domenica 12 gennaio 2014

Novella degli scacchi ed elogio alla follia

Non ne capisco un cavolo di scacchi. Non ho la più pallida idea di come si muovano i pezzi, di quali siano le mosse da fare, da prevedere, di quali siano le regole del gioco:   eppure la Novella degli scacchi di  Stefan Zweig mi è garbata.
Gli scacchi, il gioco e la sfida,  non sono che una metafora  della visione del mondo di Zweig: sconfitta,  o meglio ancora rinuncia, come quella che lo stesso autore si apprestava a compiere nella vita reale: il suo ultimo racconto prima del suicidio.

La prefazione di  Daniele Del Giudice, da leggere rigorosamente dopo,  mette in evidenza chi si contrappone nelle partite a bordo della nave diretta in America: i "nemici" non sono tanto l’uomo rozzo e con un solo talento, il campione degli scacchi che “monetarizza” la sua unica abilità, simbolo del nuovo modello di umanità che la società del ‘900 impone,  e  il signor B., avvocato , che ha scoperto il gioco degli scacchi  durante la segregazione  ad opera della Gestapo, e lo ha trasformato in un procedimento mentale atto alla sopravvivenza ma destinato a  diventare squilibrio.
I veri “antagonisti”, dice Del Giudice,  sono  Czentovič  e il narratore,  ovvero  la voce e lo sguardo di Zweig,  ancorato  al modello di uomo “aristocratico” dell’800, incapace di  “considerare” l’uomo nuovo, il nuovo cliente, ma  al suo cospetto  irrimediabilmente perdente.

Mano a mano che il pedale della narrazione appoggia su una metafora secca, quasi senza accorgercene scivoliamo da un conflitto a un altro: l’opposizione non riguarda più due manie contrapposte, una naturale e l’altra forzata, né la tragica resistenza spirituale contro il nazismo, bensì il tramonto dell’anima aristocratica, sensibile tormentata costretta a soccombere di fronte a un’intelligenza arrogante, selettiva e perciò “vincente”. E da qui in poi cominciamo a tenere sempre più per Czentovič e un po’ meno per Zweig.

Non ho alcuna particolare (anzi, alcuna senza particolare) ammirazione per chi concentra tutto sull'abilità unica, e ne fa il perno della propria esistenza o dei propri sogni, e penso ad esempio a chi guadagna più dei passeggeri di un vagone della metropolitana messi insieme solo perchè sa menare la palla in una porta.
[Sono  fuori moda senza  alcun appello]
In realtà mano a mano che il pedale ecceteraeccetera,  non ho mai cominciato a tenere per  il contadino russo.
E neanche  per Zweig,  che costringe il signor B. all'abbandono, scuotendolo dal  delirio.

La mia simpatia è tutta per il  signor B.,  al quale mi sarebbe piaciuto dare un’altra possibilità,  al di fuori del gioco e delle regole.
Fuori dal gioco e dalle regole.

La mia Novella degli scacchi è questa.


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