giovedì 11 giugno 2020

Post pre covid. Marche, chicche e Carnevale.

Finita la Dad  [se me l’avessero raccontato che pur stando a casa si lavora il quadruplo non ci avrei mai creduto], ho trovato il tempo di scaricare dal cellulare foto e video di un breve viaggio nelle Marche  fatto poco prima che il covid ergesse barriere tra il dentro e il fuori.

Ora si rialzano le saracinesche. Il governo invita con proclami ed un esorbitante bonus [basterà per un drink ad Alassio o a Capri?) a godersi le bellezze italiane.

 
Non c’è bisogno che lo dica il governo che l’Italia è davvero tutta bella, soprattutto quella meno nota, strombazzata, pubblicizzata.

Numana, Sirolo, le perle della riviera del Conero, le località più rinomate toccate nei quattro giorni marchigiani,  a febbraio erano incantevolmente deserte.

Pensavo allora, mentre affogavo lo sguardo tra gli strapiombi e la macchia mediterranea e il bianco della ghiaia e della scogliera e la trasparenza abbacinante del mare, a come sarebbero state diverse in piena estate, con il formicolare e il vociare di genti.
Chissà se ci vorrà la prenotazione tramite app  o se ci sarà il vigilante a contingentare gli ingressi.

[Marò e che guallarite, già immagino il sold out e le capate nel muro.]

 

Ancona
.

Credevo fosse una città piatta, un po’ come Pescara. 
Invece è proprio bella,  una Genova senza caruggi.
Nella mole Antonelliana, o Lazzaretto, c’è il Museo tattile Omero.
E’ lì che ho potuto conoscere, attraverso la mostra “Toccare la bellezza”,  Bruno Munari. Il nome non mi era ignoto, però.
(o ‘gnurante, o ‘nzallanuta)
Bellissime le riproduzioni dei quadri tattili di Bruno Munari.


Un impetuoso desiderio di emulazione, la voglia irrefrenabile di comporre su una tavola di legno forme dimensioni materie per suggerire un’idea, un percorso, un viaggio su cui far scivolare i polpastrelli, le dita, il palmo, il dorso della mano.
Da sfiorare, toccare, palpare, stringere.
Il tatto: prima era solo senso subalterno alla vista, adesso è respinto, negato.
[dopo 45 giorni di soli sguardi: ma io ti voglio abbracciare. Ti posso abbracciare con la mascherina?]



E se i portici con le arcate vicino al porto ricordano Genova, se le ottocentesche strade larghe ricordano  boulevard di altre città italiane, se la cattedrale di San Ciriaco rimanda ad altre chiese, il passetto di Ancona è unico.


Non lo avevo mai visto neanche in foto random.
Incantevole d’inverno, nonostante e forse grazie anche all’atmosfera dismessa, rugginosa, precaria.
Decine e decine di  grotte scavate nella montagna,  tutte chiuse da portoncini quasi improvvisati, incardinati alla meno peggio alla roccia. Dalle fessure tra le assi sconnesse o dallo spazio lasciato tra i battenti si intravede qualcosa: tavoli e sedie, pneumatici, cucine economiche e suppellettili di scarso valore, damigiane impolverate.
Chiedo ai pochi locali passeggianti. Cosa sono? Sono proprietà di privati?
Dei grottaroli  non hanno voglia di parlare, nicchiano.
Forse un tempo ricovero per le barche o magazzini,  forse ora pied-à-terre semiabusivi.
Chissà in estate come si trasforma la spiaggia e come appaiono le grotte con i cancelli spalancati.
E’ una curiosità che non mi va di soddisfare.
Mi piace ricordare l’atmosfera sospesa della tiepida mattina di febbraio, con la luce metallica vibrante sulle pieghe delle rocce e sulle doghe dei cancelli serrati, sulla montagna scavata e richiusa.

La baia di Portonovo è l’altra grande spiaggia anconetana.
A pochi passi dalla riva ci sono  due laghi salati,   dove tra canne e giunchi padroneggiano papere e strani uccelli.
(la mia competenza in fatto di birdwatching è zero)
Portonovo è una contrada nella quale quasi tutte le attività economiche vanno  in letargo in inverno, e resta viva e pulsante solo la bellezza naturale del luogo.
Quanta vibrante quiete.
[L’apoteosi del distanziamento sociale per scelta.]

Alle Grotte di Camerano e Osimo (quanto è carino il microcentro storico di Osimo!) la  prenotazione è obbligatoria per la visita guidata in orari prestabiliti.
Le grotte non sono paragonabili a quelle della  Napoli  sotterranea o alle  catacombe di San Gennaro.
Ma le guide sono giovani donne preparate, appassionate e coinvolgenti, e averle ad personam, essendo gli unici visitatori, è impagabile.
Uno stralusso involontario.

Il vero motivo del viaggetto nelle Marche non è stato la ricerca dell’assoluto dal colle dell’infinito di Recanati né il desiderio di fuggire dalla pazza folla: al contrario, è stato il richiamo di un Carnevale storico.
La scelta è caduta su quello di Castignano, in provincia di Ascoli Piceno.
Burdello massimo e assembramenti, e una partecipazione popolare che non avrei mai immaginato.

Fora fora li moccoli! Fora fora li moccoli! Fora fora li moccoli!

I moccoli sono delle lanterne di carta velina, fatte in casa a mano, poste su delle aste. Nelle lanterne si mette una candela.
La fine del Carnevale è segnata dalla processione dei moccoli lungo tutto il paese, vecchio e nuovo, e dal falò nel quale alla fine del percorso, nella piazza più alta del borgo antico, vengono bruciati.

Suggestivo, sfrenato, liberatorio.
Non si può fare a meno di aprire la bocca e pronunciare un grande oooooooohhhh quando, radunatisi tutti i moccoli – la grande piazza non basta a contenerli tutti, straripano nelle tortuose stradine -, si spengono  le luci elettriche del paese, e resta solo lo sfarfallio delle candele tra le veline colorate delle lanterne.
Una magia.

L’Italia, soprattutto quella meno turistica, è davvero  meravigliosa.
Però.
Decido io dove come e quando, spinta dallo sghiribizzo della capa e dal limite della tasca.

In estate oltrefrontiera, oppure resto a casa. Per scelta, non per decreto governativo.




 


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