperatrice. Ecco come è stato possibile. 
-  Fosse così anche nell’Afganistan! – disse il capo. – là obbediamo soltanto alla nostra volontà.-
-  Ed è appunto per questo, - disse l’ufficiale indigeno arricciandosi i baffi, - che il vostro Emiro, al quale non obbedite, deve venire qui a prendere gli ordini dal nostro Vicerè.

Ritornando ai racconti  di Mowgli,  le scimmie sono considerate “paria” dagli altri abitanti della foresta proprio perché non hanno un capo, non  accettano le regole condivise, e questo si traduce in una assenza di “memoria”, che le porta a compiere azioni riprovevoli.
L’orso Baloo, che ha il compito di insegnare al piccolo cucciolo di uomo la Legge della giungla,  è proprio il tipico maestro sentimentale ma  ruvido, in linea coi principi educativi dell’ Ottocento.
Ecco perché  gli insegno queste cose, ed ecco perché lo picchio, molto delicatamente del resto, quando le dimentica. (…) Meglio che sia coperto dalla testa ai piedi di lividi fatti da me che gli voglio bene, piuttosto che gli capiti del male per ignoranza”.

Mazz ‘è panelle fann ‘e figli bell.

Quanta differenza  tra le pagine del libro e  le scene del film di Walt Disney.
Adoravo  (adesso adoro ancora di più) l’insegnamento  canticchiato da Baloo - basta il minimo indispensabile -  e    non voglio leggerlo come l’apoteosi dell’ottimismo vacuo,  com'era probabilmente nelle intenzioni di W.D. ma, arrogandomi del diritto della libera interpretazione,  come una frecciata anarcoide, uno strale contro il consumismo e  la frenesia del possesso.