Ai Wu Ming sto costruendo un altare.
Anzi, li sto raffigurando in un dipinto (facce di anonymous), da porre sull’architrave della casa dove abitano gli scrittori che ho letto.
Sono sull’architrave a ricordarmi che esiste un modo altro di pensare la scrittura e la letteratura, e il copyright, e la visibilità e l’apparenza e l’apparire e e e e.
(Lodabile, ne ho già detto a proposito di Manituana, qui)
Un modello, un esempio.
Come donna Gracia, Grazia Nasi alias Gracia Miquez alias Beatriz de Luna, la donna che aveva riscattato dalla schiavitù molti ebrei, e a molti ancora aveva dato rifugio e protezione durante le persecuzioni e gli esili della metà del 1500.
Il suo ritratto campeggiava nella casa del nipote, Yossef Nasi, alias Giuseppe Nasi alias João Miquez.
Yossef aveva un sogno molto più grande di quello che animava la zia sionista antelitteram: costruire uno regno dove potessero convivere in pace e armonia tutti i perseguitati per motivi religiosi, un luogo dove potesse trovare spazio il tempo degli ebrei, quello dei cristiani e quello dei musulmani, senza attriti e senza coperture, così come veniva scandito dal grande orologio inventato dallo scienziato Takiyuddin
Una terra in cui Yossef Nasi sarebbe stato re per concessione del sultano, in cambio del sostegno finanziario nella guerra contro la Serenissima.
Il regno di Cipro.
Cipro, roccaforte veneziana nel mare su cui si affacciava l’impero Ottomano.
Yossef Nasi era per i veneziani il nemico: l’ebreo che si era finto cristiano nelle peregrinazioni in Europa e che era al fine stato accolto a Costantinopoli dall’imperatore dei musulmani, il sultano; nulla di più diabolico e spregevole.
Così, prima di conoscerlo, lo considerava Emanuele de Zante alias Manuel Cardoso, il protagonista della vicenda, un ebreo trapiantato a Venezia e posto al servizio del Consigliere Nordio come spia, agente della sicurezza spinto alla ricerca dei nemici della Repubblica.
La copertina è tratta dal sito dei WuMing |
La vicenda raccontata in “Altai” copre pochi anni, dall’incendio dell’Arsenale di Venezia nel 1569 all’epilogo della battaglia di Lepanto, Lega Santa contro Impero Ottomano, nel 1571.
Lo sfondo storico è documentatissimo - sono bravi, sono bravi i Wu Ming – ; la prospettiva con cui viene letta la storia potrebbe essere considerata faziosa - le vicende legate alla battaglia di Lepanto viste con gli occhi degli ebrei - ma questa è faziosità di superficie, il senso è da tutt’altra parte, e comunque, ben venga una sana faziosità, cazzarola, che l’oggettività non esiste manco nei saggi palla, perché pure in quelli l’occhio del ricercatore allinea fatti e documenti privilegiando una certa prospettiva.
C’è un’anima inquieta in tutto il romanzo.
Non è più quella del protagonista di Q, il senza nome dai mille nomi, che assume un ruolo chiave, seppur da personaggio secondario, in questo Altai, un “ non seguito” del capolavoro di Luther Blissett.
Non è più l’esaltazione della disobbedienza a tutti i costi che si esprimeva nell’adesione a tutti i movimenti di rivolta verso qualunque forma di potere del senza nome dai mille nomi - Gustav Metzger, Gert dal Pozzo, Hans Grüeb, Ludwig Schaliedecker, Tiziano l’anabattista - fino all’ultima identità che assume prendendo il largo su una barca, Ismail il viaggiatore.
Ismail è diventato Ismail al Mokahawi.
E’ vecchio.
Dei suoi sogni non restano che briciole, e una comunità di Mokha che lo accoglie come un padre, avendola salvata senza che il sangue di nessuno venisse versato.
Arriva tardi, ancora una volta, tardi per incontrare Gracia, tardi per comprendere quale sarebbe dovuto essere il suo ruolo.
Perché se è vero che sulla terra migliaia sono i cani, servi dei padroni, è anche vero che il cielo pullula di Altai.
“E’ un falco molto robusto, fedele, facile da addestrare. Non occorre far nulla, con un altai, e un buon falconiere fa il meno possibile. E’ la natura del falco che lo spinge in volo e gli fa conficcare gli artigli sulla preda. Se vuoi che lo faccia per te, devi solo mostrargli qual è il suo vantaggio.”
Un irreparabile senso di sconfitta.
“... di fronte a un deserto, un fiume ha due scelte: gettarsi con foga tra le sabbie, determinato ad attraversarle e irrigarle, con il rischio di seccarsi e spegnersi per sempre, oppure evaporare e diventare nuvola, per volare sopra il deserto e, piovendo sulle montagne, tornare fiume.”
Ismail
“Ripensò alle parole della storia. Era un parabola sufi, l'aveva udita molte volte, in molte diverse varianti e conosceva il finale: al tempo del disgelo la neve si scioglieva e il fiume tornava ad essere se stesso. Quella era stata la sua vita, per molti anni. Lasciarsi portare dal vento oltre le sabbie e ricominciare a ogni pioggia. Ora non temeva più di trasformarsi in palude, e dare acqua al deserto gli sembrava altrettanto nobile che correre tra gli argini e irrigare la pianura.”
Un irreparabile senso di sconfitta o piuttosto la consapevolezza che occorre comprendere quando è il momento di fermarsi, e che ai sogni di trasformare il mondo in senso epico sia meglio…
Sia meglio cosa?
Ma Altai non è solo ripiegamento.
E’ anche occasione di riflessione su molti temi, ma soprattutto sulla traccia che credo sia il fondo morale del libro: il senso dell’identità.
Non a caso i personaggi più interessanti sono quelli che hanno sperimentato più “identità”, come il protagonista, Grazia e Yussef Nasi, e Ismail.
Identità come limite e costrizione.
(vallo a spiegare ai nazionalisti, agli omologatori, a chi vorrebbe una sola nera bandiera su terre e terre, eccetera eccetara)
Sai che io, invece, purtroppo, non riesco mai a farmi piacere fino in fondo i libri dei Wu Ming: li trovo dei libri, più che sanamente faziosi, troppo costruiti a tavolino con un'attenzione eccessiva al "politicamente corretto" dei nostri giorni e con uno stile fin troppo confuso, fino, in alcune parti, al limite della sciatteria. Quello che mi interessa di più del loro progetto è la libertá dal copyright e la lotta al puro apparire nei salotti letterari. Altro che Elena Ferrante! Comunque non abbastanza per farne la mia lettura preferita.
RispondiEliminaLe cose che ti interessano per me rendono veniale qualunque "difettuccio". :)
RispondiEliminaLa costruzione a tavolino ci deve essere per forza, metti d'accordo 4 cape, 8 mani e 16 occhi:)
(e qualche disomogeneità non può venir ammacchiata fino in fondo)
:)
E che d'è? La Ferrante furoreggia oggi... Stai a vedere che stanotte me la sogno, povera a mme.
RispondiEliminaAdoro i Wu Ming per i tuoi medesimi motivi. Ho letto solo "Q" (capolavoro!) e "L'armata dei sonnambuli" (un po' minore, un filo 'sciatto' sebbene la ricostruzione storica sia meravigliosa, il protagonista anche e le figure femminili, tutte grandiose, nel male e nel bene).
Letta la tua recensione "Altai" di corsa.
mi spiace di non essere riuscita a commentare né l'uno né l'altro. Hai presente quando la capa gira come una trottola per le troppe sensazioni? Devo riprenderli. Dopo Altai.
Grazie :-)