“Questo che segue è il calendario di un mese; ogni giorno
porta la vita di una specie di santo, che patisce e gode come i santi
tradizionali. Poi il nostro mese finisce, perché a questo mondo tutto deve
finire, anche le nostre brevi vite di idioti.
Che mese sia quello che viene dopo, nessuno con sicurezza lo
sa; se in prevalenza ad esempio si dovrà ridere o piangere, se saremo soli o in
una gran compagnia. Ci sono solo supposizioni. Alcune impressionanti.
C’è chi sostiene che il mese che segue non finisce mai più;
è un’idea stravagante, e solo a pensarla ci si sente già stanchi.
C’è invece chi dice che si ricomincia sempre da capo, forse
su un altro pianeta; ma ogni volta l’umanità è di un gradino più idiota. Finché
in un lento progresso, di pianeta in pianeta, si giunge all’assoluta e totale
idiozia, in cui nessuno ricorda più niente, neanche le cose più elementari,
come ad esempio sentirsi qualcuno diverso da un sasso o da un meteorite. Questo
sarebbe lo stato beato.
Qualcuno ha detto che è uno stato somigliantissimo al
piombo.”
E’ la dedica al lettore che precede le Brevi vite di idioti
di Ermanno Cavazzoni.
A leggere solo questa, assieme alla quarta di copertina, magari appoggiati allo stipite, in piedi, in libreria, è capace che si faccia uaaaa, perché è una premessa pregna di stimoli e suggestioni. Invece i racconti non sono stati all'altezza delle mie personali aspettative.
Tranne pochissimi, in generale non m’hanno fatto né caldo né
freddo.
Anzi, a dir la verità m’hanno fatto un poco ammosciare.
“C’era un tale che si riteneva scrittore realista.”
“Una donna grassa di nome Paola Parletta aveva ogni tanto
una forte diarrea.”
“Un idiota di nome Sereno Bastuzzi viveva dentro a un pagliaio.”
“C’era un signore impressionato dalla velocità a cui va la
Terra.”
Sono alcuni incipit. Sembrano o non sembrano incipit di limerick ?
Ecco, a me sono
sembrati tutti dei limerick in prosa, soprattutto per l’intimo non-sense che li
accomuna.
Gli estimatori di questo genere li troveranno gustosissimi.
Io no, fatta salva qualche eccezione.
Il martire dei piedi, ad esempio, il dottor Dialisi.
Un idiota super.
S’accatta un paio di scarpe accussì strette che per cercare
di allargarle non se le toglie più, ma quelle, che cotiche erano e cotiche rimangono anche dopo tre anni di
sofferenza ininterrotta, gli fanno marcire i piedi, portandolo alla morte.
“Ma il dottor Dialisi aveva maturato alcune idee generali
sull’uomo e sulla predestinazione: la testa ci è data per potere pensare –
diceva – la bocca per respirare; le braccia e le mani per abbracciare e
accarezzare gli oggetti; le gambe, volendo, per camminare; e i piedi, così
esposti e sensibili, ci sono dati per tenere a freno l’orgoglio, l’invidia e la
concupiscenza; altrimenti avremmo gli zoccoli , come i cavalli.”
Le scarpe diventano il perno della sua vita
morale: tiene a freno i
piedi attraverso la sofferenza, e sarà santo (pensa, l’idiota)
Mò, se diventassi idiota, santificherei questo fetente di callo che manco con l’accetta se ne viene via
e mi voterei ad una ascetica e moralmente notevole esistenza.
Ma non ci sta pericolo, spero.
Nel frattempo butto maledizioni a destra e a manca e confido
in un podologo che sappia fare il suo mestiere.
Siamo gli unici a camminare su delle appendici sensibilissime, in equilibrio instabile. Forse è per questo che siamo sempre in bilico sull'idiozia.
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