lunedì 8 agosto 2011

Napoletanità


Duri a morire, i pregiudizi sul carattere nazionale dei popoli. E naturalmente, da campanile  a campanile,  anche quelli sul carattere degli abitanti di un luogo specifico  dentro la nazione.
I genovesi sono tirchi, i siciliani sono gelosi,  i piemontesi  “falsi e cortesi”,  e i napoletani.
Vabbuò. 
Qua si sciala. Si abbonda, chi più ne ha più ne metta.
Naturalmente, non posso che aborrire  questa orribile tendenza al pregiudizio, che assurdità   fare di tutta un’erba un fascio, lasciarsi abbindolare da aggettivazioni che non hanno alcun presupposto e fondamento storico e scientifico.

“Gli stereotipi sono irritanti. Lo sono per chi li usa: nessuno vuole ammettere di ragionare per stereotipi e tanto meno vuole che glielo si dica. A maggior ragione per chi ne è oggetto, gli stereotipi sono irritanti: anche se il contenuto non è negativo, nessuno è contento di vedersi ridotto a una o due caratteristiche della propria identità e fissato per sempre ad esse”

Amalia Signorelli   "Cultura popolare a Napoli e in Campania nel Novecento"


Quando poi mi capitano sotto mano libri scritti da napoletani, che parlano della città in modo tale che altro che stereotipo -  levati, guagliò -  il livello di irritazione raggiunge dimensioni cosmiche.

"Sa qual è uno dei talenti più spiccati della storia dei napoletani, Presidente? 
"L'alleggerimento ironico dei guai?" "No. E' la lamentazione. Nell'arco di centinaia di anni Napoli ha elaborato una raffinatissima strategia della lamentazione. Per ellenizzare potrei dire che laggiù abita un popolo logolamentazionale. Secondo i napoletani, la colpa di tutte le catastrofi e di tutto il male, una volta è di San Gennaro, una volta del Vesuvio, una volta degli Angioini, una volta dei tedeschi, una volta del terremoto e una volta degli americani, una volta della Prima guerra mondiale e una volta della Seconda, una volta del Nord e la volta appresso del colera. Ecco, la colpa è sempre di una terza persona di un'altra cosa, I napoletani si credono innocenti. Innalzano il loro canto lamentevole contro il destino, si fanno la ninna nanna da soli e si addormentano."

Ruggero Cappuccio  "Fuoco su Napoli"  premio Napoli 2011

Però.
Posso dargli torto? 
E allora, scorrettezza per scorrettezza,  ho pensato a quale possa essere  lo stereotipo degli stereotipi, la madre di tutti gli stereotipi sulla napoletanità, lo stesso che genera le mappate di stereotipi sui napoletani e  di cui è impregnato il libro di Cappuccio.
L’esagerazione. 
La messa in scena dell’abnorme, abnorme strazio dei sentimenti (‘o zappatore nun sa scorda a mamma), abnorme gesticolazione, abnormi magnate, abnorme produzione di munnezza, tutto fuori misura. 
Le smargiassate del mettere acoppa.
(La quintessenza del barocchismo)
Tale e quale al libro di Cappuccio,  dove pure l’uso della metafora è abnorme, tanto da essere stucchevole,  effetto cachisso ‘nzuarato.

Ah, l’equilibrio, la misura, la sottile linea mediana che permette di camminare sopra un filo senza cadere.
(e pure questo suonno è un’esagerazione. Marò, non c’è scampo)

7 commenti:

  1. Hai ragione, spesso si ragiona per generalizzazioni, che finiscono per trascurare le sfumature, i dettagli, le singolarità, che sono altrettanto importanti del "generale" - ammesso poi che un ritratto della "generalità" sia possibile... spesso è frutto di impressioni e idiosincrasie tipiche di chi lo fa, quel ritratto.
    Comunque, alcuni stereotipi riguardanti Napoli si estendono all'ex regno di Napoli, e quindi anche alla sponda adriatica (pugliese, per la precisione) dalla quale ti scrivo.
    Una sera assistetti infatti nella "gloriosa" libreria Laterza di Bari a un dibattito nel quale l'ospite napoletano, autore di un volume, e il pubblico, discutevano per venire a capo della seguente questione: ma di chi è la colpa, se oggi al Sud stiamo "messi così"? E ci si divideva più o meno equamente fra coloro che sostenevano che "la colpa è del Nord, che ci ha impoveriti, ecc." e altri che invece dicevano: "Io anche se sono meridionale, mi sono scocciato di sentire piagnistei: la colpa è nostra, che non ci rimbocchiamo le maniche...".
    Il dibattito poteva, e potrebbe, andare avanti all'infinito: sono due generalizzazioni, o due stereotipi, che si sfidano a duello, senza mai poter vincere. Perché forse, come giustamente dici, bisognerebbe concentrarsi sulla ricerca della misura, dell'equilibrio...

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  2. Sì, concentrarsi " sull'equilibrio,sulla misura, sulla sottile linea mediana" questa potrebbe essere una soluzione e non solo per Napoli.

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  3. La virtù sta nel mezzo, tra due vizi opposti, ben lontana da entrambi. (Orazio)

    Pier

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  4. L'effetto "cachisso ‘nzuarato" mi ha molto colpito. Nell'attesa di delucidazioni, rifletto. Sul fatto che di stereotipi generali non se ne può più, è vero. E mi pare che in questo paese si vada sempre più in direzione della macchietta, da questo punto di vista, invece di cominciare a superare, una buona volta, questi luoghi comuni da film anni '50.
    Poi rifletto sul perché, pur non essendo napoletana (stando a ciò che mi risulta, almeno), a volte la tendenza al barocchismo, alla drammatizzazione, all'esagerazione ce l'ho eccome. In genere me la tengo per me, nel senso che ingigantisco e drammatizzo tutto dentro; da fuori sembro - o posso sembrare - abbastanza equilibrata. Abbastanza. Bah.
    Saluti!

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  5. Ma la cosa brutta degli stereotipi sai qual è? Che ingarrano sempre. Triste, sì, ma vero. Sarebbe meglio imparare a conviverci.
    Tu, per esempio, ne hai pensato uno, quello dell'esagerazione, che è verissimo. Variante fedele ne è il "mettere acopp".

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  6. PREGI E DIFETTI DEL PREGIUDIZIO
    Una barzelletta che girava alcuni anni fa per Milano e dintorni: lungo una strada che attraversa le risaie passano lentamente due uomini di colore a cavallo, uno con il fucile in braccio, controllando che il lavoro venga ben eseguito. E dall’acqua, da una delle persone piegate nello sforzo di cogliere il riso si alza lentamente una voce: «Oh mia bella Madunina...» cui risponde un coro straziante «che te brilett de lontan...». Quello in comando si ferma e commenta:
    «Non c’è niente da fare, questi lumbard hanno la musica nel sangue».

    È una storiella che capovolge uno dei più fortunati e diffusi stereotipi razziali, quello secondo cui i neri hanno la musica nel sangue. Ma come ha fatto a finirci, nel loro sangue, la musica, e perché non è finita, invece, nel nostro? [...] Cosa c’è, esattamente, nel sangue? Solo oggi stiamo cominciando a capirlo, anche se molti aspetti della questione ancora ci sfuggono.
    Da "Sono razzista ma sto cercando di smettere", Barbujani-Cheli, Laterza 2008

    Ciao ciao

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  7. Una mia amica invece ha studiato gli stereotipi come mezzo educativo. Cioè, visto che ragioniamo per stereotipi, perché non usarli nella didattica? Forse è il modo migliore per conoscerli e per educarsi a non cadere nel pregiudizio. Rintracciare gli stereotipi che a bizzeffe usiamo ogni giorno.

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