mercoledì 21 agosto 2019

Viaggio in Albania. Berat e Argirocastro.

I centri storici delle città di Berat e Argirocastro sono patrimonio Unesco dal 2005. 
Due castelli – in cima, marò e che scarpinetto! -, architetture civili molto particolari.
[di usi e costumi non posso dire].

Berat

A Berat, racchiuso nella cinta di quello che era il castello,  c’è un piccolo agglomerato di case ancora abitate. Alcune sono diventate b&b e  ristoranti, qualcuna è in ristrutturazione o deliziosamente ristrutturata, altre sono abbandonate da poco – ne dicono vasi con i fiori secchi e tende sbiadite alle finestre - , altre ancora sopravvivono alla meno peggio allo scorrere del tempo. 
Sulle cinta muraria, all’esterno e qua e là tra le viuzze, in esposizione, centrini e  babbucce lavorate ai ferri, coperte e tovagliette ricamate.
Un artigiano, nella penombra della stanza di ingresso di  una casa in rovina, scolpisce in bassorilievo, su  tavolette di legno, scorci del quartiere dalle mille finestre ai piedi del castello.
L’hand made del tricot non mi attrae per niente, invece il colpo di scalpello che trasforma un pezzo di legno nella riproduzione stilizzata di un paesaggio…
Compro alcuni scorci di Berat. 
Li porto con me avvolti in carta di giornale.

veduta dal castello di Berat.
Oltre alle case, tra le mura  del castello ci sono i resti della moschea, delle cisterne, di chiesette e il bel museo iconografico Onufri
E’ ospitato nella chiesa ortodossa della dormizione di Maria. 
La “dormizione” di Maria è il corrispettivo ortodosso dell’assunzione cattolica di Maria. 
Nelle icone, la scena rappresenta nella parte bassa  Maria distesa sul letto di morte, al centro Gesù che la tiene in braccio  bambina, simbolo dell'anima pronta ad essere accolta in cielo. 
Le icone, grazie all’audioguida (anche in italiano, alè!) forniscono informazioni non solo religiose, ma anche relative alla storia politica, civile e culturale dell’Albania, e di Berat in particolare. 
Il borgo del castello è affascinante soprattutto di sera, quando il via via di turisti finisce e restano il silenzio e le ombre delle mura proiettate dalle luci sulle torri. 
Di sera tutto il centro storico di Berat è spettacolare.

Mangalem e il fiume Osum

Al di  sotto del castello – parecchio al di sotto, e che salita ripida! – si stende il quartiere di Mangalem, separato dal fiume Osum da quello di Gorica.
E’ soprattutto il quartiere di Mangalem ad aver dato a Berat l’epiteto di Città delle finestre sovrapposte. 
Non è passeggiando tra le sue stradine  che si riesce ad averne piena  percezione. 
Bisogna attraversare il ponte e godere dello sguardo d’insieme, dall’una e   dall’altra parte.
Le due zone del centro antico, l’una musulmana e l’altra cristiana, sono divise dal fiume ma collegate da due ponti. 
E così come nel castello ci sono moschee e chiese, nei due quartieri la divisione religiosa non era categorica. 
Berat era emblema della convivenza e tolleranza religiosa, prima che il regime facesse diventare l’Albania, per Costituzione, il primo Stato ateo della Storia. 
Non sono credente, ma la tolleranza religiosa è per me un valore imprescindibile.
Tuttavia non ho potuto fare a meno di notare quante moschee di nuovissima costruzione, o in costruzione o in ristrutturazione punteggino adesso i paesini dell’Albania. 
Imponenti, coi minareti altissimi. 
Non so, davvero non so, se sia un bene. 


Anche Argirocastro ha degli epiteti: città d’argento, città di pietra.

Argirocastro 

I tetti delle case antiche sono in ardesia;  la modalità di costruzione mi ha ricordato quella dei trulli di Alberobello; piccole lastre di pietra incastrate a sbalzo l’una sull’altra. 
La parte inferiore delle abitazioni non ha aperture oltre alla porta d’ingresso: le finestre, decorate, sono al piano superiore,  sporgente rispetto alla base.

Si può avere un’idea dell’interno visitando  sia il Museo etnografico, collocato nella casa natale di Hoxha (ma è una ricostruzione, in quanto l’edificio originario fu devastato da un incendio), che nella casa Skënduli. 
(vi  sono anche altre case/fortezza/monumento visitabili, ma io  non vi sono entrata).
Il  museo in verità è muto. 
Non ci sono pannelli esplicativi, né una guida. 
Un deposito di materiali in una abitazione parzialmente arredata. 
(il senso di mitragliatori e cannoni nello spazio destinato a dispensa, tra otri e giare,  non sono proprio riuscita a comprenderlo)

Nella casa Skënduli è un membro della famiglia ad accompagnare i visitatori. 
Il membro che ha accompagnato il gruppo del quale facevo parte – un gruppo che si è trovato per caso nello stesso momento nel cortile della casa  - e pare una barzelletta, costituito da  due spagnoli, due francesi e due napoletani – è un personaggio bizzarro e affascinante. 
Lo chiamerò signor Sk. 
Magro, quasi allampanato, capelli più bianchi che grigi.
Il signor Sk è seduto sulla sedia intento a leggere un giornale. 
Si alza, ripone gli occhiali nel taschino della camicia, e s’informa sulla provenienza dei visitatori. 
Poi con nonchalance comincia a snocciolare frasi esplicative in traduzione simultanea italiano-spagnolo-francese sulla storia dell’edificio in cui ha abitato fino all’esproprio – due stanze e cucinino mi hanno dato - , sui 46 camini ad ostentazione della ricchezza della sua progenie,  e ci conduce nelle stanze mostrandoci le porte e botole “segrete”, l’uso di alcuni strumenti da lavoro, fino al salone principale, con il camino finemente affrescato e il soffitto intagliato. 
Un’esperienza, nel vero senso della parola.


Il cuore di Argirocastro è il bazar
(convertito ora in bazar di souvenir, a uso e consumo turistico)
Sulla piccola piazzetta convergono  tre strade principali, segnate dalle facciate di altrettanti edifici.
Ma la piazza è un cantiere aperto.
Che disdetta essere qui nel fervore di lavori pubblici per il rifacimento delle strade! 
(e della moschea!)
Transenne, betoniere, rotoli di cavi  e sacchi di materiale da costruzione depotenziano il fascino del luogo.

Torre dell'orologio del castello di Argirocastro



Il castello è invece una vera e propria fortezza posta in cima alla montagna – naturalmente, che straccquo!  -  e conserva integra la cinta muraria.

All’interno c’è il museo delle armi  (mi sono rifiutata di vederlo).

La torre con l’orologio non è visitabile, come un’ala del castello.











Ma lo sguardo sui tetti d’ardesia, sulle montagne all’orizzonte, sul baratro nel quale si sarebbe gettata, secondo la leggenda, la principessa Argiro con in braccio il suo bambino per non consegnarlo agli invasori, vale interamente la sfacchinata per arrivare e la visita.

Castello di Argirocastro

L’Albania è un paese di piccole dimensioni, ma una settimana è davvero un  tempo troppo ridotto per visitarla. 
Ho dovuto rinunciare a molto. 
Ksamil deve essere un incanto.  
- Ma ad agosto? meglio di no. 
E il nord e il lago di Ohrida? 
- O quello o le città storiche, la giratempo non è ancora nella nostra dotazione.] 

Come ogni volta che torno da un viaggio, mi dico che è stato breve, che ho visto  troppo poco. 
Ogni volta penso chissà, forse un domani.

L’Albania è vicina, economica, e assai ospitale. E poi ho fatto una promessa. Tornerò, prima o poi.



Viaggio in Albania (1)
paese di aquile e colombe

Viaggio in Albania (2)
imbarchi e sbarchi

Viaggio in Albania (3)
Durazzo Tirana Durazzo

Viaggio in Albania (4)
Zvernec, Llogara, il mare e Syri i Kalter.

martedì 20 agosto 2019

Viaggio in Albania. Zvërnec, LLogara, il mare e Syri i kalter.

Rispetto ad altri mezzi di trasporto, viaggiare in auto  ha un vantaggio incommensurabile: la libertà. 
Libertà di decidere tempi, ritmi, soste e fermate. 
In Albania viaggiare in auto (la bicicletta sarebbe ancora meglio, ma vuoi mettere la fatica e i bagagli?) è l’unico modo per godere di bellezze che altrimenti…

Da Berat (di cui dico dopo) si va a Zvërnec, località della laguna riserva naturale di Vlora-Narta, dove c’è un isolotto con un monastero greco-ortodosso.

salina di Zvërnec
Poco prima di arrivare, un imprevisto.
Stop.
Una striscia rosa, una gigantesca salina. 
C’è vento, al bordo della carreggiata. 
E’ come fermare per un attimo il tempo e sentirsi catapultati in un altrove alieno. 
Non era prevista questa fermata. 
Ma è un incanto.




Il navigatore dell’auto non conosce le strade, fa un po’ come gli pare. 
Ci fa attraversare un brutto tratto di strada per arrivare da Narta a Zvërnec. 
Un’area industriale dismessa, trasandata, buche e voragini che costringono le vetture a fare delle vere e proprie gimkane. 
E poi c’è la pineta,  bellissima: odore fresco e balsamico. 
E’ un peccato che non vi sia manutenzione.
Fanno paura gli alberi piegati verso il centro della carreggiata. 
Alcuni sono letteralmente spezzati e si poggiano su altri alberi. (prefiguro un catastrofico effetto domino). 
Anche verso l’isola di Zvërnec domina l’incuria: non è tanto la strada sterrata e polverosa, quanto lo sono i cumuli di spazzatura ai bordi, i pochi cassonetti stracolmi. 
L’isola, una bolla  in mezzo alla laguna, è collegata alla terraferma da un pontile di legno che ad un certo punto si biforca: un segmento di ponte conduce  ad una piattaforma, location ideale per le fotografie di matrimonio. 
(quante spose! Una qui, più di una per ogni castello, a Berat, ad Argirocastro, un altro paio sulla  scalinata  dell’Albanian College a Durazzo. Tutte bellissime. Mi chiedo. Le foto sono contestuali al rito? Solo gli sposi e i fotografi. Intimo intimo).
La passeggiata sul ponte   è incantevole.

ponte per l'isola di Zvërnec

Il monastero bizantino è molto grazioso, anche se si respira aria di abbandono. 
A lato un piccolo cimitero, e un po’ oltre un pollaio. 
Sotto la tettoia dell’anonimo edificio all’altro lato della chiesa, un tacchino zompetta.

monastero ortodosso sull'isola di Zvërnec




I pochi turisti sono discreti. 
Il suono del vento copre ogni rumore. 
C’è un’atmosfera sospesa.
Vorrei essere un uccello. 









Da Orikum (un paese bruttarello assai,  con un’ampia spiaggia ai suoi piedi, delimitata dalla penisola di Karaburun, che ahimè, non potrò esplorare) si prosegue sulla strada statale per arrivare a Qeparo. 
Si deve valicare il passo di LLogara, ad una altitudine di oltre  1000 metri. 
Tortuosa, con tratti di pendenza elevatissima, la SH8 è una strada lenta e meravigliosa. 
Il paesaggio è straordinario. Dalla montagna al mare in un battito di ciglia.
Per un tratto sembra di essere sulle Alpi, boschi fittissimi, pareti montuose verticali,  una frescura pungente. 
Poi a serpentina verso il mare, curve che sono balconi sull’azzurro.
La costa da Palase a Qeparo è un susseguirsi di baie, insenature, scorci di spiaggette (chissà come ci si arriva). 
Il mare ha tutte le sfumature del blu e dell’azzurro. 
Che importa se occorrono due ore per coprire una cinquantina di  km.
Vorrei durasse di più.
I paesini che si attraversano però sono affollati di case, di palazzine, di auto, di persone. 
Un marasma. 

dal castello di Alì Pasha a Porto Palermo 

Porto Palermo è una piccola penisola sulla quale sorge il castello di Alì Pascià, una fortificazione a pianta triangolare, con torri agli angoli. E’ ben conservato e visitabile alla modicissima cifra di 100 lek, poco meno di un euro. 
Un asinello con campanaccio bruca tranquillo ai lati del sentiero sassoso  che conduce alla fortezza.



Però l’accesso alle spiagge dell’istmo e al castello non è tenuto bene. Scheletri di edifici, forse ex opifici, sterpaglie, una piccola chiesa ortodossa chiusa con catenaccio (appiccicato alla porticina c’è un numero telefonico )  in avanzato stato di  degrado, rottami e pezzi di ferro tra i cespugli e il mare. 
Il mare è di una trasparenza che impressiona.

spiaggia sull'istmo di Porto Palermo

L’acqua è gelata, freddissima davvero. Rischiando una sincope, comincio  ad immergermi. 
(piano piano, un centimetro di pelle alla volta. Ma che meraviglia).

A Qeparo il mare non è cristallino come a Porto Palermo, però ha una varietà di colori che impressiona. 
Il fondale è basso, e si passa dai sassolini ad una zona a pietre grosse, poi si arriva ad una secca di sabbia sottilissima bianca e soffice e infine, con l’aumentare della profondità, il fondale presenta delle dune con cespuglietti di alghe, tutte regolari.
Sembra un campo seminato.
Un campo subacqueo.

lungomare di Qeparo

A Qeparo è stato costruito un lungomare. 
E’ una larga strada pedonale tra il grappolo di case e la spiaggia che prosegue ben oltre l’abitato, seguendo la linea di costa fino alla montagna.
Si inerpica ancora  per qualche centinaio di metri e si ferma così, improvvisamente, davanti alla parete rocciosa.  
E’ una passeggiata bellissima, soprattutto nella parte più isolata.




Ci sono un ruscello ed un ponte, i ruderi di un vecchio mulino (così traduce google la scritta a vernice sulle pietre di una delle pareti).

dal lungomare di Qeparo


Un pastore, dalla SH8, attraverso un varco del guard rail conduce il gregge al ruscello.


Dal muretto del lungomare guardo le pecore sfrecciarsi verso il rigagnolo, e poi ubbidienti risalire, al comando del pastore,  la piccola scarpata.





Nel mio viaggio non ho incontrato sulla strada mandrie e greggi. 
Ho visto alcune mucche libere ai margini della carreggiata. 
Una allattava il vitello, un’altra pascolava tra i sacchi di  spazzatura aperti fuoriusciti da un cassonetto stracolmo. 
Anche galline ho visto razzolare libere tra i rifiuti. 
Forse sarebbe stato meglio non vedere. 

Syri i kalter è un’altra meraviglia naturale dell’Albania.  
E’ una sorgente carsica, un turbine di acque bianche  e turchesi  e blu che gorgoglia in un lago attorniato da  piante lussureggianti. 
Sembra davvero un occhio aperto nel lago. 
Inquietante, di una bellezza inconsueta e affascinante.

Syri i kalter, l'occhio blu

Per quanto le fotografie e i video reperiti in rete possano essere eloquenti [si pensa al ritocco, al fotoshop, ai filtri] - vederla con i propri occhi è tutt’altra cosa. 
Ci si arriva attraverso una strada sterrata, qualche chilometro di polverone e rimbalzi di pietre. Sono tanti i visitatori che giungono alla riserva naturale.
Una lunga fila di macchine, così tante che trovare posto nel parcheggio non è semplice. 
Anche qualche moto - pochissime ne ho viste sulle strade, su questa ai due motociclisti non basterà una doccia per rimuovere la polvere.  
Il lago e il bosco  sono bellissimi, ma non ci sono sentieri che ne permetterebbero la visita. 
Dal parcheggio, poche centinaia di metri e si è al cospetto dell’occhio, violato da centinaia di tuffatori, di immersionisti, di bagnanti [Non si potrebbe, non si dovrebbe. Ma nessuno frena, nessuno sanziona], scandagliato da migliaia di cellulari e macchine fotografiche, sfondo vorticoso di innumerevoli selfie. 
Una folla concentrata sulle rive e abbarbicata sulle strette passerelle e piattaforme, per un mordi e fuggi tra lo spanzamento al mare e la visita di Argirocastro, poco più a Nord.
Ma d'altra parte, una volta arrivati all’occhio blu, c’è poco da fare, se non ammirare la sorgente e percorrere brevi tratti per giungere  in  uno dei due centri ristoro e lì bivaccare.
[nel breve tratto tra l'occhio e  uno dei ristoranti, sulle foglie, quasi mimetizzata con le ali chiuse e strette, una farfalla blu elettrico.
Il suo volo è uno schizzo di colore nell’aria]
Non solo l’occhio, ma tutta la riserva naturale  meriterebbe attenzione (e meriterebbe una fruizione molto più ampia e  responsabile. Oltre a maggiori  controlli, il periplo del lago attraverso dei sentieri diluirebbe, credo, la massa estasiata.)

Zvernec, Porto Palermo, Syri i kalter. 
Perle albanesi. 
Né irraggiungibili, nè segrete. 
Ma il contorno…
Le conchiglie che le contengono dovrebbero  essere raschiate dalle incrostazioni.



Viaggio in Albania (1)
paese di aquile e colombe

Viaggio in Albania (2)
imbarchi e sbarchi

Viaggio in Albania (3)
Durazzo Tirana Durazzo

Viaggio in Albania (5)
Berat e Argirocastro.








lunedì 19 agosto 2019

Viaggio in Albania. Durazzo Tirana Durazzo.

L’itinerario albanese, data l’esiguità del tempo a disposizione, è conseguentemente limitato. Un giro circolare che cerca di salvare capra e cavoli, la rinomata costa e le città storiche, con una buttata di occhio su due parchi naturali.

La distanza tra Durazzo e Tirana è più o meno la stessa che intercorre tra Caserta e Napoli, e più o meno lo stesso è il paesaggio. 
Mi è sembrato di arrivare a Caserta passando per Lusciano e Marcianise. Stessa bruttura, con capannoni industriali e  accumuli di ruggini e lamiere;  campagne disordinate e sciatte,   faraoniche e  iperkitsch costruzioni stile hollywoodiano - colonne e statue e dorature, cavoli a merenda – che si palesano come epifanie.

[Tutto il mondo è paese, le periferie delle grandi città sono sempre squallide, grrrr.
Però in Bretagna, o in Baveria...
Le periferie delle grandi città sono quasi sempre squallide. Doppio grrrr.]

Ma a differenza, un’infinità di distributori di carburante.
[mi sono rimasti impressi i molteplici Kastrati, il cui simbolo stilizzato, la pompa di travaso inserita nel serbatoio dell'auto,  davvero pare un castrato, un montone. Kastrati è un gruppo albanese. Considerando che un tempo l'economia albanese era soprattutto basata sull'agricoltura e sulla pastorizia, c'è del genio in chi ha inventato il logo. Dalla pecora al carburante. Il petrolio come segno dell'evoluzione economica. Mò si dovrebbe trasformare l'agnello in pannello solare.]*
Ce ne sono tantissimi (anche lungo la strada tra Tirana e Berat), sempre corredati di punto ristoro, bar, albergo. 
(mi chiedo come possano sopravvivere tutti con tale concorrenza)

L’Albania è contemporaneamente un paese arcaico e nuovo. 
E’ ammirevole quanto sia  riuscita a fare in poco più di venti di anni, dalla caduta del regime.
Le statistiche la incasellano  tra i paesi più poveri d’Europa (secondo il reddito pro-capite a parità di potere di acquisto - PIL PPA 2015 del Fondo Monetario Internazionale ) , ma  l’ambizione alla ricchezza e alla modernità,  se fuori da un progetto e fuori da ogni controllo, non sempre porta buone cose. 

Le considerazioni su Durazzo e Tirana non possono che essere epidermiche, dato che nella prima città ho trascorso una manciata di ore prima  dell' attesa dell’imbarco per Bari, e nella seconda un solo giorno.




A Durazzo c’è un lungo boulevard, con le palme, i palazzotti buoni (sul terrazzino di uno dei quali, richiamata dal versi,  ho scorto una grande gabbia stracolma di piccioni, un piccolo allevamento)  e i baretti fichetti.
Anche la piazza su cui si affacciano la grande Moschea e vari edifici pubblici e dove zampillano le fontane è molto bella.






Sul lungomare, tra Ventus  (che è un albergo ristorante costruito sul mare, Dubai style) e  Sfinksi, o capo square, una struttura pubblica in cemento, una  piazza/terrazza  a gradoni 'n punt'o mar,  che   da un lato ricorda la sfinge  e dall’altro una sorta di stratificazione geologica (se fosse meno trascurata, se intorno non ci fosse lo sgarrupo...) e oltre,  file di palazzoni sembrano voler fagocitare le onde. 






Nei pressi della torre veneziana, dove lo skyline della merlatura è sovrastata dagli ombrelloni del bar, c’è un grande edificio che è stato costruito inglobando le mura dell’antico castello bizantino. 
Fa strano.







Ho avuto la sensazione che in Albania ci sia un cortocircuito tra il proprio passato (radici che non si possono - e non si devono - tagliare, ma anche la povertà, le limitazioni imposte dalla dittatura)  e l’idea di futuro.
Ciò talora produce situazioni stridenti (e abbandoni, prima ancora del portare a termine).



Penso  alla Piramide di Tirana, costruita come monumento-museo celebrativo di Enver Hoxha. 
Con la caduta del regime, venne adibita ad altri scopi: base Nato, centro eventi.
Ora è  in uno stato di abbandono e di degrado sconcertante.
Una vera damnatio memoriae.**







Ho visto però anche realtà di segno opposto.
Interessantissimi sono i Bunk’art,  due dei bunker, tra le centinaia di migliaia costruiti durante il regime di Hoxha (i dittatori sono tutti paranoici),  convertiti in un  luogo dove la  memoria diventa riflessione e monito. 
Il Bunk’art 2 fu costruito tra il 1981 e il 1986,  destinato ad ospitare la polizia d'elite e il personale del Ministero dell'Interno in caso di un eventuale  attacco nucleare.
Ora è un museo. 
Nelle stanze che si aprono sul lato dei lunghi corridoi si racconta la storia “poliziesca” dell’Albania dall’indipendenza fino alla caduta del regime.

Bunk'art

I pannelli esplicativi sono in albanese e in inglese, ma anche senza soffermarsi troppo sulle parole, le immagini (foto, filmati) gli oggetti, ma soprattutto lo spazio stesso [claustofobico, opprimente, labirintico, disorientante] dicono tanto. 
[Ho provato disagio e imbarazzo nelle stanze relative all’occupazione fascista, come se fosse stata colpa mia.] 
Bunk’art 2 è situato a due passi dalla piazza Scanderberg, una piazza gigantesca, così enorme che mi sono sentita una formichina.
Ho immaginato come ci si potesse sentire in mezzo ad una folla oceanica radunata lì per un comizio, ad esempio. 
Un granello di sabbia.
[non so perchè. anche piazza del Plebiscito a Napoli è vasta - per non dire di Piazza di Spagna a Siviglia - , ma lì non ho provato la sensazione di minuscolità che mi ha pervaso in piazza Scanderbeg].

Tranne che sotto il sole delle tre del pomeriggio, e girovagando ai bordi,  è però un luogo accogliente: ai margini, tra il Museo nazionale e il teatro dell’Opera e la torre dell’Orologio, tra la Moschea e la Chiesa Ortodossa, vi sono spazi verdi e panchine, installazioni artistiche e fontane. 
Di sera, ad intermittenza, luci rosse, blu, viola verdi e gialle illuminano le aiuole.
Lampioni a forma di giganteschi paralumi fanno luce sulle strade che convergono nella piazza.

Parco sul lago, Tirana
Bellissimo, molto curato e davvero rilassante  è il grande parco pubblico sul lago artificiale, il Parku i Madh i Tiranës.
Si può correre (non solo atleti, ma intere squadre, con divisa regolamentare e fisicacci, ho visto battere ritmicamente i viali), passeggiare, sedersi a guardare le anatrelle, fare yoga o altri sport più dinamici. C’è anche un teatro all’aperto.
[e le toilette pubbliche sono pulitissime].
 Dal tramonto si riempie di gggente. Un vero polmone verde – e un cuore pulsante – nel centro della città.


mercato di Tirana

Ho trovato  bella  la ristrutturazione dell’area dell’antico mercato di Tirana, Pazari i ri
I banchi della frutta, delle cianfrusaglie, delle spezie,  sono sovrastate da una struttura vetrata, a forma di tenda, nella quale si riflettono i vivaci colori, giallo, viola, rosso nero della tinteggiatura geometrica delle superfici dei  moderni palazzi  che attorniano la piazza.
(mi hanno ricordato i motivi dei tappeti tradizionali)
Un tripudio di colori e odori.



Tirana è una città a vocazione cromatica. Persino i semafori. 
Sono montati su dei pali che riproducono in modo stilizzato un albero. Non si illumina di verde o di rosso o di arancione solo il faro, ma tutto l’ambaradan. Sfiziosi assai. 
E il caffè a Tirana (ma in tutta l’Albania) è davvero buono.



* Sono stata informata che il logo adottato da Kastrati, è in realtà ispirato ad un simbolo di Skanderbeg, la corona o elmo con cui fu incoronato il condottiero. Non lo sapevo, naturalmente. Ho lavorato di immaginazione, associando il logo sia al referente, ovvero il distributore di carburante, che ad un traslato a me noto, ovvero il castrato, anche per associazione di suoni. Sarò perdonata, spero, per questo piccolo volo pindarico. :)

**C'è un progetto che la renderebbe centro di creatività giovanile, pure discoteca [altro che damnatio memoriae, vera nemesi]. Bisogna far presto.
Qui il progetto degli architetti del MVRDV



Viaggio in Albania (1)
Paese di aquile e colombe.

Viaggio in Albania (2)
Imbarchi e sbarchi.

Viaggio in Albania (4)
Zvërnec, LLogara, il mare e Syri i kalter.

Viaggio in Albania (5)
Berat e Argirocastro.

sabato 17 agosto 2019

Viaggio in Albania. Imbarchi e sbarchi.

Me la ricordo la nave strabordante all’inverosimile   di persone che fuggivano dall’Albania dopo la caduta  del regime. 
E’ forse la prima immagine mentale  che ho di questo paese.
Da ggiovane, le mete delle mie vacanze all'estero erano solo Yugoslavia e Grecia.
(questioni di portafoglio, come al solito, ahem)
L’Albania, incastrata nel mezzo, era invisibile. 
Non ricordo se mi fossi mai posta il problema [e non è una bella cosa].
Non ricordo il trattamento riservato ai ventimila a cui venne “concesso” lo sbarco. 
(posso immaginarlo. E non è una bella cosa)
A Bari  forse la memoria di quello sbarco ha segnato per sempre l’idea dell’Est. 

Situazione 1: imbarco a Bari.
Il grande piazzale dell’ansa di Marisabella, dove si attende per l’imbarco verso la Croazia, il Montenegro, l’Albania, sembra un campo profughi.
Ho provato una vergogna immensa. 
Bari Italia, offre ai viaggiatori (non a tutti: i crocieristi hanno  un altro terminal, un altro trattamento) uno spettacolo di sporcizia, disorganizzazione, squallore. 
I tendoni,  che  hanno l’unico merito di proteggere  dal sole feroce,  da lontano sembrano bianchi, invece  sono luridi;  le  poche panche di pietra dove ci si può sedere sono incrostrate di schifezze e scomodissime;  le toilette nei prefabbricati oltrepassano di gran lunga i limiti della decenza. All’esterno dei suddetti prefabbricati ci sono dei lavatoi come quelli che si trovano nei camping di infima categoria.
In uno dei punti di ristoro che si fregia dell’insegna bar-ristorante  ordino un caffè. Prima di berlo, chiedo  dell’acqua. 
Il barista mi risponde  che “Non diamo l’acqua. Se la diamo a voi la dobbiamo dare a tutti.”
Bari, Italia. Che vergogna. 


Situazione 1 bis: imbarco a Durazzo.

Due aquile nere su sfondo rosso racchiudono la scritta “Welcome to Albania” che sovrasta la porta a vetri della moderna struttura del terminal traghetti del porto di Durazzo. 

Sembra di essere in un  aereoporto. Aria condizionata all’interno, file di poltroncine in metallo all’interno e all’esterno, sotto la copertura a spioventi (le ali dell’aquila, anzi, della colomba). 


Ufficio turistico, distributore automatico di bevande, bar,  oltre alle postazioni doganali. 
Ci sono persino due poltrone relax che cullano previo inserimento di  monetina.  
Le toilette sono pulitissime. 
La vergogna provata a Bari ha una fiammata di ritorno. 

Durazzo/Bari 1 a 0. 

Situazione 2: sbarco a Durazzo. 
A prescindere dall’orario di arrivo, che dipende dalle compagnie di navigazione (stendere non un velo ma una coperta pietosa, prego), lo sbarco a Durazzo è  rapido e indolore. Molti gabbiotti di polizia di frontiera attendono le auto, per cui la fila per uscire dal porto comporta un’attesa breve. 
Se gli agenti non si trovassero un metro e più oltre il livello del suolo, e i viaggiatori un metro e più sotto, per cui è necessario scendere dall’auto sollevare la testa tendere braccio levato i documenti – le forme dell’autorità hanno mille modi di palesarsi -, sarebbe un passaggio perfetto. 

Situazione 2 bis: sbarco a Bari. 
Sempre prescindendo all’orario di arrivo (vedi sopra), e considerando cosa buona e giusta autorizzare solo il conducente a recarsi nei ponti-garage per prendere l’auto, invitando i passeggeri ad attendere sulla banchina, è inumano lasciare bimbi, anziani e  ogni essere vivente sotto il sole cocente per oltre 45 minuti. 
Neanche la parvenza di un telone, di una tettoia, di una pagliarella. 
Tutti ammassati in attesa che le auto, una volta uscite dal ventre del traghetto, facciano un largo giro per ritrovarsi al punto di partenza. 
Il paradosso è che  due (solo due) postazioni di controllo doganale sono collocate proprio a ridosso del punto in cui attracca il traghetto, ma ancora più paradossale è che facendo fare il giro alle auto, vengono a formarsi due colonne che si ostacolano a vicenda: da un lato le vetture che devono uscire dalla nave (mentre i passeggeri attendono sotto il sole), dall'altro quelle già uscite che devono passare i controlli. 
Non credo che occorra un arco di scienza per intuire che basterebbe spostare i gabbiotti in fondo al percorso ad anello che le auto sono costrette a compiere per alleggerire la situazione. 
Attendere comporta una buona dose di pazienza. Attendere in situazioni di disagio può determinare reazioni inconsulte.
La vergogna provata all’imbarco si riveste di furia. 

Bari/Durazzo 0 a 1. 

Bari, Italia. Che scuorno.



Viaggio in Albania. (1)
Paese di aquile e Colombe

Viaggio in Albania (3)
Durazzo Tirana Durazzo

Viaggio in Albania (4)
Zvërnec, LLogara, il mare e Syri i kalter.

Viaggio in Albania (5)
Berat e Argirocastro.

Viaggio in Albania, paese di aquile e colombe.


Shqipëria, il paese delle aquile.

 Un'aquila nera domina lo sfondo rosso della bandiera albanese, la stessa aquila che era nello stendardo di Skanderberg, il condottiero che riuscì a rendere il paese indipendente dagli ottomani nel XV secolo, seppure per un breve periodo. Sventola dovunque, la bandiera albanese, e l’aquila dovunque è riprodotta. 
Simbolo di orgoglio e identità. 


[Scena 1
Qeparo.Terrazza comune del residence. 
Un papà e suo figlio, un ragazzino di circa 12 anni, ospiti del residence, il gestore ed io. L’uomo traduce il mio pessimo inglese al gestore, che parla solo albanese e greco. 
Suo figlio, orgoglioso, mi snocciola paroline in italiano: buongiorno, grazie, amici.
Gli faccio i complimenti. Da 5 giorni tento di mandare a memoria falenderim ma col caizer che riesco a pronunciare questa unica parola come si deve. 
“Where are you from?” – gli chiedo. 
“America. Illinois. Chicago” 
Il padre lo guarda torvo. 
“No. You live in America. You are from Albania.” 
La differenza che passa tra house e home.]


L’Albania non è  il paese delle aquile. E’ il paese delle colombe. 
In nessun altro luogo che ho visitato ho percepito tanta disponibilità, senso dell’ospitalità, gentilezza. 
Gli albanesi sono un popolo gentile. 

[Scena 2
Tirana. 
Giri a  vuoto alla ricerca della strada in cui è situato l’albergo.
Il navigatore della nostra auto non riconosce le strade, i sensi vietati.
In linea d’aria dovremmo essere vicini, consultando la mappa.
Un automobilista è fermo all’imbocco di un vicoletto.
Scendo e sventolo la prenotazione indicando il nome dell’albergo. 
Lui prende il cellulare, compone il numero e parla.
Poi mette in moto e  fa segno di seguirlo.
Ci conduce fino davanti al portone dell’hotel. 
Falënderim.

Scena 3
Argirocastro, nei pressi del centro storico. 
Ci sono dei lavori in corso, la strada per arrivare all’hotel è chiusa. 
Mostro la prenotazione ad un uomo in divisa (vigile urbano? poliziotto?). La gira ad una ragazza che suppongo lavori nell’ufficio turistico o nello stand Smile Albania. 
La ragazza entra in macchina e si sostituisce al navigatore, conducendoci all’albergo.

Da soli non saremmo mai riusciti ad arrivare. 
Non so in quale altrove sarebbe potuto succedere. Due volte su due. 
Falënderim.]


In tutti gli alberghi, b&b e appartamenti in cu siamo stati ospiti, all’arrivo ci sono stati  offerti  caffè, acqua e sterminati sorrisi. 
(alla partenza strette di mano e abbracci)

Quando mi hanno chiesto perché  le vacanze proprio in Albania, ho risposto perché no?, ma ero spinta soprattutto dall’idea della vicinanza e della convenienza economica (ellosò).
Poco più di una settimana (ellosò), da Tirana verso il mare del sud e ritorno, sostando nelle città di Berat e Argirocastro, entrambe patrimonio Unesco.  
Ora posso consigliare di andare in Albania perché è vicina, economica, ma soprattutto  accogliente e ospitale, e consiglio di farlo prima che la speculazione, la miopia amministrativa e l’euforia per la modernità divorino del tutto la sua arcaica e maestosa bellezza. 


Viaggio in Albania (2)
Imbarchi e sbarchi.

Viaggio in Albania (3)
Durazzo Tirana Durazzo

lunedì 22 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Case, vicoli, canali, palazzi

Ma come è suggestiva e affascinante Amsterdam, con le sue case strette e lunghe e inclinate, con i ganci penzoloni dalle travi che spuntano delle soffitte a memoria del tempo in cui ogni casa sui canali era bottega/abitazione/deposito. 

Quante sono, e come sono ordinate e ritmiche le finestre rettangolari, tante finestre tese a catturare tutto il sole che il capriccioso cielo olandese lascia penetrare!
Che delizia i frontoni, tutti diversi, coi pinnacoli, a scala, a bottiglia, con le volute: uno skyline fantastico.

Come sono pittoresche le case galleggianti, ex barconi o ex sommergibili o ex pescherecci che non potranno mai più prendere il largo.
Alcune sono state trasformate in deliziosi pied a terre, altre – talvolta quattro tavole di legno e tre lamiere tirate su delle chiatte – sembrano più depositi di munnezza dove, tra tendine e finestre scardinate, i vasi di fiori cercano di dare l’idea di una rustica casetta di campagna. 
Però. Col caizer vivrei dentro una houseboat. Mi sembrerebbe di stare in un vascio. 
(Anche i bassi napoletani sono tipici e pittoreschi: e tirittitì). 

Chissà invece come sono belli i giardini e i cortili che si aprono dietro le facciate, se sono serafici e pacifici anche un decimo del cortile del Begijnhof, un’enclave a un passo dalla frenetica piazza Spui (e infatti ci sono entrata dal lato opposto, manco l’avevo notata la porticina marrone tra le altre bianche).
Ecco, in una delle 146 abitazioni che vi sono nelle palazzine del Begijnhof ci vivrei volentieri, invece. Chi vive lì, certo non più le beghine, non è neanche disturbato dal via vai dei turisti – c’è una compostezza che manco in una chiesa – disciplinato da un rigido orario di ingresso (10-17 naturalmente) e limitato ai vialetti più lontani dalle case.
E se vivessi lì, un giorno sì ed uno no andrei a pranzo o a cena al The Seafood Bar, pochi metri e m’abbofferei di pesce e patatine fritti.
[ma chi può, si lanci pure sui tripudi di crudo.]


Com’è suggestiva Amsterdam dopo il  tramonto, quando le luci della città colorano le acque dei canali e non si distingue più il marrone scuro del fiume [ci possono vivere i pesci in quell’acqua bruna e opaca? Non ho visto nessuna canna, o meglio, nessun pescatore con canna]

Come è struggente Amsterdam al mattino presto, quando i palazzi si riflettono tremolanti nell’acqua che non è ancora solcata da decine di battelli, motoscafi, canoe scialuppe e barchetelle e le orde di ciclisti non hanno ancora imbracciato i manubri. 




Com’è checazzo perdersi tra i vicoli di Amsterdam, un attimo sei nel quartiere cinese e quattro passi più in là in mezzo alle vetriniste. 
(nota a margine. Non ne ho vista neanche una di colore. Tutte bianche, giovani, prosperose, molte con gli occhiali studentessa mode, annoiate più che ammiccanti, intente a chattare, a giocare con il cellulare, a limarsi le unghie o a chiacchierare con la vicina di finestra)
Ah, il quartiere a luci rosse. Eh. 
Bisogna fare attenzione, perché persino io sapevo che è proibito fotografare le ragazze in vetrina, ma non credevo che fosse rischioso anche fotografare il vicolo,  intendendo per vicolo la prospettiva della strada, senza alcuna intenzione e volontà di inquadrare le abitazioni né tantomeno le finestre e chi le occupa.  
Tra le tappe della caccia alle curiosità architettoniche e urbanistiche della città – la casa più stretta, la casa dalla facciata più larga etc etc -, c’era anche il Trompettersteeg, il vicolo più stretto di Amsterdam.
(I carrugi di Genova gli fanno un baffo)
Mannaggia alla capa mia quando ho deciso di percorrerlo velocemente con il cellulare spianato.
Ero quasi arrivata alla fine quando sono stata arpionata da una tizia, della cui esistenza giuro giurin giurello non mi ero minimamente accorta   che mi ha abbuffato di maleparole in olandese (non capisco l’olandese, ma  il tono non lasciava dubbi a riguardo. Ignoro se nella mia corsa nel vicolo sia  passata davanti ad altre,  più tolleranti, più indulgenti).
Manco avessi fatto una rapina o un reato ben più grave, vergognosamente ho blaterato qualche sorry but  e ho accelerato il passo e fatto ciao ciao a quel reticolo di strade. 
Via, via, proprio dall’altra parte del mare o del lago, boh, chissà cosa è l’IJ.

Alle spalle della stazione centrale c’è il  traghetto gratuito per pedoni e ciclisti. Buiksloterweg, c’è scritto.
Pochi minuti e si è ad Amsterdam Noord, dove elegante si staglia la sagoma dell’EYE, non solo museo del cinema, molto di più. 
E’ su questa parte del lungomare che è stata posizionata la scritta gigante Amsterdam, che fino a qualche tempo fa era collocata davanti al Rijksmuseum. 
(in verità ne ho vista  un’altra all’aeroporto di Schiphol, ma mi è sembrata pezzotta)
Nell’EYE c’è un bar ristorante panoramico molto carino. Mi rinfranco  con una birra e un piatto di formaggi e pane alle noci e una strepitosa composta di fichi e mele. 

Quattro giorni passano in un baleno. 
Ed anche le cinque note. 
Un piccolo colpo di coda,  il panino con l’aringa cruda (ma senza cipolla) in aeroporto.


Non avrei potuto lasciare Amsterdam senza pagare questo piccolo  e sorprendentemente delizioso tributo.




Prima nota:
Il museo Van Gogh

Seconda nota:
La I Amsterdam city card

Terza nota:
Micropia e oltre

Quarta nota:
Birre, formaggi, fiori e biciclette.

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Birra, formaggio, fiori e biciclette.

L’Heineken è l’unica birra europea che compare nella hit delle dieci birre più vendute al mondo (le prime sono cinesi, inquietante più che sorprendente). 
Non mi va di andare fino ad Amsterdam per bere la birra che posso comprare al supermercato sotto casa.
(non è come  sorseggiare un bicchiere di Porto a Porto guardando il Duero)
Tanto meno mi solletica l’idea di fare l’Heineken experience, il tour interattivo sulla storia del famoso marchio, con degustazione finale (memento del museo della Mercedes-Benz a Stoccarda: bello,  ma dopo due piani su sei di  autocelebrazione le scatole mi giravano a 3000).
Meglio una birra artigianale, meglio se quella del birrificio situato ai piedi dell’unico mulino di Amsterdam, il De Gooyer, il più alto dei Paesi Bassi, integro seppur non funzionante (e neppure visitabile).
Amsterdam mulino De Gooyer

Al birrificio Brouwerij 't IJ -  [altro luogo di analisi fisiognomica:  la stragrandissima maggioranza dei consumatori ha meno di 30 anni] - fino alle 17 è possibile  degustare cinque diversi tipi di birra, serviti in bicchieri infilati in un vassoio di legno.

Brouwerij 't  Amsterdam degustazione birre
E’ possibile accompagnare le birre con stuzzichini come formaggio e salami o salsicce. 
Nel regno del Gouda, il formaggio  che  viene servito è belga. (???)
[ci sono tante botteghe che vendono spicchi o forme del formaggio rivestito di cera gialla. Sembrano più gioiellerie che negozi di alimentari. Ma quale gouda ho finora mangiato? Sono  come l’ americana e il parmisan. E comunque. Nei supermercati il gouda che viene venduto è come quello che si trova in Italia, e anche il gouda  d’oro non regge il paragone con il parmigiano reggiano. Ci son formaggi e formaggi]
Oltre al differente grado alcolico e alla meravigliosa gamma cromatica delle cinque birre, posso dire poco: tutte buone, troppo buone [allegria e leggerezza!] e meno male che soffia il vento freddo.

“Il Bloemenmarkt è l'unico mercato dei fiori galleggiante al mondo” – Wikipedia dixit. 
Immaginavo gli stand   appollaiati su chiatte in legno e barconi, ancorati alla banchina con funi e corde, i fiori riflettersi nelle acque del canale. E invece.

Mi chiedo come facciano a galleggiare delle piattaforme di cemento (perché tali mi sono sembrate “le chiatte galleggianti”) su cui poggiano gli stand, tutti chiusi verso il fiume da saracinesche (dopo la chiusura) o pannelli bianchi opachi (durante l’apertura). 
[il lato B]
Effetto container abbastanza squalliduccio.
La passeggiata dall’altra parte del Singel offre invece una visione estremamente colorata: tulipani di tutti i colori, bulbi di tulipani in svariate confezioni (e dubito, fortemente dubito che fioriranno), mulini e zoccoli in miniatura, calamite.
[il lato A]
Un concentrato di bancarelle di souvenir.


È molto più suggestivo cogliere la passione olandese per i fiori e per il verde passeggiando nelle strade meno battute dai turisti, dove i microcortiletti prospicienti le abitazioni traboccano di piante e fiori. (oibò, le categorie pittoresco v/s sublime risalgono dai meandri della memoria).

In verità, i microcortiletti non traboccano solo di piante ma anche di biciclette. Le biciclette sono dovunque: attaccate alle ringhiere dei ponti, ai pali della luce, agli alberelli, oltre che negli appositi stalli e negli smisurati parcheggi per bici.

Ce n’è uno accanto alla stazione centrale, multipiano, che è davvero esagerato. Mi chiedo come faccia il possessore di bici a riconoscere la propria, a ricordarsi dove cazzarola l’abbia messa. 
(ogni volta che vado all’ipermercato con l’auto, dopo la spesa, carrello pieno, faccio il giro delle piazzole innumerevoli volte alla ricerca della mia postazione, mai capita che mi ricordi  al primo colpo il posto esatto in cui parcheggio – riconoscere la bici tra un migliaio è per me mission impossible ).
L’idea che avevo accarezzato di noleggiare una bici per girare Amsterdam al modo degli olandesi è sfumata immediatamente, appena ho intuito quali competenze e abilità occorrano per non essere travolti o abbuffati di maleparole dagli altri ciclisti. 
Corrono come pazzi (frotte di pazzi) ed è vero che bisogna stare proprio attenti a non invadere le piste ciclabili perché dei pedoni se ne fottono altamente, ma persino   ai semafori si devono tenere occhi aperti, si passa quieti solo davanti alle auto ferme. Mi chiedo se il rosso non valga anche per le biciclette.
(e circolano anche dove sarebbe loro vietato, eh, il rispetto delle regole)

Andare in bici ad Amsterdam è molto meno romantico di quanto si possa immaginare.



Prima nota:
Il museo Van Gogh.

Seconda nota:
 I Amsterdam City Card

Terza nota:
Micropia e oltre.

Quinta nota:
Case, vicoli, canali e palazzi.

domenica 21 luglio 2019

Amsterdam: quattro giorni e cinque note. Micropia e oltre.

Dalla marineria alla pipa, dalla borsa ai microbi, dai gatti alla cannabis. 
Ad Amsterdam ci sono 75 musei, più di 40 sono visitabili gratuitamente con la I Amsterdam City card. 
La scelta è guidata da tre assiomi: varietà (e però che due palle sorbirsi processioni di quadri), localizzazione (un’ora per andare, un’ora per tornare ed è finita la mattinata)  interesse (il museo della bibbia???? Ma per carità.)

Tra i prescelti (i favoriti, gli eletti) il più sorprendente, affabulante, seducente è stato Micropia.

[i musei scientifici sono sempre avanti]. 
Numero totale di visitatori in due ore e trenta minuti: cinque.

Una fortuna per me, un peccato per chi non l’ha scelto.

Nessuna audioguida, tutte le informazioni sono in inglese e in olandese, ma il museo può contare sull’allestimento soprattutto visuale e sullo spirito di abnegazione di una collaboratrice che a gesti, in uno spagnolo elementare, e poco ci mancava che usasse pure i segnali di fumo, mi ha accompagnata passo passo per quasi tutto il primo piano, dopo aver scoperto la provienenza  e aver intuito la limitata capacità di comprensione di idiomi diversi dall’italiano.
(non tutti gli olandesi sono algidi)
Il piano inferiore è riservato al peso degli invisibili nel quotidiano.
Una sedia costruita con i funghi, uaaaaaa. 
E chi mai avrebbe immaginato che i funghi possano essere trasformati in un materiale simil/legno, resistente, impermeabile,  ignifugo, ecologico? 
(e un domani  si potranno costruire interi condomini)
Per non dire degli armadietti – spiazzanti assai – che contengono i segni/effetti/rimedi legati ai cattivissimi virus, quelli responsabili delle terribili malattie, dall’ebola all’aids. 
[Apri l’armadietto su cui è piazzato il virus HIV e ci trovi tante banane – sì, banane – accuratamente protette da preservativi colorati. Ho impiegato alcuni secondi a capire il nesso. Sono tonta.]
Non ho zompato nessuna postazione e nessun microscopio, e alla fine di tutta la giostra ho pensato che nella prossima vita, oltre a fare l’idraulico, non sarebbe per niente male studiare microbiologia, e che gli appassionati di scienze potrebbero esser colti da una parasindrome di Stendhal visitando il museo.

Oltre Micropia, immaginando di dover indicare solo un altro museo dove mi piacerebbe ritornare, scelgo l’ Het Grachtenhuis, il museo dei canali.

E ’il (e in un) bellissimo palazzo  situato sull’ Herengracht, il “Canale dei signori”.
Il museo racconta la storia urbanistica della città di Amsterdam, il modo in cui si è sviluppata e le modalità di costruzione degli edifici.

La prima parte della visita si fa con l’ausilio di  un’audioguida (che in alcune situazioni ostenta una traduzione in italiano venato da diversi e riconoscibilissimi accenti, siciliano milanese pugliese romano, davvero esilarante) attraverso un percorso in cui  i progetti, il lavoro, la vita sono esplicitati da ologrammi, proiezioni, visori interattivi, plastici.

C’è uno spazio, una stanza vuota, sulle cui pareti è disegnato con linee luminose lo skyline del canale, con tutte le facciate dei palazzi che lo dominano, e attraverso veri e propri buchi della serratura si possono vedere gli interni, o altre immagini evocative. 
Una figata.  
Dopo, naturalmente, si può continuare la visita nelle stanze originali del palazzo, osservando documenti, quadri, arredi. ( questa parte è arronzabile, ed io l’ho arronzata alla grande)

Non c’è tempo di dire degli altri, sono le cinque e stanno chiudendo. 
Ora si deve bere birra e cazzeggiare. Alè.



Prima nota:
  Il Museo Van Gogh

Seconda nota:
  Il tempo e la I Amsterdam city card 

Quarta nota:
birra, formaggio, fiori e biciclette.

Quinta nota:
case, vicoli, canali e palazzi.