Il protagonista di le notti bianche è un sognatore, un
timido, un esiliato dalla vita sociale.
Eppure, come tutti i sognatori e i romantici, non disprezza
gli uomini, il contatto umano, l’ammore.
Anzi, nonostante non parli con nessuno, non abbia amici,
desidera così ardentemente “l’altro” che gli pesa la Pietroburgo vuota, coi suoi
abitanti riversi nelle dacie in campagna a godersi l’arrivo della primavera, e
si riduce a scambiare parole coi palazzi,
quasi fossero animati.
E’ così tanto bisognoso di “umanità” che, incontrata una ragazza durante una passeggiata,
complice un evento casuale, attacca
bottone.
Lui, il timido, l’esiliato.
Le parla di sè, oibò, le tiene la mano.
(lui, il timido, l’esiliato, il sognatore)
Lei, Nasten' ka, ricambia le attenzioni.
E’ legata con una spilla da balia alla nonna, e da una
promessa ad un uomo.
(Ahh, quanto è volubile l’animo delle donne, qual piuma al
vento…)
Chi di sogno ferisce di sogno perisce: l’eroe romantico aiuta la fanciulla a ritrovare l’antico e non del tutto perduto amore spingendola a scrivergli una lettera e
recapitandogliela.
L’illusione di un amore possibile, anche se per una delle
parti è solo un amore di ripiego [chiodo
schiaccia chiodo, e che palla tutti quei
" vi amo quanto vi amo vi amo come fratello perchè non vi amo quanto amo
lui] è presto cancellata dalla disillusione.
Tuttavia, quanta generosità, quanta bontà e riconoscenza,
per tre notti di sorrisi e di strette di mano.
"Dio mio! Un intero attimo di beatitudine! Ed è forse
poco seppure nell'intera vita di un uomo?..."
Risponderei con il cinismo che mi è proprio, sì, è troppo
poco un attimo soltanto di beatitudine.
Proprio non sono una sognatrice.
[Nemmeno un cronopio, purtroppo per me, a volte un
tantinello fama]
Comunque, anche se non
è stata una lettura di quelle che m’hanno fatto eco, una di quelle che mi
hanno rimbombato negli interstizi della
mente e della panza, con piglio di burocrate mi tocca fare ammissione
di originalità almeno su alcuni aspetti del racconto: la scenografia ridotta all’osso,
la presentazione semi-monologante dei
due unici personaggi (Racconta!
Ascolta!) tale che il romanzo sembra
aver un impianto teatrale: la scena con
il ponte, la scena con la panchina.
Il tutto funziona come una sorta di occhio di bue che sfonda
le gabbie toraciche e le scatole craniche dei protagonisti: la donna mobile e
il sognatore.
Però mi chiedo se non l'avesse scritto Dosto, ma che so, Novikov Aleksey cosa si sarebbe detto di questo libro, romanzo sentimentale.
Certo, alcuni temi della sua poetica vi si intravedono in nuce, ma quanta distanza
dalla produzione matura.
(il sognatore, così ben disposto verso l’umanità, mi pare un
Aljosa imperfetto)
Non so.
Forse è tutta una questione di archetipi (o di condizionamenti).
Devo ammettere che l'ho lasciato a metà. Forse in questi dialoghi non ho trovato corrispondenza e empatia, forse l'ambientazione fin troppo teatrale, forse la mancanza di eventi ....o forse, semplicemente, Dosto è troppo per me: non ci arrivo!
RispondiEliminaEppure è un libricino piccino picciò, 'nu muorzo, si legge prestissimo...
EliminaEscludo categoricamente che l'ultima cosa che scrivi sia vera.
Sicuramente tutto il resto :)