domenica 25 giugno 2023

Un anno dopo. Trieste, Plivtice, Dubrovnik

 

Non ricordo più perché non pubblicai il racconto del viaggio dell’anno scorso.

L’ho ritrovato, mettendo ordine nel caos del desktop del pc, in una cartella nella quale non avrebbe dovuto esserci.

Forse avrei voluto scrivere altro.

(mancano note su Sibenik, Orosac,  Spalato)

Ora non posso aggiungere nulla, ma non voglio tenerlo da parte.

Riprendo la storia, metto una passerella  tra l’estate scorsa e quella che sta iniziando, senza guardare il vuoto sotto. 

 

Luglio/agosto 2022

 

In principio avevo pensato a Bosnia e Croazia.

Tre  i luoghi  per  determinare l’itinerario: laghi di Plitvice, Dubrovnik, Sarajevo.

Natura, memoria, storia.

Plitvice è nella lista dei  posti da visitare: in quella lista uno ne  spunto e venti ne aggiungo (non mi basterà una vita per accorciarla).

Dubrovnik è la madeleine:  quanto dei ricordi sopravvive a tanti ma tanti anni?

Era ancora Yugoslavia quando ci andai la prima volta.

A Sarajevo – che insana smania – avrei fatto pellegrinaggio tra i segni del conflitto balcanico.

Poi la guerra è arrivata di nuovo in Europa: nei primi mesi la notizia era quotidiana, anzi, era  cronaca minuto per minuto.

Mi è passata la voglia di incontrarla anche nei simulacri.

Saltata la Bosnia, l’itinerario si è fatto leggero: qualche città, un’isola, più mare.

Prima tappa, non solo di passaggio, Trieste.

Trieste è una città di mare e di confine, mobile e varia come le strade del centro che sono saliscendi e spesso  te lo scordi di arrivare in due minuti  da  A a B, punti distanti in linea d’aria 100 metri: nessuna strada diretta, ma circumnavigazioni dell’isolato in salita e poi in discesa e ancora in salita e poi in discesa.

Meno male che c’è l’ascensore del parcheggio San Giusto, compensa in parte lo spolmonamento.

Il corridoio che porta all’ascensore è stretto e lungo. Su una parete ci sono bei murales: polpi e navi, chiese e gabbiani, vicoli e pesci.

Trieste è una vera città di mare.

[Napoli non lo è. Il mare non bagna Napoli: oltre l’Ortese, la rabbiosa esperienza.

Vide 'o mare quant'è bello, spira tanto sentimento.

Vedi, vedi il mare,  ma non lo vivi, a meno che non  scelga un carestosissimo lido o il mappatella beach, uno ‘ncuoll a n’ato in un glommero di spiaggetta.]

Il lungomare di Barcola (anzi, da Grignano a Barcola) è un lunghissimo solarium.

Sul marciapiede asciugamani, seggioline, lettini. Mancano gli ombrelloni, ma gli alberi  provvedono all’ombra.

Ci sono le scalette per entrare in  acqua - dagli scogli sarebbe poco agevole -  e anche le docce.

Gratis.

Un euro invece per l’ingresso nei bagni La Lanterna Pedocin.

Da una parte donne e bambini, dall’altra uomini. Non solo separati in spiaggia, ma anche in mare, dove per molti  metri si erge un muro divisorio.

Allungando l’occhio, il lato maschile è semideserto, invece quello opposto un vero carnaio.

Sotto il porticato decine di donne velate, vestite da capo a piedi.

Val la pena fare capatina – la struttura è ferma all’anteguerra anche negli arredi - ma l’ insofferenza verso il sovraffollamento, il principio dell’apartheid e della contraddizione mi ha spinta ad andare via dopo dieci minuti.  

(Barista e bagnino apparentemente uomini. Se il principio del genere vale per gli ospiti, perché non vale pure per i dipendenti?)

Ma tant’è, di mare da vivere  ce n’è per tutti i gusti.

Anche con il pescaturismo.



E’ una città di confine Trieste, fluida e accogliente, come i suoi abitanti. 

Fanno confidenze i triestini.

Mauro, il pescatore di Muggia, che guida la sua barchetta fino all’allevamento di mitili  non risparmia  spiegazioni, ricordi, aneddoti personali; Andrea che lavora al faro della Vittoria è stato a Napoli per verificare se Gomorra fosse solo finzione; Lucio, che non ha più voglia di gestire il b&b da quando non c’è più la sua compagna, guardando con occhi spenti il frigo, la poltroncina, il portafrutta e le foto  dice le storie che ci sono dietro ogni singolo oggetto; Paolo, l’oste,  in menù ha solo quello che ha voglia di cucinare – c’è la pasta che ho fatto a mano, c’è il pesce - e come se lo conoscessi da quarantanni  incatena  racconti sul Carso e sull’Istria  dei suoi nonni, poi,  solo se gli stai simpatico,  tira fuori la  Brinjevec *riserva personale – bottiglia di vetro avvolta nella carta di giornale.

(meno male che gli sono simpatica)

Trieste è i suoi castelli: Duino, Miramare e San Giusto.

L’ultimo è una fortezza più che una dimora, tant’è che la visita, nei fine settimana dei mesi estivi è guidata da  

una compagnia in costume che  racconta l’arte delle armi (ehhh, inquietante ossimoro).

Duino e Miramare erano residenze: delle carte da parati abbinate ai tendaggi non me ne può fregar di meno, ma che meraviglia i panorami dalle finestre.

Il parco di Miramare è aperto e gratuito, e dalla panchina al centro dell’insenatura delimitata da un lato dalla Sfinge e dall’altro dalla grotta di Carlotta si può stare ore a guardare il vento che increspa la superficie del mare in moti che ricordano il volo degli storni.

Per entrare nel parco del castello di Duino, che è privato, bisogna acquistare il biglietto.

Ma c’è il sentiero Rilke che permette di vedere oltre gli orizzonti dei castellani.

[Gli occhi sono le vere finestre.]

La scelta tra natura e “cultura” innesca il dubbio amletico.

Ma se penso da una parte alle mastodontiche navi da crociera che stanziano ai piedi di piazza Unità di Italia, chiudendo a quadrilatero il salotto buono dei triestini e oscurando il tramonto,  e dall’altra  al silenzio, ai colori, alla quiete della foce dell’Isonzo e poi le vo’ comparando, il dubbio si scioglie.




 

Della Yugoslavia della mia giovinezza ricordo  laghi e   cascate –  pessime fotografie ne sono sfocata testimonianza – ma non i loro nomi.

Forse, consultando google map, quelle di Kravice, ora Bosnia.

Chissà come erano i laghi di Plitvice prima di diventare una destinazione cult del turismo di massa.

Sono una meraviglia anche con miriadi di omini che transitano sulle passerelle e attraversano i  sentieri.

(frotte scaricate dai trenini elettrici e dai  barconi che fanno spola tra le sponde dei laghi inferiori).

L’esplosione di colori – tutte le sfumature del verde e del blu -, il continuo ohhh per il sorprendente susseguirsi di cascatelle, cascatone, rivoli, luccichii, trasparenze, alberi sott’acqua come relitti di velieri… […] confermano i fiumi di parole versati sulla loro bellezza, nonostante l’affollamento.





Chissà quale scenario si apre in autunno.

(spuntato dalla lista, rimesso nella lista)

 

L’Adriatico ha figlio e figliastro. Ad uno ha regalato migliaia di isole e isolotti, insenature, fiordi, penisole, frastagliature.

All’altro quasi solo sabbia piatta.

Quando si ha troppo a disposizione si ha l’imbarazzo della scelta.

Sibenik, Orosac - Dubrovnik, Bol sull’isola di Brac e Trogir, quattro le tappe da cui se ne diramano altre: simili per certi versi.

Nessun racconto cronologico, né logico.

Tracce sparse da adesso.

 

Chiare fresche acque.

Il mare in Croazia è trasparente e bello dovunque sono stata. Magari è complice il fondale,  raramente di sabbia, solo sassi e rocce.

(no, dovunque no. A Ciovo, isola appendice della città di Trogir, collegata con un ponte alla terraferma, il galleggiamento di munnezza varia e assortita in più di una caletta mi ha costretto a girare la capa del cavallo. Le correnti sono infami).

Comunque non vale mai la pena fare, [come ho rifatto io,  non mi ha insegnato nulla l’esperienza greca, Itaca, ah, Itaca], i tour organizzati  in barca per ammirare  mitiche lagune o isole iperdecantate: meglio utilizzare i traghetti di linea (Jadrolinija for ever) e stazionare una giornata su ogni isola piuttosto che il mordi e fuggi di 30 minuti a scalo.

Dell’ultimo tour in barcone, da Trogir alla laguna blu e isola di Solta, mai dimenticherò  la puzza di sgombro arrostito    menù di pesce alternativo al petto di pollo incluso nel biglietto sotto la voce “pranzo a bordo” – che ha appestato l’aria, nonostante il mare aperto e il vento, per tutta la durata del viaggio di andata.  

Avrei dovuto portare il binocolo per guardare la laguna blu: a malapena si intravedeva tra la folla di motoscafi e barchetelle.

In Croazia le spiagge sono quasi tutte libere, ma il parcheggio è una croce: o a pagamento, o selvaggio, o un terno al lotto, o distante assai, ma proprio assai dall’agognata meta o tutte queste cose messe insieme.

Per qualcuna ci si deve addossare la croce.

Della famosissima   Zlatni Rat, o Corno d’oro, nell’isola di Brac, non posso che dirne bene.



Ci sarebbe voluto il drone  [maledetti ladri,  quello si sono fottuti insieme a poche bagattelle poco prima di Natale mettendomi la casa a soqquadro], perché a livello del mare non si percepisce interamente la sinuosa forma.

Ma io so di essere stata proprio sulla punta della lingua di sassolini, io sola, alle 7 del mattino, un puntino sulla punta.

Meraviglia ed estasi.

 

Kuna e Euro.  

Non so se dirmi fortunata o scalognata – opto per la seconda – ad aver fatto l’ultima estate in Croazia munita del doppio portafoglio, uno per le kune e uno per gli euro.

A pagare in euro o con la carta ci si rimette sempre, gli uffici di cambio fanno un po' come gli pare e se hai fortuna riesci a spuntare quasi il tasso ufficiale.

Sarà l’ebbrezza dell’allineamento all’euro, sarà che i turisti sono arrivati in tanti dopo la pandemia, sarà così o pomì, di fatto la Croazia, o meglio la costa Dalmata, non è affatto economica.

Non so come facciano e come faranno a far quadrare i bilanci le famiglie, considerando gli stipendi medi.

Diana, la proprietaria del monolocale in cui pernotto  vicino Dubrovnik – una parte del suo garage riconvertito, carino e curato -  dice che i prezzi sono aumentati esageratamente, e per fortuna sulla costa c’è il turismo, ma nell’interno… lasciando i puntini sospensivi.

 

Katarina, Dubrovnik, la guerra.

Katarina era timida con il suo cartello in mano zimmer, al porto di Dubrovnik, tra tante donne con gli stessi cartelli. La sua amica non aveva posto per tutti, così la spinse avanti.

La sua casa era in collina, costruita mattone su mattone.

Il secondo piano era nuovissimo.

Penso che fummo i primi ad alloggiarvi.

Lei, il marito e i due figli, il primo anno furono invisibili. La cucina e il bagno condivisi  erano sempre liberi.

Penso che facessero la posta, li usavano appena uscivamo da casa.

Ci tornai altre due volte, prima della guerra.

L’ultima volta, erano ospiti anche due ragazze serbe.

A me erano simpatiche.

[Natascia e Daliborka. Incredibile. Come sono risaliti a galla questi due nomi e volti, non me lo spiego]

Katarina non parlava inglese, ma la gestualità e un dizionario italiano-serbocroato divennero gli strumenti di chiacchiere e inciuci, sotto il portico, la sera mentre aspettavo che tutta la truppa fosse pronta per uscire.

Quando passavano le ragazze serbe, Katarina la mite arricciava il naso. Non le piacevano. 

Loše.

Non ho mai capito perché.

Quando scoppiò la guerra, prima dell’esistenza di  whatsapp e del web (nel pleistocene), scrissi due lettere alle quali non ebbi risposta.

Non ho più l’indirizzo.

Ho girato su per le colline, ma non ho riconosciuto la casa, ora ce ne sono troppe.

Le uniche cose che posso sovrapporre alla mia memoria sono le mura del centro storico, lo  stradun e il maskeron, la pietra a forma di gufo, incassata in un muro e levigata dalle mani e dai piedi di chi la tocca ancora pensando che porti fortuna.

Dubrovnik straripa di case, di turisti, di ristoranti e di localini, di barche.

Non mi appartiene più.

Il mio ricordo si è fatto scheletro.

Come  a Kupari.

Che strano posto, Kupari, ad una decina di km a sud di Dubrovnik.

Una baia esclusiva intorno alla quale era stato costruito un complesso turistico lussuoso, tanti alberghi, una villa.

Degli alberghi, diventati sede dell’esercito yugoslavo nella guerra d’indipendenza, non restano che gli scheletri.

Sventrati, svuotati: gigantesche carcasse  fanno da sentinelle  alla baia. Non posso fare a meno di guardarli.



Impensabile un ripristino. Saranno abbattuti, prima o poi.

Di quel monito non resterà più niente.

 

Finisce qui. Mancano note su Sibenik, Orosac,  Spalato.

Ora non posso aggiungere nulla, ho da pensare al domani.