sabato 26 marzo 2016

Le canzoni dell'aglio - Mo Yan

Tienanmen, il ragazzo con le buste di plastica davanti al carrarmato. 
Mi è capitato di pensare a che fine abbia fatto quel ragazzo. 
Chi era, che fa adesso, se fa ancora qualcosa. 
In rete non ci sono risposte.
(solo domande,  o ipotesi)
E’ un paese lontano, la Cina. 
Al di là della censura, al di là  dell’immagine dei cinesi  che lavorano  come muli   ammassati in fabbriche/case, al di là della constatazione empirica  della rumorosità delle comitive di turisti cinesi, al di là delle nozioncine scolastiche imperocelestecataipiedidiloto, resta la mia sostanziale ignoranza su quel popolo, su quel paese.  
Nonostante la “globalizzazione”, che dà l’illusione della vicinanza, gli Altri sono lontani.
E degli Altri non si sa un cazzo. 

1987. Due anni prima di Tienanmen. 
Una rivolta contadina e la sua repressione. Ne scrive, nel libro “Le canzoni dell’aglio”,  trasfigurando luoghi e attraverso  l’alternanza di piani temporali e dei punti di vista dei personaggi chiave, Mao Yan [Mo Yan chi?] 

1987. 
(e non 1798, come spesso mi è capitato di pensare, riportata al contemporaneo dalle parole compagno e partito comunista]
Poco meno di trent’anni fa, il cieco cantava le canzoni dell’aglio. 
[Omero – dicono – era cieco. Nella sua voce le gesta epiche di un popolo.] 

Le canzoni del cieco Zhang Kou raccontano di Tiantang, il Paradiso, dove i contadini coltivano i loro campi ad aglio, e della loro rivolta, quando i magazzini vengono chiusi e ne viene impedita la vendita. 
Ogni capitolo inizia con una strofa delle canzoni dell’aglio tranne l’ultimo, in cui è un seguace del cieco a chiudere la storia

Piantare e vendere l’aglio assicura ricchezza
vestiti nuovi, abitazione nuova, moglie nuova

Nella vecchia società i funzionari si proteggevano e il 
popolo subiva
Nella nuova società dovrebbe regnare la giustizia.”

il mio maestro è morto per aver parlato troppo
io non farò lo stesso errore” 

Nella nuova società cinese la vecchia è tutta presente. 
Strutture feudali che resistono – matrimoni combinati, donne scamazzate  anche nel momento del parto, sopraffazione e violenza, tanta tanta violenza -  anzi forse si moltiplicano, lì dove al privilegio per stirpe si sostituisce il privilegio dato dal rango politico, poichè i funzionari corrotti del partito fanno presto ad ergersi a   nuova e peggiore nobiltà.

E per i contadini – o per gli operai, la storiella del pidocchio di campagna e del pidocchio di città, solo in parte simile a quella dei nostri topini, è emblematica - nulla cambia. 
Pidocchi, una folla che si infila e si moltiplica nelle coperte, da schiacciare e mangiare. 

Tre sono le strade, per la moltitudine di pidocchi: accettare silenziosi qualunque sopruso
 “…non mi lamenterò più, non picchierò più nessuno, non andrò a chiedere giustizia, anche se mi cacassero in testa “  dice Gao Yang,
o andare volontariamente incontro alla morte, come fanno  altri personaggi del  libro, o affidarsi alla sapienza degli intellettuali  [di coloro che fedeli e integerrimi adepti del sistema agiscono per  ripulire il sistema dalla corruzione],  rappresentati nel libro dal giovane funzionario militare in divisa.  

Il burocratismo va combattuto, ma non con l’anarchia

Intanto i Gao Yan continuano a marcire in prigione e i Gao Mao a morire. 
E i funzionari incapaci o corrotti trasferiti da un distretto all’altro. 
Sempre a fare i funzionari. 

Mo Yan ha vinto il premio Nobel per la Letteratura nel 2012 “ per il suo realismo allucinatorio che fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”, non senza polemiche. 
[Schierato con il regime, ho letto in rete. 
Ma la rete è appunto una rete. Ingabbia . 
Globalizzazione, tzè]

Mo Yan non è mai stato censurato nel suo paese, eppure accusa e denuncia. 
E strazia.
Le canzoni dell’aglio è un libro che addolora. 


domenica 13 marzo 2016

La vera storia del pirata Long John Silver, Larsson Björn


Quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum.




Pochi mesi fa ho letto L’Isola del tesoro.
Da adultissima.
Eppure la canzuncella dei pirati la conosco da sempre. La cantava pure il nonno a fine pranzo, su quello della staffa con il liquore dopo  tanti bicchieri di vino.
(il rum no, quello  era buono solo per il babbà)
Potere degli sceneggiati televisivi in bianco e nero.
E potere delle storie di pirati, emblema della vita libera e avventurosa.
(andar per mare senza saper nuotare)

Tra tutte le tipologie piratesche,  la figura del quartiermastro John Silver, che ha avuto i suoi natali nel  “L’isola del tesoro” di Stevenson, è quella più enigmatica.
[Johnny Deep è quella più.  Più più più. Vabbuò]

Silver è ambiguo:  abilissimo cuoco, espertissimo marinaio,  buon compagno,  ma   anche spietato e crudele, tale  che  la sua aurea  diabolica  lo accompagna prima e dopo  il suo manifestarsi.
(un  prototipo  del  dottor Jekyll e del signor Hyde)

Silver ha ispirato la mano di  Larsson – così  immagino, 
cantami  oh Silver  la vita, l’arme il mare  e la morte
- affinchè registrasse il suo diario, un’autobiografia scritta quando ormai il corpo  non seguiva più il guizzo vitale.

I ricordi delle  sue avventure -  più di un gatto con sette vite, sopravvivere al giro di chiglia, a due mesi incatenato come schiavo nella stiva della nave negreria,  agli arrembaggi e agli ammutinamenti, alle tempeste e alle lunghissime bonacce -sono  racchiuse in pagine di puro piacere romanzesco.

Le sue pause -  le riflessioni rivolte a  Defoe/Johnson, il cronista dei pirati,   a Jim il protagonista del libro di Stevenson ,  la letteratura che parla con la letteratura,  – hanno un sapore più  malinconico.

E’ difficile  appendere al chiodo, soprattutto quando si è molto vissuto.
E’ ancora più difficile quando si è molto voluto vivere,  in piena libertà e seguendo solo la propria bandiera - anche a costo della vita degli altri.

Una  vita che non sopravviva alla propria morte, in un modo o nell’altro, sulle pagine di un libro o sulla bocca della gente, non è che una cacatura di mosca. O rugiada che evapora al sole.

E’ solo una questione di stile, lo si può dire in modo prosaico o poetico, la sostanza è la stessa.
Non c’è grande differenza tra  una cacatura di mosca e una goccia di rugiada che evapora al sole.

(Ma secondo me non c’è neanche grande differenza tra una vita che sopravviva alla propria morte e  un’altra. Almeno per chi è morto.)

Bella lettura d’evasione e non solo.

Se c’è una cosa da cui ci si deve tenere lontani, se si vuole restare sani di mente, è proprio la scrittura”.