Tre famiglie, gli Arca, i Nonne e i Branca, intrecciano le loro storie in una Sardegna che
conserva nomi di città, Arbatax, Lanusei, ma che si trasfigura nei boschi, in
un tempo che sembra il presente ma che ha retaggi antichi che vengono
tratteggiati da doveri, da codici di comportamento dal sapore preindustriale.
E’ un racconto in cui assente è la “società”: non
c’è sfondo, se non picchiettato da brevissimi tratti
evanescenti – un ufficio
postale, una piazza cittadina, un negozio di merceria - e anche l’ambiente
naturale è in qualche modo “astratto”:
un mare d’inverno al quale si arriva dopo lunghi giorni di camminata nei boschi, un
luogo segreto dove nascosti dalla selva
vivono bambini orfani ed erranti
radunati in banda.
Il fuoco è tutto dentro le caratteristiche dei
protagonisti: hanno poco di realistico,
sembrano quasi personaggi di una fiaba,
rigidamente rinchiusi nel proprio ruolo.
Surreale e poetico, il principe/semola che salva la
fanciulla dalle fauci dell’orco, è Giuliano Arca, che lega una sedia sulla schiena e per anni gira
l’Ogliastra, boschi e paeselli, alla ricerca di suo padre, e surreale è anche Maddalena Branca,
personaggio “cerniera”, che crede di innamorarsi di un tarpatore di ali e di
sentimenti.
Grottesco è Edoardo Branca, la cui moglie adorata e
adorante è volata come fogliolina ingoiata dai cattivi pensieri, rigidamente ottuso e cattivo è Michelangelo Nonne, come lo è suo
padre Sebastiano.
Cogli l’attimo felice, che del doman non c’è
certezza, e scappa, mettiti in cammino
come fanno gli aranci in inverno, e fuggi da chi vuol farti diventare ramo
stecchito.
Questa sembra la morale della favola ecologica – i
buoni tessono legami con animali, piante, giardini, pioggia e vento - di Albero Capitta.
Però c’è qualcosa che non mi convince, in
questo romanzo.
E’ diseguale, non inteso solo come qualcosa che ha alti e bassi,
che ha momenti di picco e altri di caduta.
L’impressione è quella di un mosaico che nell’insieme
non ha tenuta.
I singoli frammenti, le singole tessere del mosaico
hanno una certa originalità, ma l’immagine rappresentata dall’insieme è piatta,
e risaltano troppo le crepe e le
smagliature dovute ad una cattiva coesione delle tesserine.
Qualche frammento però è davvero bello.
(Un bell’esercizio di stile.)
“E’ l’inverno che cammina sopra di lui. Alza gli
occhi e ne vede la pianta dei piedi, l’inverno della città. (…) Poi la sera si
apre e diviene azzurra di stelle che cadono lungo tutto il nevicato. Altre
luci, di villaggi, di fioriture invernali, lo circondano; nel corso della
camminata un ramo gli ha sferzato una guancia, solo ora ne percepisce il
dolore. Un piccolo rosso gli si è disegnato sul volto. Un poco di calore sulla
pelle assiderata, una ferita fresca su quel corpo già segnato. Sul viso di
Giuliano è apparsa la scomparsa di suo padre.”
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