lunedì 23 luglio 2018

Transfagarasan, Transilvania, Trans-Romania. (4)


Ultima chiesa sassone fortificata prima di arrivare a Brasov, in una cittadina distante pochi chilometri. 
Prejmer
C’è movimento. Le bancarelle e il palco in montaggio lasciano intuire i preparativi per una festa paesana. 
Ha una doppia cinta muraria, la chiesa sassone. All’interno della prima, negozietti di souvenir, e miracolo! persino dei pannelli illustrativi sulla distribuzione geografica delle chiese fortificate, sulle loro caratteristiche, pannelli esplicativi in  rumeno e inglese (la mia comprensione dell’inglese è assai  parziale, ma meglio parziale che nulla).
La seconda cinta presenta, sul lato interno, vari piani di celle e cellette. 
Un anello ad alveare  al cui centro c’è la chiesa. Molto suggestivo. 
Si possono percorrere i ballatoi, si può entrare in qualche stanza, si possono salire le scalette in legno che collegano piano e piano. 
E’ la chiesa fortificata più affollata di turisti: ci sono anche dei gruppi di ragazzini, sembrano scolaresche in visita di istruzione (ma in Romania si va a scuola anche a luglio???)
E’ senza dubbio la più interessante  - e pariante - delle tre che ho inserito nell’itinerario. 

Ancora street food. 
In un  furgoncino attrezzato con bancone, piani, friggitrice, e sul retro una grande furnacella, si preparano langos e kurtoskalacs. 
Il làngos è la pizza fritta rumena (ungherese, ma vabbuò, si magna anche in Romania). 
Una base di pasta fritta, su cui si spalma panna acida e si grattugia una montagna di formaggio (io ho assaggiato questa versione) 
Piegata a portafogli, consegnata al destinatario (moi) e immantinente divorata. 
Per dessert, un  Kurtoskalacs. 
E’ come un trdelník, un rotolo di pasta cotto sulla griglia e  ricoperto di mandorle e noccioline che ho mangiato anche in Repubblica Ceca.  
Quello rumeno è davvero gigante, grande almeno quattro volte quello praghese.  
Un cannone. 
E’ così grande che sono scossa da attimi di titubanza, fino a quando  un’altra cliente mi propone (a gesti, of course), di prenderne uno e di dividere cilindrone e costo. 
Affare fatto, mi strafogo anche il mezzo cannone, che inevitabilmente si gnomma sullo stomaco peggio di un blocco di cemento. 

Panza piena e cuor leggero, si arriva a Brasov, una cittadina movidosa. 
Tanta gente, concentrata soprattutto nella pedonale strada  Republicii, un tempo la strada delle Gilde degli artigiani, ricca di edifici dalle splendide facciate.  
Sfocia nella grande piazza del mercato. 
Ai pedoni sono concessi solo i lati della strada, perché il centro è occupato da un’infinita teoria di tavoli sedie poltroncine ombrelloni gazebo. 
Secondo una tradizione locale, non ad Almaș (così per una variante della fiaba) ma proprio vicino a questa grande  piazza sbucarono i 130 bambini portati via dal pifferaio di Hamelin. 
E anche io vengo risucchiata dalla piazza,  attirata da una musica. 
Non è un  piffero. E’ un’intera orchestra. 
Su un palco, montato all’estremità della piazza, verso la Chiesa Nera, si esibisce la filarmonica di Brasov. 
I musicisti sono bravissimi. 
Il direttore d’orchestra è pieno di verve, ha il ciuffo ribelle così come lo richiede l’immaginario collettivo. 
Al termine di una serie di esecuzioni musicali, si volta verso il pubblico, parla, accompagnando le parole con una mimica facciale e una gestualità assai accentuate. Il pubblico ride e applaude. 
Mi dispiace non poter ridere.  Posso solo applaudire.

E’ davvero una meraviglia, un incanto, stare seduta sui gradini della  fontana, lo sguardo perso tra i tetti degli storici palazzi e il volo dei gabbiani sul cielo terso e luminoso, la musica nelle orecchie e nell’anima. 
Vorrei durasse in eterno. Omnia transit, invece.
Una bambina fa cadere l’acqua dalla bottiglina e mi ritrovo con il culo bagnato. 
Meglio alzarsi. 
E anche il concerto finisce. Gli strumenti vengono riposti nelle custodie e il palco diventa uno scheletro di ferro.

Nella  biserica neagra, imponente e severa all’esterno, negra e cupa anche all’interno,  non è possibile fotografare, neanche con il cellulare. 
Cattiva abitudine, lo schermo del telefono troppe volte sostituisce gli occhi. 
Ma per quanto tempo ricorderò il coro di voci bianche che fa le prove sull’altare  rischiarando di bellezza la cattedrale?

Sinaia è una località d’elite. 
Stazione sciistica, si snoda lungo una strada principale. Ci sono tanti bei palazzetti, tanti bei villini anche sui pendi. 
E’ cresciuta attorno al monastero omonimo. 
Alla fine del 1800 re Carlo I fece costruire un castello per le vacanze estive, e nell’area della sua tenuta sorsero anche altri edifici in stile similare. 
Probabilmente la presenza delle reali dimore generò una sorta di catena di santantonio, per cui chi poteva si faceva costruire nei dintorni una bella casettina per spararsi un po’ di pose, o  andava nei lussuosi alberghi e al casinò (che ora è un centro conferenze, visitabile).
Ed è rimasta un poco di puzza al naso, a Sinaia.
 (la più cara tra le cittadine rumene che ho visitato.)
Nonostante la pioggia – la mia solita ciorta –,  il freddo, le nuvole grigie che incupiscono tutto, nonostante i giapponesi che stanno ore a turno a fotografarsi davanti ogni cuolldicazz, il parco di Peles e tutti i suoi edifici sono bellissimi. 

Castello di Peles, Sinaia

L’orario di visita dei castelli termina piuttosto presto: l’ultimo ingresso è alle 16,30. 
Piuttosto che stare inculata alla fila e vedere in affanno il castellone, opto per l’entrata nel castello di Pelisor. 
(il fratellino minore)
All’ingresso, in uno scatolone, ci sono centinaia di pallottoline di plastica azzurra: sono i copriscarpe da indossare per non inzaccherare il pavimento in legno del palazzo. 
(ecco da dove provenivano! Un cuofano di giapponesi nel parco camminavano – senza fare neanche uno sciugliamazzo! - con queste coperture: non le avevano tolte neanche dopo la visita).
Dalle scarne informazioni in inglese riportate su foglio A4, deduco che ancora una volta la padrona di casa è  la regina Maria:  lo studiolo di pittura, la camera del ricamo,  la stanza per ospitare la sorella, la  Camera d’Oro, le cui pareti sono interamente ricoperte da foglie di  cardo in oro. 
E che due palle.
La proprietaria del bed and breakfast dove alloggio dice : la regina Maria ha fatto tanto per la Romania.
Io penso che la regina Maria abbia avuto tanto dalla Romania.

L’itineranza termina. 
E’ tempo di riconsegnare l’auto e di andare a Bucarest. 



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