Pensavo di esserne fuori, e invece ancora mi capita di farmi fare fessa dal titolo (e talvolta ancora dalla copertina).
Body art. Mi ero prefigurata dipinti o tatuaggi su ogni centimetro quadrato di pelle, uomini uccello e donne foresta, organi interni esposti ed esplosi sulla superfice dell’epidermide, ma anche percing, stiracchiature, cavicchi infilati in ogni dove, contorsioni capaci di piegare e flettere pure le ossa sfidando le leggi di natura.
Il pensiero non era completamente fuori luogo, dato che fortemente mi erano rimasti impressi Moonman e i writers, in Underworld, e De Lillo ne parlava molto prima che la street art diventasse fashion.
Invece no.
Ci sono un uomo e una donna (e un ectoplasma, più varie comparse).
Lauren è un’artista (?) che usa il corpo per fare delle performance, Ray è uno scrittore morituro.
Gesti lenti, lentissimi, nella loro ultima mattina insieme.
“Perché mai la morte di una persona amata non dovrebbe portarti a una oscena rovina? Non sai amare le persone che ami fino a quando non scompaiono all’improvviso. “
Lauren rielabora il lutto costringendo il corpo e la voce [e prima ancora la mente che produce il fantomatico omino, Mr. Tuttle], a riempire la casa di cloni di sé e del suo uomo scomparso, attraverso la registrazione, la ripetizione e iterazione delle frasi pronunciate l’ultima mattina – pulisco io - , delle loro frasi banali, e portando fuori, in una performance camaleontica, il suo dolore.
“- Forse l’idea è quella di considerare il tempo in modo diverso – dice lei dopo un po’. – Fermarlo, o prolungarlo, o spalancarlo. Fare una natura morta che sia viva, non dipinta. “
Tentativo vano.
“La performance di Hartke comincia con una vecchissima donna giapponese al centro di un palcoscenico vuoti, che si produce nei gesti stilizzati del teatro No, e finisce settantacinque minuti dopo con un uomo nudo, emaciato e afasico, che tenta disperatamente di dirci qualcosa.”
Ecco, a me questo libro è sembrato un uomo, neanche nudo, forse emaciato e “in un certo senso” afasico, che tenta disperatamente di dire qualcosa, ma ha ben poco da dire, e annaspa impietosamente.