Al teatro tenda, sic et
sempliciter, c’era Pinuccio, prima che
occorressero gli stadi e piazza del Plebiscito fino a Toledo e oltre.
Il Palapartenope e
Fuorigrotta non sono più come un tempo.
Ma cosa lo è?
Qualcosa migliora invecchiando (non solo il vino), ma in genere, come diceva la nonna mia, ogni scarpa
addiventa scarpone.
(Meno male che ci stavano tanti scarponi, più scarponi che guagliuncielli, che
altrimenti, eh)
Il concerto è preannunciato dal pazzariello.
Un incipit difficilmente esportabile, e non mi dispiace, che
le radici, anche se aeree, non sono
acqua.
'O pazzariello lo dice, ci stanno le guests stars, ne prendi
tanti al prezzo di uno.
Certo, anche al momento della prevendita, si sapeva che il
concerto sarebbe stato Pino Daniele + special guests.
Tante.
Nel calderone ci sono entrati Clementino (che è davvero nu guaglione
checazzo), Eugenio Bennato, sempre con la
stessa espressione sfasteriata di chi ha passato un guaio nero, Lina
Sastri e Teresa de Sio che seppur ottimamente conservate hanno modificato in pernacchie le voci, Raiz e Osanna, i padri del progressivo, la cantante celtico-napoletana (!!!) Jenny
Sorrenti, il burdellaro Tullio De Piscopo e il mistico (accussì li ho
sempre chiamati in capa mia) Tony Esposito, ‘o vucione di James Senese e il
maestro Rino Zurzolo e mò mi sfugge una paranza di nomi, ma tant’è.
Tre ore di musica, una scaletta che manco mi ricordo più.
Ahh, la Nuova compagnia
di canto popolare, quella che ha dato
inizio, con la Tammurriata nera.
“Eh, però – dice l’amica mia – io volevo sentire il concerto
di Pino Daniele”.
Ci sta, ci sta.
Ma.
Mi chiedo se riuscirebbe a tenerlo da solo, un concerto
intero.
Mi chiedo se ce la farebbe ancora, a cantare e suonare anche
per soltanto mezzora filata, mentre a
uno a uno, a gruppi, in combinazioni
insolite (Tullio De Piscopo e gli A67 fanno scintille) vecchi e nuovi compagni di
strada, la carica dei trecento, tengono
da soli il palco, oppure lo accompagnano o si fanno accompagnare nei pezzi forti.
E non c’è niente da fare, Pinuccio quando tocca la chitarra è sempre un
masto, e si impone, tra gli strumenti e
sulle voci degli altri, il caldo e roco
e profondo e dolente timbro della sua
voce.
Quasi quella di una volta.
Tra tutti i pezzi, alla faccia del rock progressivo,
quello da brividi ‘ncuollo, da buco nel lago del cuore, è fatto da voce e chitarre.
Solo voce e chitarre.
Appocundria.
Una bella botta.
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