Ma come è suggestiva e affascinante Amsterdam, con le sue case strette e lunghe e inclinate, con i ganci penzoloni dalle travi che spuntano delle soffitte a memoria del tempo in cui ogni casa sui canali era bottega/abitazione/deposito.
Quante sono, e come sono ordinate e ritmiche le finestre rettangolari, tante finestre tese a catturare tutto il sole che il capriccioso cielo olandese lascia penetrare!
Che delizia i frontoni, tutti diversi, coi pinnacoli, a scala, a bottiglia, con le volute: uno skyline fantastico.
Come sono pittoresche le case galleggianti, ex barconi o ex sommergibili o ex pescherecci che non potranno mai più prendere il largo.
Alcune sono state trasformate in deliziosi pied a terre, altre – talvolta quattro tavole di legno e tre lamiere tirate su delle chiatte – sembrano più depositi di munnezza dove, tra tendine e finestre scardinate, i vasi di fiori cercano di dare l’idea di una rustica casetta di campagna.
Però. Col caizer vivrei dentro una houseboat. Mi sembrerebbe di stare in un vascio.
(Anche i bassi napoletani sono tipici e pittoreschi: e tirittitì).
Chissà invece come sono belli i giardini e i cortili che si aprono dietro le facciate, se sono serafici e pacifici anche un decimo del cortile del Begijnhof, un’enclave a un passo dalla frenetica piazza Spui (e infatti ci sono entrata dal lato opposto, manco l’avevo notata la porticina marrone tra le altre bianche).
Ecco, in una delle 146 abitazioni che vi sono nelle palazzine del Begijnhof ci vivrei volentieri, invece. Chi vive lì, certo non più le beghine, non è neanche disturbato dal via vai dei turisti – c’è una compostezza che manco in una chiesa – disciplinato da un rigido orario di ingresso (10-17 naturalmente) e limitato ai vialetti più lontani dalle case.
E se vivessi lì, un giorno sì ed uno no andrei a pranzo o a cena al The Seafood Bar, pochi metri e m’abbofferei di pesce e patatine fritti.
[ma chi può, si lanci pure sui tripudi di crudo.]
[ma chi può, si lanci pure sui tripudi di crudo.]
Com’è suggestiva Amsterdam dopo il tramonto, quando le luci della città colorano le acque dei canali e non si distingue più il marrone scuro del fiume [ci possono vivere i pesci in quell’acqua bruna e opaca? Non ho visto nessuna canna, o meglio, nessun pescatore con canna]
Come è struggente Amsterdam al mattino presto, quando i palazzi si riflettono tremolanti nell’acqua che non è ancora solcata da decine di battelli, motoscafi, canoe scialuppe e barchetelle e le orde di ciclisti non hanno ancora imbracciato i manubri.
Come è struggente Amsterdam al mattino presto, quando i palazzi si riflettono tremolanti nell’acqua che non è ancora solcata da decine di battelli, motoscafi, canoe scialuppe e barchetelle e le orde di ciclisti non hanno ancora imbracciato i manubri.
Com’è checazzo perdersi tra i vicoli di Amsterdam, un attimo sei nel quartiere cinese e quattro passi più in là in mezzo alle vetriniste.
(nota a margine. Non ne ho vista neanche una di colore. Tutte bianche, giovani, prosperose, molte con gli occhiali studentessa mode, annoiate più che ammiccanti, intente a chattare, a giocare con il cellulare, a limarsi le unghie o a chiacchierare con la vicina di finestra)
Ah, il quartiere a luci rosse. Eh.
Bisogna fare attenzione, perché persino io sapevo che è proibito fotografare le ragazze in vetrina, ma non credevo che fosse rischioso anche fotografare il vicolo, intendendo per vicolo la prospettiva della strada, senza alcuna intenzione e volontà di inquadrare le abitazioni né tantomeno le finestre e chi le occupa.
Tra le tappe della caccia alle curiosità architettoniche e urbanistiche della città – la casa più stretta, la casa dalla facciata più larga etc etc -, c’era anche il Trompettersteeg, il vicolo più stretto di Amsterdam.
(I carrugi di Genova gli fanno un baffo)
Mannaggia alla capa mia quando ho deciso di percorrerlo velocemente con il cellulare spianato.
Ero quasi arrivata alla fine quando sono stata arpionata da una tizia, della cui esistenza giuro giurin giurello non mi ero minimamente accorta che mi ha abbuffato di maleparole in olandese (non capisco l’olandese, ma il tono non lasciava dubbi a riguardo. Ignoro se nella mia corsa nel vicolo sia passata davanti ad altre, più tolleranti, più indulgenti).
Ero quasi arrivata alla fine quando sono stata arpionata da una tizia, della cui esistenza giuro giurin giurello non mi ero minimamente accorta che mi ha abbuffato di maleparole in olandese (non capisco l’olandese, ma il tono non lasciava dubbi a riguardo. Ignoro se nella mia corsa nel vicolo sia passata davanti ad altre, più tolleranti, più indulgenti).
Manco avessi fatto una rapina o un reato ben più grave, vergognosamente ho blaterato qualche sorry but e ho accelerato il passo e fatto ciao ciao a quel reticolo di strade.
Via, via, proprio dall’altra parte del mare o del lago, boh, chissà cosa è l’IJ.
Alle spalle della stazione centrale c’è il traghetto gratuito per pedoni e ciclisti. Buiksloterweg, c’è scritto.
Pochi minuti e si è ad Amsterdam Noord, dove elegante si staglia la sagoma dell’EYE, non solo museo del cinema, molto di più.
E’ su questa parte del lungomare che è stata posizionata la scritta gigante Amsterdam, che fino a qualche tempo fa era collocata davanti al Rijksmuseum.
(in verità ne ho vista un’altra all’aeroporto di Schiphol, ma mi è sembrata pezzotta)
Nell’EYE c’è un bar ristorante panoramico molto carino. Mi rinfranco con una birra e un piatto di formaggi e pane alle noci e una strepitosa composta di fichi e mele.
Quattro giorni passano in un baleno.
Ed anche le cinque note.
Non avrei potuto lasciare Amsterdam senza pagare questo piccolo e sorprendentemente delizioso tributo.
Prima nota:
Il museo Van Gogh
Seconda nota:
La I Amsterdam city card
Terza nota:
Micropia e oltre
Quarta nota:
Birre, formaggi, fiori e biciclette.
Prima nota:
Il museo Van Gogh
Seconda nota:
La I Amsterdam city card
Terza nota:
Micropia e oltre
Quarta nota:
Birre, formaggi, fiori e biciclette.
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