sabato 18 febbraio 2012

Carnevali


"Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti, esaltandosi dalle loro stesse grida. Erano maschere contadine. Erano tutte bianche: in capo avevano dei berretti di maglia o delle calze bianche che pendevano da un lato e dei pennacchi bianchi; il viso era infarinato; erano vestiti di camicie bianche e anche le scarpe erano coperte di bianco. Portavano in  mano delle pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano demoni scatenati; pieni di entusiasmo feroce, per quel solo momento di follia e di impunità, tanto più folle e imprevedibile in quell’aria virtuosa. Mi ricordai della notte di san Giovanni a Roma, quando i giovani vanno in giro picchiando con delle grosse teste d’aglio: ma quella è una notte di felicità collettiva e fallica, di baldoria dinanzi agli enormi piatti di lumache, con i fuochi, i canti, le danze e gli amori nel tepore benigno del cielo estivo. I battitori di Gagliano erano invece soli, e solitari in una sforzata e cupa follia; si compensavano degli stenti e della schiavitù con un simulacro di libertà, pieno di eccesso e di ferocia vera. I tre fantasmi bianchi picchiavano senza misericordia chi veniva a tiro, senza distinguere, poiché una volta tanto tutto era lecito, fra signori e contadini, e tenevano tutta la strada in salti obliqui, presi dal furore, gridando invasati, scuotendo nei balzi le bianche penne, come degli amok incruenti, o dei danzatori di una sacra danza del terrore."

Carlo Levi  - Cristo si è fermato ad Eboli 



Non mi ricordo dei carnevali bambini, anche se esistono le prove (fotografie: damina, fatina, cenerentola).
Mi ricordo però dei veglioni  anni più in là (sopra tutti, la melanzana, con tanto di turzo verde in capa)
E della fuggente visione dal finestrino della macchina, verso Calvi risorta (forse, o Capua?)  di  bambini vestiti di bianco, come i fantasmi di Gagliano.

Mi ricordo che, prima delle ordinanze “civilizzatrici” dei sindaci e dei vigili urbani,  era un’impresa sfuggire al lancio di uova e farina (il coprifuoco diurno di Carnevale, e i pulmann arancioni coi finestrini a macchie gialle).
Anche adesso lo è, all’entrata e uscita dalle  scuole di periferia, senza farina, fa meno danno dell’uovo marcio e della bomboletta di schiuma.
(pare che il divertimento sia tutto nel colpire chi non dà nessun segno di voler partecipare al gioco)

Penso a Bachtin (un gioco da poveri), e al pomposone carnevale di Venezia (un gioco da ricchi).

E  una scena.
Ero poco più che ragazzina. 
Uscendo dall’ascensore, mi trovai davanti la famiglia nonmiricordopiùilcognome interamente abbardata.
Abitavano al pianterreno. Nulla oltre il buongiorno e il buonasera.
Le figlie: damina fatina damina.
La madre e il padre: hawaiani.
Ricordo i gonnellini di paglia che danzavano oltre i cappotti aperti,  le cosce nude, pelose quelle del padre, un ometto piccolo e calvo dall’aspetto mite e dimesso, glabre quelle della madre, una femminona con fluente chioma tinto bionda.
E le collane e le cavigliere e le coroncine di fiori di carta colorata fatte artigianalmente in casa.
Ricordo le punte di ammirazione e invidia: mia madre al massimo avrebbe acconsentito ad una parrucca, mio padre neanche ad un tocco di borotalco sulle guance severe.

Del carnevale, mi piace il mettersi in gioco e il gioco del travestimento.
(mi voglio vestire da Cleopatra, o da caffettiera, o da albero, o da vichingo)



4 commenti:

  1. Quando ero piccola per due o tre anni durante il Carnevale mia mamma mi ha vestito in maschera da ussaro. Mi divertivo pazzamente e quel colbacco e la giacca rossa con gli alamari portata obliqua sulla spalla me li sogno ancora.

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    1. Il colbacco!!!! :D (e ora, da cosa vuoi travestirti, Grazia?)

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  2. A parte una volta come moschettiere non ricordo altri travestimenti nella mia infanzia, semmai ne ricordo uno più divertente da trentenne, mi vestii da precipitato, dai capelli alle stringhe delle scarpe tutto volava all'insù.

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  3. Non mi travestivo, ero già asociale. Due volte infransi la regola. La prima con una fessa parrucca (null'altro) mi travestii da Mago G (quello della Galbusera). La seconda più ardimentosa mi travestii insieme col meglio amico mio da bagnante: semplicemente arrivammo ad una festa in costume zoccoli e un ombrellone (marò che fridd).

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