venerdì 27 gennaio 2017

I sommersi e i salvati




Primo Levi muore suicida nella sua casa l’11 aprile del 1987.
Il Centro Internazionale di studi Primo Levi non prende in considerazione l’ipotesi di caduta accidentale come si suppone altrove.
Durante la lettura de I sommersi e salvati, come in un pendolo il mio pensiero è oscillato tra le parole dell’autore e la sua morte.

Mi sentivo innocente, ma intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti. (…)
Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. E’ questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco (…). Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto.; ma sono loro, i “mussulmani", i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deposizione avrebbe avuto significato generale. Loro sono la regola, noi l’eccezione.”

Nel saggio non c’è risentimento, rabbia, sentimento di rivalsa.
Nessuna maledizione per chi dimentica, nessun “i vostri cari torcano il viso da voi”.
Vi è anzi un tentativo di rispondere a chi, soprattutto tra le generazioni più giovani – la deformazione della memoria – non riesce a capire come sia stato possibile, perché sia stato accettato.
Levi spiega e analizza con pacatezza, con lucidità.
Scava anche in quella terribile zona grigia in virtù della quale vittime si sono fatte carnefici, in quella zona da cui sono venuti fuori molti dei salvati.
Spiega perché tra i sistemi concentrazionari quelli nazisti hanno avuto una specificità che li connota come fatto unico nella storia dell’umanità.

Dipana la differenza tra violenza utile e violenza inutile: la seconda caratteristica propria del nazismo e dei suoi campi di sterminio.
Riconosce, già ad inizio capitolo, quanto sia provocatoria una tale analisi.
E’ difficile accettare anche solo l’idea di una violenza utile, figurarsi quella inutile.
Però Levi non si nasconde dietro il dito, e apre il sipario su una realtà che proprio perché è stata tale non può essere né dimenticata né equiparata ad altre.
[E’ utile tagliare la testa ad un ostaggio filmando l’atto affinchè venga visto da tanti?]

I nazisti cercarono di cancellare le tracce.
Nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma anche se qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà.”
Levi, che ha fatto della testimonianza l’ammenda della colpa di essersi salvato, si è ucciso poco tempo dopo la pubblicazione de I sommersi e i salvati, e tre mesi dopo aver scritto l’articolo pubblicato su La Stampa riguardo la banalizzazione della strage nazista, l’equiparazione ai gulag, ad esempio.

Ho provato oppressione e disagio. E anche un po’ di vergogna.
Perché io, - anche io, so di non essere sola - ho spesso sbottato di fronte alla retorica del giorno della memoria.


2 commenti:

  1. E' profonda la tua riflessione e assolutamente utile.
    Per qualche verso, l'espressione "banalità del male" è quella che spiega meglio il tuo/nostro disagio rispetto ai fatti, alla memoria e ai modi della celebrazione della memoria.
    In effetti, la banalità del male, di quel male, non riesce né a tenersi dentro le righe di una celebrazione, né ad uscirne in tutta la sua drammaticità.
    La retorica della celebrazione della memoria sembrerebbe, talvolta, avere un effetto di "attenuazione" del male; questo accade quando, come avviene quasi sempre, si passa quasi solo attraverso l'effetto delle voci/racconto delle vittime. E, se da un canto si tratta di una drammatizzazione sicuramente necessaria, soprattutto per i più giovani e meno informati, d'altra parte rischia di ripulire il male dalla spessa patina della banalità, il suo nodo più doloroso e più inquietante.
    Forse bisognerebbe proporre di più le testimonianze dei carnefici, le giustificazioni da loro portate davanti ai tribunali per capire l'assoluto non-senso di quel che è accaduto. Forse.

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    1. Penso che la banalizzazione della memoria sia nell'affidarsi a voci spurie, a slogan triti, a immagini che millanta volte sono passate davanti agli occhi perdendo senso.
      Bisognerebbe leggere le voci autentiche delle vittime, non l'eco delle loro voci. Ma ciò richiede attenzione lunga, approfondimento. Non funziona purtroppo nel mondo rapido dei twitt e dei mi piace. :(

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