Fàit.
Non è che ci credessi molto, quando me lo raccontava mio padre, che gli ammericani si divertivano a guardare ‘e guagliuncielli di sei e sette anni tirare di boxe, combattere tra loro, in cambio della
cioccolata.
Fàit.
E invece forse andava così. Lo racconta Davide Enia nel suo romanzo: accadeva anche a Palermo.
Enia, classe ’74, quasi coevo di quell’altro siciliano che della pesantezza fa cifra formale e contenutistica dei suoi libri – che differenza, marò – racconta una bella saga familiare che si snoda tra la Sicilia, l’Africa e la Germania, e che dura cinquant’anni.
C’è la Storia - dalle bombe della seconda guerra mondiale a quelle della mafia, dai campi di prigionia alla prigionia del lavoro da immigrato - intrecciata a storie di amicizie profondissime e di odi ciechi, di amori imperituri e silenziosi.
E poi c’è la boxe.
Fàit.
La boxe mi pare crudele, cattiva, e non mi hanno vaccinato i molteplici Rocky e Adrianaaaaa che hanno costellato la mia giovinezza, né la voce razionale che vuole esaltare la nobile arte, e le caratteristiche richieste ai praticanti: coraggio, forza, intelligenza e velocità.
[Il fine ultimo è massacrare, còrcare, o non essere massacrato.]
“Il Maestro Franco cercò di spiegarmi l’implacabilità del pugilato di Umbertino. Il termine di paragone che usava era il mare, ”che pioggia o sole, vento o bonaccia, il mare se ne fotte, perché il mare non è mai la sua superficie, il mare è ciò che sta sotto e non si vede. Giovane, tuo zio è stato il pugile più forte che avessi mai visto, fino alla comparsa del Paladino. Come fai a prendere a pugni il mare? E’ troppo più grande, troppo più forte. C’è acqua sotto altra acqua. Il mare si basta da solo.”
Il giovane a cui il Maestro Franco cerca di spiegare è Davidù, il narratore , il protagonista principale. Suo padre era il Paladino, morto prima della sua nascita.
La metafora che usa il maestro Franco è buona per definire tutti i personaggi del romanzo: sono tutti un mare, quello che c’è sotto non si vede.
Persino Umbertino, in apparenza una bestiaccia odiosissima, si rivela pieno di tenerezza sorprendente.
E’ stato proprio bravo, Davide Enia, a costruire un romanzo appassionante e tenero, ricco di ironia
( su alcuni passaggi ho proprio riso a bocca larga) nonostante tutte le asperità della lotta, lotta sul ring e lotta per la sopravvivenza.
Mai avrei pensato che un romanzo il cui filo conduttore è il pugilato potesse piacermi così tanto.
Forse se avessi saputo che c’entrava la boxe non l’avrei proprio comprato .
Mi chiedo comm’è che l’abbia comprato, invece. Di sicuro l’ho comprato, perché e percome resta un mistero.
Un altro mistero è il titolo. Davvero non so cosa ci appizzi con la storia, a meno di non voler aggiungerci il come in cielo e pensare allo spirito del Paladino e all’angelo custode Caterino Gerruso.
L’angelo di Gerruso, l’amico di Davidù.
Gerruso, Paride. Il personaggio più bello del libro.
Lui non boxa. Ma è un incassatore straordinario.
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