Gli organi interni ispirano.
Ispirano soprattutto racconti legati alla scuola.
Tra il libro Cuore, il tripudio dei buoni e onesti e patriottici sentimenti e il libro Pancreas, il tripudio delle mazzate e delle battutacce da spogliatoio, ci sarebbe stato bene Fegato,
anche per la polivalenza del significato del fegato nei modi di dire: dal coraggio insito nell’avere fegato, alla sfrontatezza insita nell’avere un bel fegato fino alla rabbia prodotta dal rodersi il fegato.
Di Cuore ne ho parlato già qui, di Pancreas penso che non valga proprio la pena, perché se è vero che due pagine del libretto di Covatta Giobbe possono pur far ridere, le altre centocinquanta sono pari pari e il troppo stroppia e stucca più del troppo poco.
(farsi fare il solletico con una mazza chiodata)
Il libro Fegato c’è stato e ora non c’è più.
Aleggia vago nei ricordi.
Chiossape se qualcuno tra la trentina di quella classe conserva ancora i fogli ciclostilati, ripiegati e spillati al centro.
M. ci descriveva tutti, difetti vizi e vezzi.
Con ironia bonaria, e occhio fino.
Un compagno per pagina.
In rigoroso ordine alfabetico.
(Forse anche qualche professore ci finì dentro, ma la mia memoria a lungo termine non arriva a tanto)
Ricordo la meraviglia, che da M. il muchiusurdo, una roba così fu una vera sorpresa.
Di quell’anno e di quella trentina ho perso tutte le tracce.
Una labilissima è ricomparsa qualche tempo fa.
E da lei ho saputo che l’autore di Fegato è diventato famoso.
Un drammaturgo.
Eh, i muchiusurdi.
(Mannaggia alla mania di riordino che periodicamente si impone e mi fa buttare miliardi di fogli carte libri cartoline sticazzi che il riciclo è una virtù.)
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