Quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum.
Pochi mesi fa ho letto L’Isola del tesoro.
Da adultissima.
Eppure la canzuncella dei pirati la conosco da sempre. La cantava pure il nonno a fine pranzo, su quello della staffa con il liquore dopo tanti bicchieri di vino.
(il rum no, quello era buono solo per il babbà)
Potere degli sceneggiati televisivi in bianco e nero.
E potere delle storie di pirati, emblema della vita libera e avventurosa.
(andar per mare senza saper nuotare)
Tra tutte le tipologie piratesche, la figura del quartiermastro John Silver, che ha avuto i suoi natali nel “L’isola del tesoro” di Stevenson, è quella più enigmatica.
[Johnny Deep è quella più. Più più più. Vabbuò]
Silver è ambiguo: abilissimo cuoco, espertissimo marinaio, buon compagno, ma anche spietato e crudele, tale che la sua aurea diabolica lo accompagna prima e dopo il suo manifestarsi.
(un prototipo del dottor Jekyll e del signor Hyde)
Silver ha ispirato la mano di Larsson – così immagino,
cantami oh Silver la vita, l’arme il mare e la morte
- affinchè registrasse il suo diario, un’autobiografia scritta quando ormai il corpo non seguiva più il guizzo vitale.
I ricordi delle sue avventure - più di un gatto con sette vite, sopravvivere al giro di chiglia, a due mesi incatenato come schiavo nella stiva della nave negreria, agli arrembaggi e agli ammutinamenti, alle tempeste e alle lunghissime bonacce -sono racchiuse in pagine di puro piacere romanzesco.
Le sue pause - le riflessioni rivolte a Defoe/Johnson, il cronista dei pirati, a Jim il protagonista del libro di Stevenson , la letteratura che parla con la letteratura, – hanno un sapore più malinconico.
E’ difficile appendere al chiodo, soprattutto quando si è molto vissuto.
E’ ancora più difficile quando si è molto voluto vivere, in piena libertà e seguendo solo la propria bandiera - anche a costo della vita degli altri.
“Una vita che non sopravviva alla propria morte, in un modo o nell’altro, sulle pagine di un libro o sulla bocca della gente, non è che una cacatura di mosca. O rugiada che evapora al sole. “
E’ solo una questione di stile, lo si può dire in modo prosaico o poetico, la sostanza è la stessa.
Non c’è grande differenza tra una cacatura di mosca e una goccia di rugiada che evapora al sole.
(Ma secondo me non c’è neanche grande differenza tra una vita che sopravviva alla propria morte e un’altra. Almeno per chi è morto.)
Bella lettura d’evasione e non solo.
“Se c’è una cosa da cui ci si deve tenere lontani, se si vuole restare sani di mente, è proprio la scrittura”.
La coppia Piccole donne e L’isola del tesoro (aggiungiamo pure I ragazzi di Via Pal e facciamo il trio) mi ha fatto innamorare dei libri e della lettura intorno ai dieci anni. La cotta per L’isola del tesoro non m’è mai passata; non a caso, l’ho riletta un paio di anni fa nell’ultima traduzione dell’Einaudi. Proprio due anni fa, dopo la rilettura, presi “La vera storia del pirata John Long Silver” che ancora giace intonso nell’ebook reader.
RispondiEliminaAhimè, Robert Louis m’ha dato una pugnalata la settimana scorsa, con un libro che mi ha annoiato assai. Ma questa è un ‘altra storia. Insomma, forse io e R.L. non ci amiamo più tanto come prima…
uh, e sono curiosa, qual è il pugnale che t'ha ferita?
Elimina(anche gli amori, come la vita, sono a termine...)