mercoledì 19 agosto 2020

Viaggio in Grecia al tempo del Covid: il mare. Lefkada. (2)

Dopo una settimana a zonzo con l'auto, tra Meteore e paesi di pietra della Zagoria e altri ameni luoghi dell'Epiro (qui il racconto),  la prima tappa al mare è di decompressione: programmate 48 ore di totale stravacco, macchina a riposo,  taverna localizzata a due passi a piedi dall’appartamentino quasi sulla spiaggia, tra Ligia e Riza.

Penso allo sperpetuo che avrei dovuto patire per fare il bagno di prossimità secondo le indicazioni governative  e regionali anticovid: prenotazione con app  per le spiagge libere, magari in un recinto azzeccato ad altri enne recinti, oppure esborso di cifre esorbitanti per l’affitto di ombrellone e sedie in un lido [sugli stabilimenti balneari che vantano diritti sul mare di tutti potrei tirare una pippa infinita], incasellata pur nel rispetto della distanza di un metro in una soffocante teoria di altri ombrelloni. (senza contare il parcheggio, il traffico, etc etc)
Il mio ombrellino rosso è l’unica macchia di colore in una lunghissima spiaggia. Altro che distanziamento. Mi sento Robinson Crusoe.
Ed il tramonto è di una bellezza struggente.

Last but not least, Lefkada, l’isola non isola dell’arcipelago delle  Ionie. 
C’è una laguna tra la terraferma e l’isola,  uno strettissimo braccio di mare a separarle e un piccolo ponte ad unirle. 
Il ponte, che si solleva ad ogni ora per il passaggio delle barche, non c’è.  E’ smantellato, in manutenzione, sostituito dal ventre di un traghetto messo di traverso che a prua ingoia le auto e a poppa le sputa sull’isola. 
Ingegnosa alternativa.
Non mi è bastata una settimana per esplorare tutte le calette e le spiagge dell’isola: preambolo al desiderio già urgente di ritornarvi. 
Base d’appoggio a Sivota, una baia incuneata a sud dell’isola, protetta dai venti e dal caos: porto turistico per barche a vela che navigano solo a motore;  diportisti, pochi,  soprattutto inglesi - tutti impunemente e arrogantemente in ogni luogo anche chiuso senza mascherina – che sbarcano per accomodarsi in una delle tante tavernette che punteggiano il borgo.  
Nonostante sia un porticciolo,  l’acqua è trasparente, invitante. Forse non sarebbe stato un errore riservare uno spazio della baia alla  balneazione: ci sono solo due piccoli angoli lasciati liberi dagli ormeggi. 
Ma ci sono tante spiagge nei dintorni, ed una selvaggia ed aspra proprio sulla penisola che limita Sivota dal mare aperto.
Percorrendo le strade principali di Lefkada e anche le cittadine costiere,   l’edilizia visibile ha  un aspetto dimesso: costruzioni semplici e modeste, almeno negli esterni.
Non si vedono, ma ci sono: le superville sono nascoste dal verde. 
Tantissime, davvero extralussuose,  sono  in costruzione. 
Ho pensato alla strategia lontano dagli occhi e dalle scoppettate, dall’invidia altrui. 
[La strategia opposta alla pacchiana e volgare ostentazione della ricchezza.] 

Lefkada è un’isola bella perché ha  una gran varietà di paesaggi: falesie impressionanti, come quelle che sovrastano le spiagge di Egremni e Porto Katsiki, dove il mare è di un turchese da paura, calette scogliose e calette con i sassolini, spiagge dal sapore lagunare,  strisce di ghiaia addossate ad alberi, baie tranquille e baie movidose, e la lunghissima  brulla e ventosa spiaggia di Agios Ioannis, paradiso dei  kitsurfisti e windsurfisti. 
E il mare - una costante – trasparente, bellissimo. 
Ad Afteli mi sembrava di essere in un acquario: decine e decine di pesci – ma grandi! Enormi! Da griglia, non da frittura! – mi ruotavano intorno come i pellegrini alla Kaʿba.
E quanto verde! A breve distanza da Nidri, ci sono le cascate. 
L’estate non è il periodo migliore per visitarle, sono poco più di un rigagnolo e la gola è asciutta, ma il luogo è ameno, fresco, ottimo per una pausa da abbrustolimento solare. 
Lungo la strada che percorre l’isola da nord ovest a sud,  si attraversano zone montuose completamente rivestite di boschi. 

Avrei voluto visitare i villaggi dell’interno: lungo la costa i borghi di tradizionale hanno conservato solo le stradine/mulattiere, un mortacci ad ogni mezzo chilometro. [ah, Evgiros!]
Ma il mare è il tesoro esposto di Lefkada, difficile rinunciarvi anche solo per un pomeriggio, soprattutto se non vi sono accidenti quali piogge e temporali.
Non ho fatto in tempo neanche ad andare sugli  isolotti prospicienti Nidri, Meganisi & Co, se non attraverso la fugace vista dal mare dal barcone che fa crociera giornaliera. 
Anzi, Meganisi soltanto, perché Skorpios e Madouri sono isole private, la  prima ex proprietà Onassis.
Eh, c’è chi può e chi si deve incarrettare sui barconi per strappare un tuffo nell’unica baietta di Skorpios  alla quale  si può accostare. 

Sul barcone però ci ero andata per vedere Itaca, altrimenti irraggiungibile se non in tempi lunghissimi. 
Il “traghetto di linea” Lefkada – Itaca, causa Covid è stato soppresso, e la crociera giornaliera prometteva sosta a Cefalonia e Itaca, oltre che alla spiaggia di Egremni, non accessibile via terra. 
In realtà, la sosta è solo a Cefalonia,  un’ora per intrattenersi a Fiskardo, un manipolo di case tramutate in negozi di souvenir e di taverne che attendono lo sbarco dei turisti  per sbarcare il lunario, mentre alla petrosa Itaca si  getta l’ancora davanti ad una parete rocciosa, dove s’incunea una spiaggia, per un rapido bagno. 
Non è certo questo il luogo in cui Ulisse ha fatto ritorno a casa. 
(dunque si sappia: le crociere giornaliere non portano di fatto ad Itaca)
Però dal barcone guardo la punta di capo Lefkada, la lingua di roccia da cui – il mito vuole – si lanciò Saffò, e immagino che il vento e le onde, così  incisive quando lo si doppia, l’abbiano trascinata lontano lontano.

Durante i sette giorni trascorsi a Lefkada non ho avuto tempo neanche per vedere la penisoletta di Geni e Desimi, pur tanto vicine alla mia base.
Però. 
Meglio poco che niente. 
E quest’anno, date le contingenze, il poco è davvero tantissimo: poco stress, poca spesa per la massima sicurezza e il distanziamento sociale estremo  in luoghi incantevoli.  
Quasi un miracolo. 

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