Clelia Marchi, in un italiano sgrammaticato e approssimativo, che cede spesso il passo al dialetto, alla lingua parlata e pensata, lascia una traccia di sé, della sua vita, della sua storia e della storia collettiva e contadina su 15 chili di carte ignorate e su un lenzuolo che è in mostra nell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo.
Il libro è la trascrizione tipografica delle righe scritte sul lenzuolo, numerate così come lo sono sul tessuto.
Quando la pausa dalla fatica contadina e un discreto benessere economico erano giunti a pacificare un’esistenza di stenti, alla vigilia dei 50 anni di matrimonio, un incidente le aveva portato via il marito.
Da quel momento, nelle notti insonni, aveva cominciato a scrivere.
“Quasi mi viene l’idea di dire: sarà stata la mia tristezza che m’à dato là forza di scrivere tante cose senza essere stanca anche che scrivo male! Un qual cosa c’è che mi aiuta stare sul sentiero…”
Sono memorie stropicciate e semplici, testimonianza di un tempo in cui i bambini per scaldare i piedi gelati li mettevano nella cacca appena sfornata dalle mucche nella stalla, un tempo in cui si veniva bastonati dai padroni delle terre per aver preso un grappolo d’uva dalla pianta.
[lavorare la terra come bestie e non poter godere neanche di un frutto]
E’ un tessuto fitto di pianto antico sulla fatica e sul dolore del vivere, e qui e là affiora il rimbrotto - [sento la voce della nonna mia] - per la leggerezza dei nostri tempi:
“Tornando in dietro un passo ma cose questo andamento di vita, vogliono divertirsi niente figli sarebbe comoda la vita; ma volere abbordire per me: è come uccidere una persona, ma se tu ai un bambino di .2. anni… che ti dicono di ucciderlo diventeresti matta!!! per me cè lò stesso valore: è sempre un essere umano che sta fiorendo, perchè strapparlo così: è sempre tuo figlio come quello di .2. anni: non fatelo mamme, direte ma sai che i figli sono sacrifici!!”
Io lo capisco il bisogno della siora Clelia.
E’ un bisogno, mi verrebbe da dire, istintivo.
[come riempire quindici chili di carte, o scrivere su un muro “Pinco Pallino è stato qui”]
Scrive la siora Clelia:
“chi legge questo libro penso che non sia da scordare come buttare un paio di scarpe vecchie ne bidone delle mondizzie, chi leggeranno queste scritte si possono rendere conto come era la vita di certe persone;”
E la sua, naturalmente, e quella di suo marito Anteo.
Non tutti i diari vengono pubblicati, non tutte le iscrizioni sui muri vengono staccate e messe nei musei e negli archivi.
Una vita sul lenzuolo sì, e a pieno diritto, per la sua stessa originale natura.
Sulla carta stampata non fa però lo stesso effetto.
http://youtu.be/TKuu_IrOd6Q