Una volta, per un referendum che poi non raggiunse manco il quorum, feci da scrutatrice all’ospedale Cotugno, padiglione malattie infettive.
Cinque o sei elettori votanti, forse sette. In pigiama.
Nessun seggio volante, per fortuna.
[Temevo il contagio.]
Ad Amerigo Ormea , protagonista de “La giornata di uno scrutatore”, non va liscia.
“Era iscritto al partito, questo sì, e per quanto non potesse dirsi un “attivista” perché il suo carattere lo portava verso una vita più raccolta, non si tirava indietro quando c’era da fare qualcosa che sentiva utile e adatto a lui. In Federazione lo consideravano elemento utile e di buon senso: ora l’avevano fatto scrutatore”
(ma negli anni ‘50 si sceglievano gli scrutatori in base alle simpatie politiche?)
Il suo compito, da svolgere al Cottolengo, è di vigilare affinchè non accadano brogli, o meglio, affinchè i “pazienti” non vengano “sollecitati”, pur se incapaci di intendere e di volere, a votare per la DC.
“Si trattava per i partiti del governo di far valere una nuova legge elettorale (la legge-truffa, l’avevano battezzata gli altri), per cui la coalizione che avesse preso il 50% + 1 dei voti avrebbe avuto i due terzi dei seggi… “
[la legge fu abrogata l’anno successivo: alla tornata elettorale in cui il personaggio Amerigo fu scrutatore non scattò, perché la coalizione di governo ottenne il 49,8% dei voti. Nonostante le “sollecitazioni”.
Eh, ai politici son sempre piaciute le “correzioni” e i porcellum]]
Un seggio non troppo composito, il suo: il presidente vecchio, timoroso, indeciso ma formalista, la crocerossina in blusa bianca, lo scrutatore smilzo e defilato e gli altri (democristiani tutti, “tesi a smussare i contrasti”) , una compagna “arancione” (socialista, la verità) dura e pura e cacacazza.
E poi lui, Amerigo.
“Si sentiva troppo scoraggiato per sperare di prendere qualsiasi iniziativa. La sua battaglia legalitaria contro le irregolarità e i brogli non era ancora cominciata e già tutta quella miseria gli era calata addosso come una valanga. Che facessero presto, con tutte le loro barelle e stampelle, che s’affrettassero a compiere questo plebiscito di tutti i vivi e i moribondi e magari anche i morti: non era con le ragioni formali di cui disponeva uno scrutatore che la valanga poteva essere fermata.”
La vera valanga per Amerigo è però il contatto- contagio con gli abitanti del Cottolengo, che scuote l’intero apparato delle sue certezze e convinzioni.
“Costretto per un giorno della sua vita a tenere conto di quanta è estesa quella che vien detta la miseria della natura(…) sentiva aprirsi sotto ai suoi piedi la vanità del tutto.”
E la valanga precipita sui concetti astratti di giustizia, libertà, bellezza, Dio e annessi e connessi, sulla sua condizione concreta e reale (una storia sentimentale complicata, fuggevole; un figlio, forse) e sulla quaestio massima: cosa è l’uomo, cosa è l’umano.
Ad Amerigo tocca anche il seggio volante, che lo porta nel cuore nascosto del Cottolengo, tra i ragazzi pesce e le monache morenti.
E’ soprattutto un padre che schiaccia le mandorle al figlio idiota, che fa scattare la consapevolezza di un legame tra il suo mondo e quello ora disvelato.
Il “genere di amore come una reciproca e continua sfida o corrida o safari , non gli pareva più in contrasto con la presenza di quelle ombre ospedaliere: erano lacci dello stesso nodo o garbuglio in cui sono legate tra loro - dolorosamente , spesso (o sempre) – le persone.”
Una breve, fulminea rivelazione: “l’umano arriva dove arriva l’amore, non ha confini se non quelli che gli diamo.”
Sarebbe potuto essere un secco racconto “neorealista” sulla condizione degli “espulsi” dalla società perché “diversi”, o un incazzato racconto di denuncia sulla questione del malcostume politico e sociale.
Ma Calvino è sempre ‘a mostro, e questo libro non è solo un racconto “neorealista” e un pamphlet , ma un terremoto: un coacervo di domande senza risposta, un dirompere di dubbi, di incertezze.
(anche la breve fulminea rivelazione non “sistematizza” il mondo)
E mi è piaciuto assai.
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