mercoledì 26 marzo 2014

I fratelli Singer e i fratelli Ashkenazi

Chissà se il rabbino Pinchas Mendl Zinge aveva “pre-visto” il destino per i suoi figli: il primogenito Israel Joshua  zapperà la terra, rimuoverà le zolle, getterà i semi, ma quando le piantine spunteranno sarà suo fratello  Isaac Bashevis  a raccoglierne i frutti, e il premio Nobel, e  Isaac  sarà pure il primo a comparire quando si digiterà  la stringa “Singer scrittore” in  un motore di ricerca nel web.  
Che strana storia curiosa, questa dei fratelli Singer (chissà quanto del carattere dei fratelli Ashkenazi corrisponde al carattere dei due Singer)
Entrambi scrivono di saghe familiari, famiglie ebree  sfilacciate dai moti della Storia.
I fratelli Ashkenazi (1936) e La famiglia Karnowski (1943) sono di Israel.  
La famiglia Moskat (1950), è di Isaac, il premio Nobel per la letteratura, che lo ha ricevuto con questa motivazione: 

per la sua veemente arte narrativa che, radicata nella tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale"

Queste stesse parole  calzano a pennello anche al romanzo di Israel, I fratelli Ashkenazi, anticipatore di un modus narrandi e  per certi versi davvero profetico riguardo la   nube oscurissima che si stava per abbattere sul mondo ebraico.
(destini)

Il romanzo comincia con un esodo: colonne di  tedeschi che si trasferiscono ad est, in Polonia, perché la Germania non poteva più soddisfare tante bocche. 
E la Polonia, territorio frantumato, conteso, diviso, prosciugato, su cui tutto ciò che si costruisce sembra destinato a non durare, è lo scenario dove si svolge prevalentemente il racconto, che si snoda nell’arco di una sessantina d’anni, tra la seconda metà del 1800 e il primo ventennio del secolo nuovo. 
E' un  momento di passaggio, di transizione, di trasformazione, di mutamento (un esodo in senso lato) che  coinvolge non solo la comunità di ebrei chassidici di Lodz, la città di Abraham Hirsh Ashkenazi e dei suoi figli, ma tutta l’Europa: l’industrializzazione, i movimenti operai, i rigurgiti nazionalistici, i denti digrignati dei militari, la folle vuota  frenesia delle classi nobiliari, tutto segna il tracollo del mondo tradizionale sostituito da un vortice di incertezze, di instabilità, di caos. 
E’ del 1936, il romanzo. 
L’odio per gli ebrei è già tutto lì – il pogrom di Leopoli che anticipa quello ancora più tragico degli anni a venire – ma ancora più feroce è  l’arroganza dei potenti,  di qualunque religione e nazionalità.

Anche Max Ashkenazi era stato un potente.
(e arrogante) 
In modo diverso da suo padre, pio ebreo (lo studio del Talmud e la santificazione delle feste prima di tutto), in modo diverso da suo fratello, guadente e fortunato e generoso fin nel midollo. 
Max, ovvero Simcha Meyer, “un gran bugiardo, compra a poco e vende a molto”,  una mente votata al  guadagno, un purissimo capitalista, senza scrupoli di ordine  morale,  aveva totalmente rinnegato la cultura dei padri per abbracciare l’etica del profitto, ma alla fine viene travolto anche lui dall’onda cieca del destino.  
 “Polvere eri e in polvere sei tornato, e tutto ciò ch’è in te è polvere” 
La parabola di Simcha e degli Ashkenazi è la parabola di un mondo intero.

Tuttavia, più che le vicende della famiglia Ashkenazi, a me hanno fatto palpitare le vicissitudini dei sognatori puri di cuore, di Tevyeh e di sua figlia Bashke, e di Nissan sopra tutti,  una vita votata alla emancipazione dal sopruso. 
Dopo anni di prigionia, di lotta clandestina, di sonni perduti, di affanni, Nissan sembra vedere la realizzazione del suo sogno, ed è infine scacciato dalla Duma dai bolscevichi, come un cane…
Pure della sua lotta, completamente diversa da quella di Max/Simcha, resta cenere, polvere e cenere. 

C’è un senso profondo di amarezza in tutto il romanzo, che nonostante la mole corre veloce, perchè appassiona ed emoziona. 
Una bella lettura davvero, che oltre tutto mi  ha  permesso di conoscere molte cose sulla cultura ebraica (eh, manco sapevo che i cudilli che pendono ai lati del viso si chiamano cernecchi, ad esempio), sulla sua “eterogeneità”.

E comunque, pensando anche ai destini delle donne di questo romanzo, protagoniste e comparse – e nonostante la crisi e le incertezze dell’oggi, il domani buio - alla domanda dove  e  quando saresti voluta nascere, se avessi potuto scegliere? continuo a rispondere ancora più convinta “Qui, e ora. Nel mio tempo e nella mia Terra”. 

4 commenti:

  1. Singer (Israel Yeoshua) è uno scrittore immenso.
    Io ancora non ho letto I fratelli Ashkenazi , ma La famiglia Karnowski sebbene l'edizione italiana sia a dir poco indecente.
    Ma ai fratelli Singer devi aggiungere anche la sorella, Ester Singer Kreitman, di cui in italiano è stato tradotto il romanzo Debora , naturalmente ormai fuori catalogo (prova su ebay, se sei interessata).
    Nel primo capitolo del romanzo si legge :

    <<”padre, e io che cosa sarò un giorno?” aveva chiesto Debora all’improvviso, un po’ per scherzo un po’ sul serio, poichè, per quanto riuscisse a ricordare, non le era mai toccata una parola di lode.

    Reb Avram Ber fu preso alla sprovvista. Tra gli ebrei osservanti era opinione consolidata che nella vita una donna potesse sperare in un unico traguardo: portare la felicità in casa, servendo il marito e dandogli dei bambini. Di conseguenza non degnò Debora neppure di una risposta; ma quando lei insistette, replicò semplicemente: “che cosa sarai tu un giorno? niente, è ovvio!”>>

    Mi permetto di lasciare qui il link al blog nonsoloproust con il post dedicato:
    http://nonsoloproust.wordpress.com/2012/10/14/debora-esther-singer-kreitman/

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  2. Un popolo unico quello ebraico, che fra l'altro ha prodotto parecchia buona letteratura di cui mi sono ampiamente interessata in passato, anche se, devo ammettere, i Singer li ho trascurati. Ho letto solo un libro di Isaac di cui al momento non ricordo neppure il titolo.
    Belle riflessioni, le tue. Mi fai venire voglia di recuperare.

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  3. Un altro libro da aggiungere alla lista, troppo lunga, delle letture che dovrei fare.

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  4. La tua recensione, sul tuo (ahimé) irraggiungibile (dall'ufficio) blog, non mi ha detto nulla di nuovo, tranne l'apprendere che una lettrice che stimo (si, questa sei tu) la pensa esattamente come me su Israel J. Singer, il quale scrisse questo libro, ed è molto importante, ben prima che tutte le nefandezze del nazismo venissero prepotentemente e indiscutibilmente alla luce. Quindi si capisce che la persecuzione nei confronti del popolo ebraico erano considerate da Singer, come un incidente brutto, ma risolvibile e che con il tempo si sarebbe esaurito. Sono molto interessato alla storia ebraica e ai suoi autori, e avendo letto tanti libri su e di ebrei, anche io ho appreso tante loro caratteristiche particolari, ma queste sono le chicche che si acquisiscono leggendo a 360 gradi.
    Ti lascio con una citazione che non so se conosci.

    “Lui non credeva a nulla, se non al fatto che essere ebrei è uno di quei delitti che si puniscono da soli.”

    Mi sapresti dire da quale libro è tratta?

    p.s. Se non lo sai, dovrai aspettare domani sera, questa è la mia piccola vendetta. Chi di crudeltà ferisce...

    TGW

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