C’è un grande via vai, un vero burdello, nei pressi di Napoli Sotterranea.
(per non dire del mare magnum di sagome umane che si muove spinto dall’onda inerziale, più che da una sciente volontà, in Via San Gregorio Armeno)
Il ventre di Napoli attrae quanto i suoi capelli e i suoi piedi.
Gruppi di turisti, di scolaresche, famigliole e famiglione entrano ed escono di continuo dall’ingresso del sito, a lato della chiesa di San Paolo Maggiore, in Piazza San Gaetano.
[I Decumani sono un tripudio di santità.
Mi chiedo come conventi e chiese, concentrati in modo impressionante in pochi metri quadrati, si spartivano il gregge, e come facciano tuttora.
Un tot di fedeli affezionati e un tot di fedeli a turnazione - quelli che non vogliono far pigliare collera a nisciuno]
La guida, una ragazza con occhi azzurrissimi (i normanni, mica a caso) e look postsessantottino, sta un poco sfasteriosa: forse raccontare la medesima storia 4 o 5 volte al giorno per enne giorni porta alienazione allo stesso modo che manovrare una leva 100 volte al giorno per enne giorni.
Il primo passaggio del sito, a cui si accede da una scaletta a lato della biglietteria, è uno spazio poco luminoso posto poco sotto il livello della strada.
La prima impressione è olfattiva: un tanfo di muffa e chiuso che ottenebra.
Le pareti scenograficamente trattate con pitture a graffi fosforescenti e i due mamozi (Egiziani? Minatori? Extraterrestri?) rappresentano simbolicamente il primo utilizzo del sottosuolo da parte degli abitanti di 2400 anni fa: i greci estraevano il tufo al fine di costruire le mura della neapolis.
La seconda impressione è oibò - è un sito archeologico o un parco divertimento tematico?
Fortunatamente questa seconda sensazione si dissolve presto, nella seconda “grotta”, alla vista del tufo crudo delle pareti, senza la impaccottiglia del blu violaceo con strisce fosforescenti gialle aranciate.
Poi si scende, fino a 40 metri sottoterra.
In una cavità ampia su un muretto sono poggiati tanti portacandele.
Nessuna preghiera o voto: in alcuni stretti cunicoli non vi è illuminazione, il passaggio a lume di candela, dentro le fessure delle rocce, camminando in fila indiana, con le ombre che si disegnano sulle pareti altissime, conferisce una suggestione particolare.
Se riuscissi a tenere lontana la claustrofobia, e i pensieri di un malore, di un terremoto, di un cataclisma – cazz come esco da qua sotto -, non tanto nei passaggi strettissimi e bassi quanto in quelli meno stretti ma tra pareti di roccia altissime, potrei anche sentirmi un’ombra, o una sibilla, o un’avventurosa esploratrice.
Dalla cava di tufo greca ai cunicoli e vasche dell’acquedotto romano alle cisterne svuotate e pavimentate per accogliere i rifugiati della seconda guerra durante gli allarmi aerei ai piedi rumorosi dei turisti del 2014 (e ai progetti strampalati, come immaginare un parco giochi sotterraneo con l’umido che deforma le giovani ossa, pazzi, gli architetti talvolta; o agli esperimenti scientifici, far crescere le piante senza acqua, in virtù dell’umidità e del calore di lampade poste ad emulare la luce solare: utopie): si respira la Storia, centrifugata in una passeggiata.
Nei cunicoli paradossalmente l’aria è più pulita e netta che negli spazi di superficie del sito: il Museo della guerra è un nome roboante per un paio di locali nei quali sono conservati, in vetrine polverose disposte lungo le pareti delle sale, divise e armamentari e ammennicoli della seconda guerra mondiale.
Quel che resta impresso del Museo è il sapore di chiuso, rapidamente scivolato dal naso alla gola, che costringe ad una rapida rassegna e alla fuga verso l’esterno.
Il tour proposto da Napoli Sotterranea comprende anche la visita del teatro greco- romano.
L’accesso ad una parte degli scavi si effettua entrando nel “basso” di un palazzo: i proprietari che ivi risiedevano furono indennizzati e delocalizzati.
Nel vascio, due letti singoli, una singer, una cucina economica, alcune credenze e cummò, stampe di santi e di madonne, ventiquattro chili di polvere su ogni suppellettile.
(la polvere rende bene l’idea del vecchio e dell’antico)
La guida prontamente sposta il letto e oooops, una botola.
Una botolona.
La solleva disvelando una scala che portava nella cantina che era un porzione di teatro romano.
Un po’ come usare il sacro graal per tenerci in ammollo i legumi.
Ma certamente, se non si sa che cazz è il sacro graal, se non si percepisce la sua “aura”, esso non è altro che un contenitore.
Del teatro greco-romano, inglobato nelle costruzioni successive, è stata portata allo scoperto solo una piccola parte: altra è sicuramente diventata mattone o pietra d’angolo per costruzioni lontane, e di questa visitabile - oltre alle mura costruite con l’ opus reticolatum e l’opus latericium, osservabili in segmenti lungo tutti i Decumani, e gratuitamente fruibili - c’è poco da vedere, per occhi non esperti.
(anche i miei, ça va sans dire: se teatro fu, non si vede )
Più che al teatro, penso ai proprietari del vascio la cui cantina era uno spazio del teatro: la botola era nascosta da un tappeto su cui poggiava il letto che aveva un sistema di scivoli e incastri, difficile accedere al "sottopiano".
Macchinoso, per essere l’ingresso di una cantina “perbene”.
Borsari neri?
Un teatro – l’appartamento rispettabile – sul teatro.
Un’altra parte muraria che apparteneva al teatro greco romano è visibile (visitabile mi pare inappropriato) accedendovi da un altro spazio “espropriato”: un’ ex bottega di falegnameria che ospita anche una collezione notevole di gruppi presepiali, natività e mestieri, posti ad altezza di occhio e di notevole fattura.
(gli scenari dei presepi sono lo specchio delle sovrapposizioni architettoniche e culturali della città. Il capitello corinzio dentro l’arcata gotica sopra il muro medioevale attraversato dalle erbacce e dalle palle di cannone)
E se da un lato penso, con una puntina di fastidio, che la cifra della città è quella dello sviluppo sommativo, per affollamento, per intasamento, per ottenebrazione, una linea barocca che tracima spesso nel caos, dall’altro penso, con una puntona di orgoglio, a quanti popoli e genti hanno la fortuna di cavalcare duemila anni di natura e cultura, di vedere l’antico che si innesta nel vecchio e nel nuovo e nel modernissimo, sopra e sotto terra, in un modo così “naturale”.
C’è chi può e chi non può.
Fortune.
(ma anche no)
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