sabato 26 agosto 2017

Breizh con parentesi. (3) Sainte-Menehould, Mont-Saint-Michel, Mont-Dol.

E’ pur sempre una vacanza, stare al volante per più di 6 ore al giorno – esclusi imprevisti quali traffico immotivato, strade scassate o lavori in corso con conseguente rallentamento   della circolazione, intalliamenti a bordo carreggiata o in stazioni di servizio, che le soste pipì e pappa sono state considerate nella tabella di marcia – è una follia. 
Dunque per “spezzare” il lungo percorso dalla Germania alla Bretagna, dopo aver preso in considerazione svariatissime ipotesi, tutte con il vincolo di  porsi in approssimativa equidistanza tra una tappa e l’altra – Reims no, poi ci passi e non stai almeno un  giorno? -  si opta, un po’ a caso, un po’ a mazzo, per la sosta in una piccola cittadina nella regione dello Champagne che ha il pregio di situarsi  a pochi chilometri dall’autostrada e di offrire più di una scelta alberghiera non costosa e carina:  Sainte-Menehould


Scopro che la maisentitanominare Sainte-Menehould si fregia dell’etichetta di Piccola città di carattere, etichetta  da non confondersi con quella di Villaggi e città di carattere, o con quella di  Città fiorita, o con quella di Città e paesi d’Arte e di Storia, o con la denominazione Village d’etape.

[Sta cosa delle etichette mi perplime. La maggior parte sono rilasciate dal Ministero del Turismo in presenza di determinati requisiti, quali la ricettività alberghiera, l’ecosostenibilità etc etc. 
Quasi tutte le località che ho visitato hanno una delle suddette etichette. 
Da un lato mi indispone  il fatto che i francesi – già durante il viaggio in Provenza avevo fatto le stesse considerazioni – si vendano benissimo, la cacata per pepita d’oro, dall’altro penso che gli italiani dovrebbero guardare con occhi più attenti alle politiche turistiche dei vicini di casa,  perché le etichette in qualche modo contribuiscono a migliorare effettivamente l’esistente. 
E’ una questione di orgoglio. 
Pure nei buchi di culo ci sono gli uffici turistici: accoglienti, efficienti, organizzati]

La cittadina è carina, la piazza principale è proprio bella, ma la cosa notevole ha a che fare con la gastronomia: pied de porc à la Sainte-Menehould, una ricetta tradizionale antichissima apprezzata anche da re Luigi XVI.
Del maiale si mangia tutto, ma mai avrei pensato che si potessero mangiare pure le ossa.
Vous mangez tout – ci avvisa il cameriere, accompagnando le parole con eloquenti gesti delle mani e  servendoci una specie di sacchetta cosparsa di pangrattato, in cui sono ben visibili le unghie. 
Sollevata la cotenna, spuntano le ossa bianche. 
Ma quante ce ne sono in un piede di porco?? 
La parte carnosa non c’è. 
Cotenna,  strato di grasso e ossa. 
Provo a tagliarle con il coltello. 
Non si tagliano. 
Il mio ardimentoso compagno sperimenta la masticatura. 
Le ossa si masticano. 
E’ stranissimo, l’impressione è quella di sgranocchiare una nocciolina tostata (neanche le nocciole si tagliano con il coltello), il sapore non riesco a definirlo, prevale un’untuosità generica. 
Una volta, due, tre. 
Infilo in bocca, mastico e ingoio. 
Alla quarta la ridda di voci nella testa si scatena. 
Me lo sono portato il maloox? E le pillole contro la diarrea? Marò, manco nei lager la gente si magnava le ossa. Manco i cannibali si magnano le ossa. I cani magnano le ossa. Mi sento un cane. 
Desisto. 
Meno male che il vino è buono, la bottiglia finisce in un battibaleno. 
Ah, l’identità. 
Il piede di porco per me è lo zampone  con le lenticchie oppure   ‘o père e o’musso con il limone*.
[non mangerò mai le cavallette]

Il viaggio in autostrada può essere molto monotono, soprattutto se tutt’intorno non c’è un caizer da vedere. 
Per ovviare a questo inconveniente, sull’A4, nel tratto da Sainte-Menehoud a Parigi,  sono stati messi in atto dei diversivi:  forme  colorate, collocate poco oltre i cigli stradali,   colpiscono l’attenzione dei viaggiatori. 
Il tempo di dire che sono tutte queste palle? e  si supera  la composizione di sfere in un nanosecondo, dopo qualche chilometro arrivano i triangoli, e poi i rettangoli, i rombi,  e le palle alternate alle forme piane. 
Per una mezzora il tempo passa veloce. 


Mont-Saint Michel è in Normandia,  ma il suo profilo a torta con candelina si vede dalla parte bretone della baia. 

E’ iperturistica e iperaffollata, le Mont Saint Michel. 
Non potrebbe essere altrimenti, data la sua straordinarietà.
(la navetta che congiunge il monte con il parcheggio, 7 minuti in alternativa ai 2 km a piedi, è affollata come la metro napoletana linea 1 o il tram 28 di Lisbona nell’ora di punta, e aspettare una corsa non risolve granchè, dato il numero sempre impressionante di turisti in attesa sulla banchina.  
E piove.)
Un po’ mi dispiace di aver visto solo il monte e non il monte diventare isola. 
Il coefficiente di marea è basso,  non sarebbe bastato invertire l’ordine del percorso, avrei dovuto proprio far slittare la data di inizio e fine viaggio. 
Ma anche così, con la sterminata sabbia paludosa a far da contorno, è  uno spettacolo. 
Immagino l’impressione che, in altri tempi,  doveva fare ai pellegrini che vi giungevano. 
Imponente, verticale, una lancia verso il cielo, a volte irraggiungibile.
Un po’ mi dispiace non poter fare la traversata a piedi nella baia fino all’isolotto di Tombelaine, sperimentare le sabbie mobili. 
Ma l’agenzia con cui avevo prenotato il tour ha annullato la passeggiata, e un po’ son contenta perché piove  e stare a piedi nudi nella fanghiglia  gelata con la temperatura esterna a 10°  non sarebbe stato proprio esaltante. 
[già coi piedi nelle scarpe e sull’acciottolato mi cionco dal freddo]

In alternativa si fa il giro del borgo – sgomitando tra la marea umana di turisti  – la scarpinata sui remparts  e la visita dell’abbazia. 
Questa è davvero un fuori programma perché, secondo il sito ufficiale che avevo consultato,  l’orario di apertura  termina alle 19,00. 
Quasi  due ore dopo l’orario ultimo di ingresso riportato scopro che si può entrare e godere della visita notturna. 
Di certo si perdono l’aura sacra – e chi se ne frega – e  la precisa visione architettonica, ma la fascinazione è notevole. 
Non comprendo bene quale sia il filo conduttore degli allestimenti, uno spettacolo di suoni, luci e ombre, proiezioni sui muri: c’entrano gli uccelli, il disfacimento. 
Mi piace, mi piace molto. Suggestivo assai. 
(non tutti i mali vengono per nuocere)




Il viaggio nella Bretagna vera e propria comincia con Saint Malo, la città corsara. 


Ma prima di arrivarci, si fa breve sosta in un altro piccolo villaggio, Mont-Dol
E’ Bretagna, ma di fatto è molto più vicino a le Mont Saint-Michel. 
Ancora un’etichetta: village d’Exception. 
Carino, si, ma  di eccezionale mi pare che non abbia proprio un cazz. 
Un mulino a vento  e un punto  panoramico da cui, condizioni meteorologiche permettendo, si dovrebbe vedere la baia. 
Sembrano discrete, ma non è che si veda granchè. 




E’ meglio il laghetto con le paperette e le ninfee. 


Ma non dimenticherò mai il cappuccino. 
Non ne ho mai bevuto uno più schifoso. 
Un bubbazzo marroncino senza ombra di schiuma dal sapore orripilante, tre euro e cinquanta e venti minuti di attesa. 








Città corsara, accoglimi! 




I link.

*‘o père e o’musso  voce di Wikipedia.

Abbazia di Saint Michel: Sito ufficiale

Mer et terr oir: Sito di Virginie Morel, guida autorizzata della Baia, visita della baia.







3 commenti:

  1. Sì, Mont Saint Michel è di grande fascino, suggestione nonostante i turisti. Ma cosa sarebbe senza!!!

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  2. E, mamma mia! io manco ci avrei provato a mangiare i pied de porc!

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    1. Sono propensa a sperimentare piatti insoliti, però stavolta più che il gusto ha inciso il tabù culturale:)

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