Il film - mi dicono - è una semiboiata.
Il libro invece ha un suo perchè.
Agli ammmericani, e non solo, il tema della famigghia come covo di istruzione e distruzione deve essere caro assai.
Per un nanosecondo mi sono passati davanti agli occhi i Franzen, le Oates, i Roth (poi mi sono obbligata a deviare la mente altrove per evitare la valanga di macedonia di pagine)
Anche Wilson Kevin, giovane autore ammericano, scrive fondamentalmente del rapporto genitori/figli, di genitori che non sono pronti ad avere figlie e delle percussioni che le loro azioni hanno sui poveri pargoletti destinati a diventare adulti fragili e problematici, della difficoltà che i figli incontrano nel tentativo di liberarsi dal peso che i genitori hanno loro piazzato sulle spalle.
Tuttavia lo fa in modo tale da far sembrare, ma soltanto sembrare, che il problema riguardi esclusivamente i personaggi del romanzo.
Cosa sia l’arte, dove possa spingersi il concetto di creazione artistica e l’avanguardia, che pure appaiono come nodi portanti del romanzo, sono solo pretesti per mettere in gioco altri fattori.
Caleb e Camille Fang, artisti, prima professore e alunna, poi compagni nella vita e nell’arte, sono i genitori di A e B, ovvero di Annie e Buster.
La loro idea dell’arte è una concezione globale, che investe la vita e che ha come scopo la destabilizzazione, il caos, il disordine e il disorientamento.
Le loro opere sono performance evenemenziali esplicate nei luoghi più apparentemente lontani dalla fruizione e dalla azione artistica: supermercati, gallerie commerciali, ristoranti.
Ordinari luoghi di comune frequentazione.
Luoghi dove il pubblico è suo malgrado spettatore e attore.
(uhh, ma nelle gallerie commerciali davvero il “pubblico” è spettatore e attore, a prescindere dai Fang!)
A e B, i due fratelli, diventano pedine indispensabili perché l’evento abbia luogo.
Pedine, prive di capacità decisionali, di capacità oppositive: oggetti strumentali alla realizzazione del progetto di vita e arte dei propri genitori.
La famiglia Fang è essa stessa un prodotto “artistico” – creativo.
Falso e falsato, naturalmente, come gli oltre trenta matrimoni di Caleb e Camille.
Aspettative, proiezioni, investimenti e ricatti emotivi.
Famiglia Fang o famiglia Pinco Pallino, il risultato talvolta non cambia.
[ “aggio fatt ‘e cucchiarelle pe nun me scuttà ‘e mmane”, diceva una nonna (non La Nonna mia) riferendosi alle figlie femmine ]
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