giovedì 17 novembre 2011

Teatranti

Potrebbero  mai bastare ad una scuola che vuole definirsi delle opportunità, della formazione globale, dei blablablablabla multipli, le striminzite 27 ore curricolari in classi dove sono stipate dalle 24 alle 28 creaturelle?
Certo che no.
Allora  germinano sbocciano fioriscono progetti su progetti di ogni specie, dal giardinaggio [a zappare la terra!] alla psicomotricità, dall'arte della ceramica a quella della costruzione di aquiloni.
Naturalmente, i fanciullini attratti dalla gestualità, dalla mimica, dalla recitazione, dall'arte del travestimento e dell'impersonificazione delle alterità (ma anche messi lì solo per a fare numero), vengono arruolati in megaroboanti progetti teatrali.
(assecondiamo le vocazioni)
Meglio se i progetti si propongono anche come percorsi di educazione alla conoscenza del territorio,  alla riscoperta delle radici, alla valorizzazione cultura locale, chiossape, nun sia mai si dovesse perdere l'identità.
Il corso di teatro si conclude, ovviamente, con la messa in scena. 
La recita finale.
Nello specifico osservato, la messa in scena delle "Voci 'e Napoli"

" 'A ruuta, 'a menta, 'o vasinicooooore!"

" 'E ttengo belle nere nere, 'e mulignaaaaaaane!"

" Tengo 'a fava che schiatta 'a tiaaaaaana!"

Voci di mercato, voci di venditori ambulanti.
E canzuncelle funiculì funiculà, jamm jamm.

Vorrei vedere come fanno a spiegare ai bambinelli che cosa significa tengo la fava che schiatta la tiana.*
(e il suo altissimo valore culturale)


*pentola

2 commenti:

  1. A mio avviso, un solo progetto dovrebbe accollarsi la scuola: ore ed ore ed ore di corsi intensivi di educazione civica. Insegnare ai piccoli dal mettersi in fila all'ufficio postale fino ai nomi delle alte cariche dello Stato. Ah, e con l'obbligo di portarci anche mamma e papà, ovviamente.
    Tutto il resto, non me ne volere...

    RispondiElimina
  2. Insomma più che un corso di teatro è uno scavo archeologico!
    :-)
    spalluzza

    RispondiElimina