lunedì 30 agosto 2021

Viaggio in Grecia. Anno II era Covid. Città macedoni e altri luoghi ameni (3)

Salonicco, la principale delle città macedoni,  è strana.
Anzitutto nel nome. 
Per i greci è Tessalonica, non Salonicco. 
E’ ambiziosa – ma lo sono, in piccolo, anche le altre –,  boulevardizzata– penso al lungomare, una lunghissima passeggiata dove si  cammina, si guarda il mare, si va in bici o in skate e si può fare poco altro, un selfie davanti alla statua equestre di Alessandro Magno o agli Ombrelli di Zongopoulos, e penso anche alle stradone parallele che sembrano spaccare in due la città:  dall’ana polis, la città vecchia e alta, fino a piazza Aristotele, uniformata dalle facciate degli edifici che la racchiudono.

Quasi tutto nuovo, dopo l’incendio che  distrusse la città nel 1911. 
Però il passato – non solo quello remoto – il cantiere degli scavi del foro romano è un fermento – anche il prossimo,  fatto di urbanizzazione selvaggia, di case appoggiate a case e ad altre ancora, di catapecchie che rinnovano le finestre e conservano il tetto in lamiera, sbuca da ogni angolo. 
Tuttavia Tessalonica ha un fascino indecifrabile. 
E’ un fascino immotivato come il rito del guardare il tramonto, che spinge tante, ma tantissime persone a radunarsi sulle scale seminascoste che portano alla città vecchia, sulle mura del castello, alcune correndo manco stessero per perdere il treno, l’attimo fuggente che si rinnova ogni giorno,  e stare lì, da soli o in gruppo, a guardare la luce arancione obliqua scivolare sulla città.

Kavala sembra riprodurre in piccolo le contraddizioni di Salonicco: un lunghissimo lungomare,  le mura delle fortezza e il poco che ne resta a dominarlo dall’alto.
Una velleitaria fontana con giochi di acqua e luce nella piazza principale della città nuova. 
Il grande acquedotto romano stride – e si impone - tra gli edifici moderni e le case che sono incastonate in  alcune sue arcate. 

Xanthi è una cittadina universitaria, che ha vissuto la sua belle époque tra le due grandi guerre grazie al commercio del tabacco. 
Una città ponte tra Macedonia e Tracia, e in senso ancora più lato tra ovest ed est, dove la convivenza etnica era (è?)  la norma, e dove l’abito tradizionale e i comuni mestieri nascondevano le differenze tra ortodossi, musulmani, ebrei. 
Ora sono i tanti hijab a rivelarne la multiculturalità. 
Dopo la seconda guerra mondiale la decadenza. 
La memoria è affidata alla mappa della città, che segna in giallo gli edifici più antichi e al  museo di storia e di folklore, ospitato in uno tra i  pochi palazzi signorili che non sono  chiusi e abbandonati, ma ancora di più alla abnegazione dell’unico dipendente che abbiamo incontrato: accoglie ogni singolo visitatore o piccolo gruppo  a cui spiega la storia della città e del museo stesso. 
In inglese, of course, molto lentamente, of course. 
Mentre due persone girano tra le stanze, il solerte funzionario stacca il biglietto per i tre che hanno finito la visita  e si appresta a ricominciare il racconto per i nuovi due ospiti. 
Sette visitatori in due ore, un registro delle firme che rivela quasi solo lettere greche.
 
Edessa è su un altopiano non lontano  dai monti Voras, confine naturale con la Macedonia del Nord. 
E’ una città attraversata dal fiume Edesseos, le cui acque  scorrono in canali tra le strade cittadine e si radunano in suggestive cascate.
Il parco delle cascate è un luogo ameno, non lontano dal “quartiere” Varosi, il piccolo agglomerato di case che testimoniano la lunga dominazione ottomana, anche se quelle meglio conservate sono state massicciamente restaurate. 
Il parco delle cascate è un “giardino” cittadino, un luogo aperto dove poter passeggiare a tutte le ore. 
A pagamento e in orari determinati è possibile visitare alcuni piccoli musei e la “cava”, la grotta: dieci passi oltre il gabbiottino in cui è rinchiusa l’addetta alla vendita del biglietto di ingresso e non si va oltre. Una piccola cavità nella quale ammirare a distanza ravvicinatissima il  gocciolare dell’acqua sulle stalattiti. 
Il via/vai nel parco, molto contenuto in verità, si ferma alle prime due terrazze: man mano che si scende aumenta la trascuratezza: la scalinata in pietra è aggredita dalla vegetazione e dalle zanzare. 
Ed è un peccato, perché le due cascate gemelle sono quasi più belle di quella principale. 

Verghina e Loutra Pozar. Luoghi ameni.

Verghina è una frazione di Veria,  poche casette e campi coltivati ai bordi di un un micro reticolo di stradine. Ma sotto la terra gialla ci sono tesori. 
Gli scavi archeologici in quest’area identificata come l’antica Aigai, capitale del regno Macedone, hanno una storia non molto remota. 
Negli ultimi anni del secolo scorso è stata portata alla luce la necropoli, cuore del Sito Archeologico delle Tombe Reali. 
Il sito si espande in tutta l’area circostante: i resti del palazzo reale, del teatro, dell’acropoli, il cui attraversamento sotto il sole a +40° richiede uno spirito da Indiana Jones, ma imperdibile e poco faticosa (anzi freschissima) è la visita del  museo, costruito sotto il grande tumulo dove è anche la Tomba di Filippo II, il padre di Alessandro Magno. 
Sotto la montagnella dunque il museo, i cui spazi, corridoi, stanze, sono definiti dalle tombe. 
Nelle vetrine e nelle teche vi sono i corredi funerari e altri reperti, ed è impressionante la fattura delle piccole sculture in marmo e degli oggetti in oro, lamine finissime intagliate con stupefacente precisione naturalistica. 


Le terme di Pozar  -  circa 30 km a nord di Edessa - sono un’incantevole Spa naturale. 
Le sorgenti termali sono state “convogliate” anche in una struttura, ma i benefici dell’acqua – fiume, cascatelle, pozze calde e pozze fredde, oltre alla non trascurabile  frescura data dagli alberi,  sono alla portata di tutti perché l’accesso  al “bosco” è gratuito. 
Nell’area  ci sono un bar, un ristorante, le toilette e persino le docce, ma nulla impedisce di piazzare tavolino e sedie e fare un pranzetto piedi in ammollo sulla riva del fiume. 
Alla modica cifra di 2 euro a persona per 30 minuti si può entrare in una delle due  piscine esterne, vasche in pietra,  con acqua calda, caldissima. (entrata molto più agevole rispetto a quella nelle pozze  formatesi naturalmente nel  letto del fiume).
Sentieri di trekking partono dalla terme. 
No, non li ho percorsi. 
La goduria delle chiare fresche e calde acque mi ha trattenuto e intrattenuto in ammollo a lungo, molto a lungo. 

C’è in Italia un posto così, gratuito, con tanti servizi e poco affollato? Dubito, così come non ci sono in spiaggia lettini e ombrelloni gratuiti per i clienti che ordinano anche solo un frappè.

Non posso che esser ancora una volta contenta di aver potuto varcare i confini, di aver potuto scegliere dove andare.

Soprattutto andare. 



Viaggio in Grecia. Anno II era Covid. Macedonia. (1)

Viaggio in Grecia. Anno II era Covid. Monte Athos, gli ortodossi, la devozione popolare. (2)


Viaggio in Grecia. Anno II era Covid. Monte Athos, gli ortodossi, la devozione popolare. (2)

Del Monte Athos sapevo che l’accesso è rigorosamente vietato alle donne, anzi alle femmine considerando anche molte specie animali. 
Pensavo però che fosse un divieto riguardante l’area dei monasteri, e non quasi l’intero terzo dito della penisola calcidica, che ha una superficie di  335,63 km quadrati, maggiore di quella della repubblica di Malta. 
Un pezzone di Grecia che di fatto è uno stato a parte, lo Stato Monastico Autonomo del monte Athos. 
La separazione, chi lo avrebbe immaginato, è sancita non solo dalla folta vegetazione che ricopre le  montagne, ma anche da muri lungo il confine “marittimo”. 
Lunghe mura nell’acqua. 

[come può uno Stato moderno concedere così tanto spazio, nel senso concreto del termine,  a  entità religiose che  fondano la loro ortodossia sulla discriminazione di genere?] 

Sulla spiaggia di Komitsa, vicino al confine, lontano dagli sparuti bagnanti, sbarcano due monaci. Ad aspettarli un camioncino stracolmo di sacchi di patate. 
Almeno 6 volte la barchetta a motore dei religiosi fa spola tra la spiaggia e un non visibile attracco per portare i sacchi di patate nello Stato Monastico.  
Gambe in acqua nonostante la nera palandrana. 
Cappello calzato nonostante i 40 gradi. 
Sacconi sulle spalle nonostante la veneranda età. (Non si vedono bene, ma il barbone bianco non può mentire)
I pensieri rotolano senza ordine. Le hanno pagate le patate? Non possono coltivarsele le patate? Orano e poco laborano? Che mangiano i monaci se ogni scambio è così complicato, se  neanche le mucche e le pecore che fanno il latte possono circolare nel giardino di Maria? 

Mi è stato detto da chi è stato ospitato in un monastero e l’ha trovata esperienza straordinaria di rigenerazione,   che sulle coste del dito su cui svetta Monte Athos sbarcò  Maria (???), e i monaci si ersero custodi del sacro luogo, impedendo la contaminazione derivante da qualunque altro piede o zampa femminea. 
La persistenza di questa motivazione mi è incomprensibile tanto quanto le affermazioni talebane che i jeans sono sgraditi a Dio.
Ma tant’è. 
Monte Athos è una realtà della Grecia, e il suo fascino è proprio nell’essere caratteristica unica e specifica. 

D’altra parte, una sensibilità religiosa molto forte, almeno in questa parte della Grecia, è evidente dal numero smisurato di cappellette votive (Tabernacoli? Chiesette in miniatura? Casette per  le candele? Non ho idea di come si chiamino) che si ergono sui cigli  delle strade, davanti alle fabbrichette  o agli appezzamenti coltivati, sugli scogli a mare, nei condomini e, in forma più maestosa, anche inseriti nelle mura esterne delle chiese, una porta sempre aperta alla preghiera (o boh, all’accensione delle candele) anche quando il portone della chiesa è sbarrato. 


E il trend è in crescita: percorrendo la circumvallazione esterna di Salonicco si vedono molti "laboratori artigiani" che ne vendono in muratura (Cemento? Gesso? Terracotta?) di infinite fogge e dimensioni; ho scorto cappellette veramente grandi, ma grandi, piantate nei giardini di lussuose ville. 
La chiesetta in muratura in luogo del gazebo. 
O nel garage, a guardia dell'auto e della moto. 



venerdì 27 agosto 2021

Viaggio in Grecia. Anno II era Covid. Macedonia. (1)

Memore del meraviglioso distanziamento sperimentato in Grecia nell’anno I dell’era Covid (sociale: spiagge e monti vuoti di vestigia umane;  mentale: paesaggi marini e montani incantevoli), è stata irrefrenabile la voglia di tornare nell’ellenica terra anche quest’anno, nonostante il rompimento maggiorato delle procedure burocratiche per le uscite dalla madrepatria e ritorno.
Le differenze, da un anno all’altro, non si esauriscono nei pass e plf di cui essere muniti: la Grecia è varia e la Macedonia, la regione scelta questa estate, lo è ancora di più. 

Terra di Filippo II e del suo ancor più famoso figlio Alessandro Magno, la Macedonia è una regione amministrativa orientale della Grecia (solo la Tracia è ancora più ad oriente), ricca di contrasti, non solo naturalistici. 
Edessa, Xanthi, Kavala e Salonicco, la città più grande e popolosa, sono state tappe del viaggio, oltre alla penisola Calcidica. 
Le note a ricordo  non seguono né ordine cronologico né logico. 
Una macedonia, per l’appunto. 

1) Halkidiki, come la chiamano i greci, è la penisola Calcidica
E’ la terra natale di Aristotele, a cui è dedicato un parco tematico di cui non credo che il filosofo andrebbe molto fiero, se non per il democraticissimo costo del biglietto d’ingresso, euro due a persona. 
Per il resto, le istallazioni nel piccolo parco, che dovrebbero essere interattive, risentono di un debole apparato di comunicazione e di una scarsa manutenzione per cui il funzionamento, tranne per i dischi ottici che vanno semplicemente ruotati a mano (gira la ruotaaaaaaa),  è lasciato più all’immaginazione che alla pratica. 
Ma stando in zona, lontano dalla rinomata costa, si può approfittare per visitare il bel paesino di Arnaia, che conserva ancora alcune   case in legno tradizionali, una piccola sacca di resistenza all’anonima urbanizzazione che ha trasformato i villaggi dei pescatori in luoghi caratterizzati da palazzine bipiani in cemento armato. 
La penisola  si allunga con tre propaggini nel mar Egeo,  tre dita  le cui spiagge sono descritte come i Caraibi della Grecia. 
E insomma. 
Acqua verde acqua calda, così andrebbe riscritta la canzone da dedicare alla Calcidica. 
Strano, strano,  perché dalle foto (anche da quelle che ho scattato io) l’acqua sembra azzurra, ma standoci dentro si ha l’impressione di essere immersi in un lago, in cui si rispecchiano boschi.
Acqua verde, verdissima. 
(Mare trasparente e pulito, non potrebbe essere altrimenti data la bassissima densità urbana e l’assenza di impianti industriali, però… ho rimpianto il turchese delle isole Ionie, così intenso da far quasi male agli occhi).
Ed è calda. Nessun trauma nel tuffarsi. Ammolli lunghi lunghissimi. 

Di Kassandra, il primo dito procedendo da ovest, per un accidente che ha mandato a monte la prima parte dell’itinerario, non ho potuto vedere nulla. 
 A Sithonia  mi sono accomodata su  alcune spiagge supergettonate ed anche abbastanza affollate, come Kalamitsi o Kavourotripes  nota come Orange beach, che oltre alla caletta attrezzata dal baretto, offre scogli e micro spiaggette  su cui ci si agglomera come neanche al lido mappatella di Mergellina, ma anche su altre molto più rilassanti e vuote come Koviou Beach ( il parcheggio però è piuttosto problematico). 
Echelodicoaffare, quella che a me è piaciuta di più è  la meno strombazzata in rete, tanto da non essere neanche riportata con il segnalino rosso su google maps, la spiaggia di Porto Koufo. 


Porto Koufo è una baia chiusa, dicono il porto naturale più profondo della Grecia, noto per le taverne sul porto. Ma la lunga spiaggia è poco affollata. Da una parte della baia il porto, il relativo burdello di gente e di auto e di barche,  all’estremità opposta  una laguna e tanti edifici dismessi o la cui costruzione è stata abbandonata prima ancora di essere portata a termine. In questo lembo dal sapore della noncuranza, si accampano campeggiatori di fortuna, con pulmini adibiti a camper e tende montate tra gli sportelli dell’auto. Liberi e selvatici. 
Nel mezzo, nel silenzio, io. 

Il limite del terzo dito non raggiunge neanche la prima falange, si ferma ad Ouranopoli. Anche nel terzo dito le spiagge più belle sono quelle lontane dalle piccole cittadine  e dalla convulsione dei condomini turistici e degli albergoni a tante stelle. 
Quella di Ouranopoli e quella di Komitsa, entrambe verso il confine con lo stato teocratico di Monte Athos, e la spiaggia di  Agios Georgios ad Ammoulliani, una piccola isola che si raggiunge con una traversata in traghetto di pochi minuti. 
Ad Agios Georgios, alle 10 del mattino, ci sono più gabbiani che umani.