Che l’America Latina nel corso del ‘900 sia stata funestata
da dittature e dittatori di ogni sorta è cosa risaputa.
Rafael Leónidas Trujillo Molina a Santo Domingo, ad esempio.
(Quanto si sa?)
Per più di 30 anni, dal 1930 al 1061, la sua figura ha dominato metà di Hispaniola.
Benefattore e padre della patria.
(tiranno e genocida, prima ancora che venisse coniato il termine, di decine di migliaia di haitiani)
La pagina italiana di Wikipedia a lui dedicata mi ha
impressionata: spicca la mappata di
onorificenze.
(patacche o medaglie, ma insomma)
Per il resto, poche notiziole, tra cui “La Repubblica Dominicana venne
comunque modernizzata con strade, ponti, acquedotti, scuole e con lo sviluppo
di una rete sanitaria, prima del tutto inesistente. Trujillo cercò anche di
combattere l'analfabetismo e di aiutare le molte famiglie povere del paese con
una serie di sussidi statali.”
E' il "comunque" che mi irrita.
["Comunque Musulini facette tante cose bbone, tenevamo ‘e porte aperte e nun
traseva nisciuno” – Ometto di riportare
la mia risposta]
A quale prezzo, "comunque".
Ho provato a consultare Wiki in spagnolo: tutt’altre
informazioni.
Di parte, mi son detta.
Ma anche la pagina inglese di Wikipedia sul Caprone non
nasconde atrocità e orrori.
Vabbuò.
Gli italiani son brava gente, le cose brutte tendono a
rimuoverle.
(Santo Domingo è solo spiagge, palme e bei culi.
E neanche il romanzo La breve favolosa vita di Oscar Wao, "comunque" gran bel libro, dà appieno idea di cosa fu la dittatura di Trujillo)
La festa del Caprone è il romanzo di Mario Vargas LLosa che
racconta, in una fisarmonica temporale che copre una sessantina di anni, l’era
del Trujillismo.
L’ orrore, un orrore.
La componente “romanzesca” è data dalla figura di Uranita
Cabral, figlia del senatore Augustin,
che a distanza di quasi 30 anni dalla morte del Caprone torna a Santo
Domingo dopo esserne scappata, quattordicenne, con la complicità di una suora del collegio in
cui studiava.
Per il resto, domina
la Storia, e le molteplici voci dei protagonisti si intrecciano offrendo di un
medesimo fatto una visione pluriprospettica.
Si entra nella
capocchia di un dittatore, poveraccio, che
pensa di avere sulle spalle il “merito”
di aver trasformato un paese (persino nella toponomastica), e si sente sempre minacciato dai traditori, dai
complottisti, costretto a occhi e orecchie sempre aperte per cogliere il minimo
sentore della caduta di tono della fedeltà e dell’asservimento, che si rammarica (ma senza mai mostrarlo in
pubblico) perché la moglie Prestante Dama e figli sono una zoza e di tutta la
roba – roba mia – che ne sarà dopo - neanche i padri della patria sono immortali - , e si dispera (ma senza mai
mostrarlo pubblicamente e senza consentire che altri possano fare illazioni) perché a
70 anni la prostata è fuori controllo (il
dittatore si piscia sotto) e “L’uccello
che aveva rotto tante fichette non si rizzava più”.
E’ per questo, per l’inciampo del Caprone, che Uranita fugge.
Per scampare all’ira del dio morituro, e per punire suo
padre (il suo paese) , venduto all’adulazione del tiranno.
Che munnezza di uomo,
altro che decorazioni e patacche.
Leggendo La festa del Caprone si penetra nella paura e nel
coraggio della disperazione dei sette uomini che fecero parte del commando che
la notte del 30 maggio 1961 uccise (e
assafà!) la bestia; si vivono i loro ricordi ( le incertezze, gli anni di rancori tenuti nascosti, i drammi morali : “Io ucciderò Trujillo. Ci
sarà perdono per la mia anima?”, dice Salvador
Estrella Sadhalà* detto il Turco, uno dei personaggi di maggiore spessore del
libro, al nunzio apostolico a cui chiede conforto), li si
segue nella prigione dove furono torturati, si piange la loro morte.
Ci si immerge nel
viscidume dei calcolatori, degli enigmatici manovratori freddi di sangue e di coscienza, che con un
colpo alla botte e uno al cerchio tirano l’acqua al proprio mulino e sopravvivono
alle loro infamie, rivestendosi dei
panni dei giusti; si affonda nella codardia che frega all’ultimo istante e
trascina nel baratro ogni cosa.
(eh, Joaquín Antonio Balaguer , l’anonimo diventato presidente dominicano per tre mandati, e José René Román "Pupo", che
avrebbe potuto e invece)
Per non dire delle torture, e di Abbes Garcìa, che si riciclò come seviziatore per Papa Doc Duvalier, nell'altra metà di Hispaniola.
(ma come si può, come si può)
La festa del Caprone fa compiere un passo nel comprendere come sia stato possibile (come è possibile) che “tanti
milioni di persone, martellate dalla propaganda, dalla mancanza di
informazioni, abbrutite dall’indottrinamento, dall’isolamento, spogliate del
libero arbitrio, della volontà e perfino della curiosità con la pratica del
servilismo e dell’ossequio, abbiano potuto divinizzare Trujillo.”
(O altri suoi simili. I dittatori hanno la stessa faccia)
E come sia stato possibile (come sia possibile) che abbiano potuto “Non soltanto
temerlo, ma amarlo, come i figli possono arrivare ad amare i padri autoritari,
a convincersi che frustrate e castighi sono per loro il bene”.
E mi dico, meno male che c’è chi dice no.
Comunque, e a qualunque costo.
E mi sono imparata un'altra cosa.
RispondiEliminaE siccome il come sia possibile è una delle mia grande domande esistenziali, a cui finora non ho trovato risposta, e tu mi parli di un passo avanti , puoi star certa che approfondirò.
Un passo avanti, non certo una risposta definitiva, eh :)
RispondiElimina(ma questo e La guerra della fine del mondo giustificano il Nobel, ecco) :)