venerdì 30 settembre 2016

Harry Potter e la maledizione dell'erede - Il Potere Oscuro del Marchio

Poi dicono che la magia non esiste.
Su Harry Potter e la Maledizione dell’erede è stato scagliato un Salvio Hexia che neppure tutti i maghi concentrati ad Howgart avrebbero potuto lanciare per difendere la scuola da mangiamorte, dissennatori e soprattutto da babbani curiosi.

Mai incantesimo di protezione più potente è stato esercitato sulla rete, dove è impossibile invece evitare la diffusione virale di video privati e la gogna e l’umiliazione.

Dell’opera teatrale di cui il libro è il copione, non c’è alcuna traccia sul web se non un collage di immagini scattate dal fotografo Manuel Harland.



Nessuno spoiler, ovviamente.
E riguardo il libro, il divieto di riprodurre in modo totale o parziale, di salvare in banca dati e di trasmettere in qualunque forma e con qualunque mezzo senza la previa autorizzazione scritta dell’editore suona assai minaccioso.
(Ho la tentazione irresistibile di copiare pagine intere e di copioncollarle qui e là.)

Il libro, ormai questa è una delle poche cose note, non è un romanzo e non è scritto dalla Rowling nonostante il suo nome campeggi in caratteri cubitali sulla copertina.

E’ un copione in quattro atti suddivisi in una cuofanata di scene.
Già solo le otto scene iniziali hanno ambientazioni diverse: stazione, binario nove e tre quarti, treno, sala grande di Hogwarts, ufficio del ministero della magia, casa Potter, stanza di Albus in casa Potter, capanna su scogliera.
Circa 500 battute, molte delle quali costituite da singole parole,  moltissime da frasi da tre o quatrro parole di estrema forza  incisiva come “Ha un bel caratterino” , “Si, scusa.” oppure “Non vedo l’ora.”

Azz, e che grande stregoneria, mi sono detta, come avranno mai fatto a concentrare su un palco in pochissimi minuti una tale varietà di luoghi.
Dalle sparute immagini dello show teatrale deduco che molto è lasciato all’immaginazione e alla memoria.
Ma non posso blaterare su ciò che non ho visto.

Ho letto, invece.
Un’indagine Doxa afferma, tra le varie altre cose, che la generazione Harry Potter ha maturato un sistema positivo di valori: il senso dell’amicizia, il coraggio, la lealtà, il rispetto verso gli altri.

http://www.doxa.it/news/leredita-di-harry-potter-un-classico-che-fa-crescere-i-lettori-doxa-2016/

Questa architettura di “valori positivi” nella "saga base" è tuttavia sottesa.
Sono il meraviglioso, l’avventura, l’immaginazione come cifra del mondo a rendere appassionanti i romanzi della Rowling.

Il cosiddetto ottavo libro si è rivelato invece un pippone querulo incentrato sulle dinamiche genitori/figli, e i valori amicizia/amore/lealtà/bontà/ sacrificio/comprensione/rispetto sono sbandierati così come in uno sceneggiato o in una telenovela sudamericana.
Guarda caso – SPOILER SPOILER - spunta pure la figlia di Voldemort concepita con Bellatrix Lestrange [chissà dove chissà quando chissà come], la quale, core de figghia, cercherà grazie alla giratempo di mutare la storia per riportare in vita il suo paparino e rivelargli, al momento dell'incontro, quanto gli vuole bene.

L’avventura annanz e arete nel tempo, nella foresta per il Torneo Tre Maghi nel 1995 e a Godric’s Hollow nel 1981, serve a “sciogliere” il rapporto conflittuale tra Harry Potter e suo figlio Albus Severus.

Ne “La maledizione dell’erede” la “magia” è un pretesto: domina la filippica morale, troppo esplicita, davvero troppo.
Non posso sorvolare neanche sul registro linguistico orripilante.
E il pretesto del target non regge, la differenza di stile tra questo e i primi sette libri della saga è abissale.
Riporto qualche battuta a mò di esempio e a caso, tra le poche che vanno oltre le tre parole.

(dialogo tra Scorpius, figlio di Draco Malfoy, e Albus Severus Potter. I due ragazzini sono amici del qqquore. Non ho aggiunto o omesso nulla. I puntini sospensivi ci sono davvero. Pag. 167)

Scorpius:
Questo è bello….è una bella cosa da dire.
Albus:
E avrei dovuto dirtela molto tempo fa. A essere sincero, sei la persona migliore che conosco. E non hai, non puoi avere, una cattiva influenza su di me.
Al contrario, mi rendi più forte. E quando papà ci ha costretto a stare lontani, senza di te…
Scorpius:
Neanche a me è piaciuta tanto la vita senza di te.

Forse ora comprendo perché tanta blindatura riguardo La maledizione dell’erede.
A conoscere la verità…
(i puntini sospensivi qui ci vanno per forza).

Ho diffuso senza alcuna autorizzazione una parte del testo.
Ho violato gli incantesimi di protezione.
Ora attendo che vengano a prendermi per portarmi ad Azkaban.

lunedì 5 settembre 2016

La famiglia Fang.

Il film -  mi dicono -  è  una semiboiata.  
Il libro invece ha un suo perchè. 

Agli ammmericani,  e non solo, il tema della famigghia  come covo di istruzione e distruzione deve essere caro assai.
Per un nanosecondo  mi sono passati davanti agli occhi i Franzen, le Oates, i Roth (poi mi sono obbligata a deviare la mente altrove per evitare la valanga di macedonia di pagine)
Anche Wilson Kevin, giovane autore ammericano, scrive fondamentalmente del rapporto genitori/figli, di genitori che non sono pronti ad avere figlie e  delle percussioni che le loro azioni  hanno sui poveri pargoletti destinati a diventare adulti fragili e problematici, della difficoltà che i figli incontrano nel tentativo  di liberarsi dal peso che i genitori hanno loro piazzato sulle spalle.
Tuttavia  lo fa in modo tale da far sembrare, ma soltanto sembrare, che il problema  riguardi esclusivamente   i  personaggi del romanzo.
Cosa sia l’arte, dove possa spingersi il concetto di creazione artistica e l’avanguardia, che pure appaiono come nodi portanti del romanzo, sono solo pretesti per mettere in gioco altri fattori.

Caleb e Camille Fang, artisti,  prima professore e alunna, poi compagni nella vita e nell’arte, sono  i genitori di A e B, ovvero di Annie  e Buster.
La loro idea dell’arte è una concezione globale, che investe la vita e che ha come scopo la destabilizzazione, il caos, il disordine e il disorientamento.
Le loro opere sono performance evenemenziali esplicate nei luoghi più apparentemente lontani dalla fruizione e dalla azione artistica: supermercati, gallerie commerciali, ristoranti.
Ordinari luoghi di comune frequentazione.
Luoghi dove il pubblico è suo malgrado spettatore e attore.
(uhh, ma nelle gallerie commerciali  davvero  il “pubblico” è spettatore e attore, a prescindere dai Fang!)
A e B, i due fratelli,  diventano pedine indispensabili perché l’evento abbia luogo.
Pedine, prive di capacità decisionali, di capacità oppositive:  oggetti strumentali alla realizzazione del  progetto di vita e arte dei propri genitori.
La famiglia Fang è essa stessa un prodotto “artistico” – creativo.
Falso e falsato, naturalmente, come gli oltre trenta  matrimoni di Caleb e Camille.

Aspettative, proiezioni, investimenti e ricatti emotivi.
Famiglia Fang o famiglia Pinco Pallino, il risultato talvolta non cambia.

[ “aggio fatt ‘e cucchiarelle pe nun me scuttà ‘e mmane”, diceva una nonna (non La Nonna mia) riferendosi alle figlie femmine ]