Del Monte Athos sapevo che l’accesso è rigorosamente vietato alle donne, anzi alle femmine considerando anche molte specie animali.
Pensavo però che fosse un divieto riguardante l’area dei monasteri, e non quasi l’intero terzo dito della penisola calcidica, che ha una superficie di 335,63 km quadrati, maggiore di quella della repubblica di Malta.
Un pezzone di Grecia che di fatto è uno stato a parte, lo Stato Monastico Autonomo del monte Athos.
La separazione, chi lo avrebbe immaginato, è sancita non solo dalla folta vegetazione che ricopre le montagne, ma anche da muri lungo il confine “marittimo”.
Lunghe mura nell’acqua.
[come può uno Stato moderno concedere così tanto spazio, nel senso concreto del termine, a entità religiose che fondano la loro ortodossia sulla discriminazione di genere?]
Sulla spiaggia di Komitsa, vicino al confine, lontano dagli sparuti bagnanti, sbarcano due monaci. Ad aspettarli un camioncino stracolmo di sacchi di patate.
Almeno 6 volte la barchetta a motore dei religiosi fa spola tra la spiaggia e un non visibile attracco per portare i sacchi di patate nello Stato Monastico.
Gambe in acqua nonostante la nera palandrana.
Cappello calzato nonostante i 40 gradi.
Sacconi sulle spalle nonostante la veneranda età. (Non si vedono bene, ma il barbone bianco non può mentire)
I pensieri rotolano senza ordine. Le hanno pagate le patate? Non possono coltivarsele le patate? Orano e poco laborano? Che mangiano i monaci se ogni scambio è così complicato, se neanche le mucche e le pecore che fanno il latte possono circolare nel giardino di Maria?
Mi è stato detto da chi è stato ospitato in un monastero e l’ha trovata esperienza straordinaria di rigenerazione, che sulle coste del dito su cui svetta Monte Athos sbarcò Maria (???), e i monaci si ersero custodi del sacro luogo, impedendo la contaminazione derivante da qualunque altro piede o zampa femminea.
La persistenza di questa motivazione mi è incomprensibile tanto quanto le affermazioni talebane che i jeans sono sgraditi a Dio.
Ma tant’è.
Monte Athos è una realtà della Grecia, e il suo fascino è proprio nell’essere caratteristica unica e specifica.
D’altra parte, una sensibilità religiosa molto forte, almeno in questa parte della Grecia, è evidente dal numero smisurato di cappellette votive (Tabernacoli? Chiesette in miniatura? Casette per le candele? Non ho idea di come si chiamino) che si ergono sui cigli delle strade, davanti alle fabbrichette o agli appezzamenti coltivati, sugli scogli a mare, nei condomini e, in forma più maestosa, anche inseriti nelle mura esterne delle chiese, una porta sempre aperta alla preghiera (o boh, all’accensione delle candele) anche quando il portone della chiesa è sbarrato.
E il trend è in crescita: percorrendo la circumvallazione esterna di Salonicco si vedono molti "laboratori artigiani" che ne vendono in muratura (Cemento? Gesso? Terracotta?) di infinite fogge e dimensioni; ho scorto cappellette veramente grandi, ma grandi, piantate nei giardini di lussuose ville.
La chiesetta in muratura in luogo del gazebo.
O nel garage, a guardia dell'auto e della moto.
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