lunedì 28 agosto 2017

Breizh con parentesi (4). Saint-Malo, Dinan, Cancale, Cap Frèle.



Ni français ni breton, malouin suis!” 

Saint-Malo è una città bretone “anomala”.  

Ma in fondo, checchè ne dica l’adolescente-zavorra, con il suo motto “sono tutti uguali questi posti!”,
le città, i paesi, i villaggi che ho visitato hanno tutti qualcosa in comune e tutti delle differenze: in comune oltre  la Gwenn ha du (la bandiera bianco-nera), hanno il triskel (il simbolo celtico a tre spirali intrecciate), le galettes (crepes di grano saraceno con ripieno salato), la pietra e i fiori, il clima. 
Un clima di merda, la verità. 
Mutevole, anche in estate fresco tendente al freddo grazie all’azione combinata del vento infame, piovigginoso.  
[su millanta foto, in almeno tre quarti   il cielo è grigio metallizzato o è attraversato da plumbei nuvoloni] 

E’ così che mi accoglie Saint-Malo, con  vento gelido e pioggia intermittente. 
La plage du Sillon è lunghissima e larghissima. 


Cerco riparo tra i possenti tronchi di quercia fissati nella sabbia, tutti con la stessa altezza, tutti alla stessa distanza (una palizzata ciclopica), ma sono frangiflutti, non frangivento e il mare, complice la bassa marea, è quasi sul filo dell’orizzonte. 
Non ci provo proprio ad avvicinarmi alla battigia, dove sono pronti a menarsi  i kitesurfers.
[Avere tanto mare e spiagge così belle e non potersene vedere bene, marò. 
Se i bretoni avessero anche il beneficio del clima, vivrebbero in un paradiso terrestre].
 Il cielo è solcato da un cuofano di aquiloni curvi e dai gabbiani. 
Gabbiani impertinenti e audaci. 
Davanti ai miei occhi si consuma un arrembaggio. 
Plana alle spalle, in un  fulmineo  frullare di ali. 
Un gabbiano strappa dalle mani di un ragazzo il panino che era sul punto di addentare.

E’ ancora città corsara.

Stesso giorno, spiaggia du Sillon qualche ora dopo.

Prima di entrare in Intra-Muros,  passo per un bassin, un bacino di carenaggio, una delle “piscine" che accolgono le attività portuali mercantili e di riparazione navi. 
Il cuore/occhio della città  protetto da possenti mura e prolungato verso l’Oceano,  nasconde i container, le gru, i magazzini del  porto mercantile. 
E’ più romantico pensare che  un tempo nascondeva i pirati. 
In Intra-Muros, affollata di gente, piena di negozi eleganti e ristoranti,  mangio l’ hot-dog bretone – il primo di una lunga serie - ,  la galette-saucisse, una crepe di grano saraceno che avvolge una salsiccia. 
Buonissimo ed economico street-food.

La passeggiata sui remparts è d’obbligo. Solo dalla città fortificata si accede alla spiaggia del buon Soccorso, che ha una piscina di acqua di mare costruita negli anni trenta del secolo scorso per consentire ai bagnanti di nuotare anche con la bassa marea. 
Non piove più, è comparso il sole, ma nella piscina non c’è manco un’anima. 
Si va alla Grand Bé, l’isola  nella quale è sepolto Chateaubriand   e che con la bassa marea diventa una penisola. 
E’ incredibile quanto possa proteggere dal vento la Grand Bé!
Riparata dallo scoglione, con la città davanti ai miei occhi riesco persino a liberarmi della giacca e della felpa e a sentirmi al mare, d’estate. 
Proprio mentre la beatitudine sta per raggiungere il  culmine – sto per liberarmi persino della maglietta a maniche lunghe – un fischio. 
Due, tre. 
Realizzo al quarto fischio unito a parole urlate in francese e in inglese  e a sbracciamenti.
Un addetto alla sicurezza fa smobilitare tutti. 
Il mare avanza, bisogna immediatamente abbandonare l’isola. 
Con tutte le mappatelle in mano – e la busta con le cozze raccolte in luogo delle conchiglie - si torna sulla terraferma.  
A vista d’occhio la spiaggia si restringe. 
L’ultimo gruppetto di persone che lascia la Grand Bé lo fa con i piedi a mollo e le onde che sciacquettano sulle cosce.


Ho perso la marea di Mont-Saint-Michel, ma questo  spettacolo ripaga in parte.  

La stessa meraviglia  mi assale a Cancale, piccola cittadina specializzata nell’ostricultura a pochi chilometri di distanza. 
L’alternarsi di bassa e alta marea trasmuta i luoghi e li rende fascinosissimi. 
Tantissime barche ancorate sulla sabbia,  sembrano relitti.


Penso ai pescatori che regolano il loro lavoro sui ritmi delle maree, oltre che sui capricci delle onde.  

Oltre il porto de la houle, quasi a ridosso della falesia, c’è il mercato delle ostriche: a me sembrano tutte uguali, invece evidentemente la differenza c’è, non è solo di prezzo che varia in base alla misura.



Le bancarelle sono attrezzatissime: mani svelte ed esperte aprono le ostriche e le servono sull’apposito piatto, corredato di forchettine e limone. 
Il rituale prevede l’accomodamento sul muretto, piatto ivi poggiato, strizzata di limone, degustazione con risucchio, lancio della conchiglia in mare,  restituzione di piatto e forchettina da riporre  nell’apposita  bagnarola con l'acqua.

Non ne ho mai mangiate di così buone.








Dinan è una cittadina assai rispondente all’immagine che avevo delle cittadine bretoni: case a graticcio, artisti di strada che indossano abiti medioevali e suonano melodie pseudoceltiche, triskel diffusi. 
Molto carina, con un’appendice costituita da molte casette coi tetti di ardesia che si adagia sul fiume Rance.


C’è il mercato nella place du Champ Clos. Oltre alle bancarelle di cazettielli e mutande, di pentole e tegami, di verdure frutta salami e formaggi, ce ne sono moltissime di magnatoria pronta al consumo: dalla paella al cous cous, dalle galettes al pollo fritto con patate. 
Una multiculturalità che mi commuove e mi provoca una voragine nello stomaco a cui rimedio con una galette complete, mentre il resto dell’equipaggio si lancia su altre ghiottionerie.


Cap Fréhel mi ha ricordato l’Irlanda, le scogliere di Moher. 
Non sono così alte e spettacolari le falesie bretoni, ma si passeggia sulla brughiera proprio a ridosso dei precipizi, accompagnati dallo stridio di centinaia di gabbiani che nidificano tra le rocce.



Il faro di Cap Frèhel si vede  da Fort La Latte
E’ un castello medioevale convertito dopo qualche secolo  in fortezza militare. 
Si accede attraversando un bellissimo viale  fiorito, ricco di piante di ogni tipo, una sorta di piccolo giardino botanico che è proprietà privata, come il monumento.
Il panorama è incantevole.



Anche la fortezza è bella, con i ponti levatoi, le torrette, il forno per fondere le palle di cannone, la chiesetta, il torrione la cui ultima salita si fa in esterna, salendo  una gradinata  ripidissima sulla cupola, servendosi di una corda come passamano. 
(l’ascesa finale me la sono risparmiata)
Tuttavia.
Un pò come nel castello di Lichtenstein,  mi sono sentita come un’ospite – pagante – a cui è stato generosamente concesso di entrare nel cortile di una casa nobiliare. 
Quello che viene affittato per gli eventi. 
(il castello/fortezza è stato anche set cinematografico)
Se dovessi tornare, mi fermerei prima del botteghino. 

Il viaggio in Bretagna continua. 
Si va alla fine del mondo, nel Finistère.




Le tappe precedenti: :

Napoli, Bolzano, TubingaBreizh con parentesi. (1) Napoli-Fortezza-Tübingen

Foresta Nera : Breizh con parentesi. (2) Schwarzwald: Schiltach, Triberg, Gengenbach.

Mont Saint Michel : Breizh con parentesi. (3) Sainte-Menehould, Mont-Saint-Michel, Mont-Dol.


Le tappe successive:

Douarnenez,  Concarnerau, Pont-AvenBreizh con parentesi (5). Finistére

Vannes, Paimpont : Breizh con parentesi (6). Morbihan: Vannes, Brocéliande, Guéhenno, Sarzeau



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