C’è un motivo per cui Natura morta con picchio ha stazionato sotto i miei occhi per un fottio di tempo, che manco Dostoevskij.
Anzi più di uno.
Ruzzle, il primo.
Vita e opinioni di Tristan Shandy di Sterne, secondo.
Le montagne di chiacchiere dell’uno e dell’altro, terzo.
Non è possibile fare un confronto tra i due libri, non è questione di stelle e stalle: sono inconfrontabili, carne e pesce.
Tuttavia una sottile linea li unisce: il piacere della divagazione, che determina l’ inevitabile caduta della mia concentrazione e attenzione, visto che già autonomamente e senza particolari sollecitazioni divago pure su un monolite.
Tra i tanti, tantissimi fuori traccia di Natura morta con picchio – del resto lo dice pure Robbins, che è “l’incontro ravvicinato tra oggetti animati e oggetti inanimati uno dei temi del libro” , oltre alla parentesi sulla mitologia del fuoco legata all’atto del fumare, almeno un altro.
Pioggia.
“Sul continente pioveva. La celebre pioggia di Seattle. La sottile pioggia grigia che i funghi velenosi adorano. La persistente pioggia che conosce ogni più nascosto accesso nei colletti e nelle sporte. La pioggia quieta che sa arrugginire un tetto di latta senza che questo faccia il benché minimo rumorino di protesta. La sciamanica pioggia che alimenta l’immaginazione. La pioggia che sembra in realtà un idioma segreto, un sussurro simile all’estasi del primitivi, all’essenza delle cose. In realtà la pioggia serve a molte cose. Impedisce al sangue e al mare di farsi troppo salati. Somministra gocce da K.O. alle viole indisciplinate. Erige la scala che il neon risale fino alla luna.”
Manco sotto sforzo e dietro lauto compenso, riuscirei ad associare alla pioggia immagini poetiche, quale idioma segreto e sussurro simile all’estasi dei primitivi, e se piove nel pineto e il verde vigor rude ci allaccia i malleoli ci intrica i ginocchi, penso solo che affondiamo nella lota e gli inzaccheri di fango ci arrivano fin sotto le mutande.
In ordine, quando il pleut, penso a:
- gli ombrelli che quando servono non ci sono mai, se appena comprati si perdono immediatamente, lasciati in ogni dove, restano gli stazionanti nel portaombrelli che sono scassati e dovrebbero stare nella munnezza, intanto possono ancora servire, tenendo la stecca dritta con una mano.
- le scarpe inzuppate e anche i pantaloni, che fanno quel simpatico effetto risucchia acqua, assorbendola in verticale.
- l’effetto umidiccio che pare attraversare, manco un raggio x, finanche il midollo osseo.
- il colore plumbeo del cielo quando dovrebbero comparire le dita rosa di Eos, fatto che mi si macigna nel cervello e mi dispone malamente per tutto il giorno (meteoropatismo acuto)
- i lavaroni che coprono i fuossi nella strada che abitualmente percorro per andare al lavoro, e anche se conosco le buche ad occhi chiusi e zigzago a memoria, resta sempre l’incognita dell’apertura di nuove voragini subdolamente nascoste dall’acqua.
Potrei continuare ad libitum.
Lo faccio fare a Luciano Folgore.
Alla sua rivisitazione de “La pioggia nel pineto”
La pioggia sul cappello.
Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo l’ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracne e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sopra i catoni,
e, quello ch’è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro! ....
L’odi tu? Non è di passaggio
come l’acqua
di maggio,
che sciacqua la terra e la monda.
Sgronda terribilmente;
si sente il blasfemo
di un polifèmo ambulante,
si veggono ninfe e atalante
fuggire in un angiporto;
Plutone più vivo che morto
si pone una nivea pezzuola
sul feltro che cola;
Diana s’accorcia la tunica
fin quasi all’altezza del femore,
e Dedalo immemore a Marte
con toga a due petti e speroni
s’impalano ai muri con arte
per evitare i doccioni.
Cibele fa segno all’auriga
che incurva il soffietto alla biga,
e monta sul cocchio
mentre la furia di Eolo
le palpa il malleolo
le morde il polpaccio,
si sfibia
d’intorno allo stinco e alla tibia.
Bagnati dal coccige al collo,
dal naso al tallone d’Achille,
fradici fino al midollo,
cugini alle anguille,
nubili d’ombrello,
col solo cappello,
sentiamo che l’essere anfibi
sarebbe un superbo destino,
te biscia,
io girino,
e liscia la piova del giorno
ci colerebbe d’attorno,
non come Issïone
che fece la ruota a Giunone,
ma pari al Tritone
cui Teti concesse
- regalo di nume -
di potersi fare
un ampio palamidone
di schiume di mare.
E piove sempre,
sul càmice mio,
sul peplo tuo
colore oramai dell’oblio,
piove sul croceo e l’eburno
del tuo moccichino di seta,
piove sul cromo del mio coturno
che s’impatacca di creta,
piove sopra il cinabro
che t’impomidaura il labro,
piove sui tremoli tocchi
che t’anneriscono gli occhi,
e andiamo d’androne
in androne,
con facce da mascherone,
squadrandoci obliquamente
se qualche pozza lucente
ci specchia e ci invecchia
per farci morir di furore,
Narcisi
dai visi colore
di colla di paglia,
di succo di nastro,
d’impiastro di minio,
di guazzo assassino
di cipria e di carboncino.
E piove a dirotto
da tutte le nubi,
piove dai tubi
sfasciati
dell’acquedotto
del cielo,
piove sui cani spelati,
piove sul melo e sul tiglio,
piove sul padre e sul figlio,
piove sui putti lattanti
sui sandali rutilanti,
su Pègaso bolso,
su orïolo da polso,
piove sul tuo vestitino,
che m’è costato un tesauro,
piove sulla salvia e sul lauro
sull’erbetta e sul rosmarino,
piove sulle vergini schive,
piove su Pàsife e Bacco,
piove persin sulle pive
nel sacco.
E piove sopra tutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa l’ombrello
nei giorni di mezza stagione.
E annegando senza ombrello
RispondiEliminagetto via pure il cappello.
Lo pesticcio e un po' m'offendo
perché il cielo sta piangendo.
Non mi giova per Giunone
inzupparmi da coglione.
:)
Detesto la pioggia.
e sono due :)
Elimina(tv e pioggia)
ahh, fratè!!
...e vivendo in un paese
RispondiEliminadove piove a più riprese,
dove il tempo è spesso matto,
alla pioggia, ahimé, mi adatto...
appunto, ahité :)
Elimina(adattarsi, insomma, mica ti fa piacere)
Quando piove e sono con te e c'è l'ombrello,
RispondiEliminanon andiamo 'or congiunti or disciolti',
ma unita a me di spalla tu parli e ascolti,
e io così sono più bello.
Grazie, chiunque tu sia:)
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