sabato 24 agosto 2024

Vacanza cretese

L’estate dello scorso anno è stata l’unica  in cui non c’è stato neanche un giorno di mare. Niente sole, niente caldo. (La fredda estate nei Paesi Bassi).

Quest’anno, la nemesi.

Creta.



-       Creta è un’isola enorme, non la si può girare in una sola volta, meglio dedicarsi all’ovest, o all’est, o al sud, e tornare, tornare

-       Eh, se ti piace mettere le bandierine allora passa pure ore e ore in macchina, non ti rendi conto delle distanze e delle strade

-       Bisogna avere lentezza, per godere lo spirito cretese.”

Anche a Procida si dovrebbe tornare,  per scoprire angolini nascosti sfuggiti alla prima vacanza;  i viaggi in macchina hanno un perché, soprattutto se fatti su strade lente e panoramiche; lo spirito cretese non esiste: Tò Hellenikòn, l’identità greca è comune all’Epiro e alla Macedonia, alle isole del Dodecanneso e delle Cicladi, alla Tessaglia e anche a Creta.

Di tutti i consigli iterati enne volte nei forum di viaggio e sulle pagine social, me ne sono fregata altamente e in quindici giorni, ho toccato sud, ovest, nord ed est:  Heraklion, Kerames,  Moni Chrisoskalitissis, Chiana, Rethimo, Myrtos, Kato Zakros e ritorno all’aeroporto di Heraklion. 

L’itinerario tiene conto dei pernottamenti.

Atterrati ad Heraklion, ritirata la vettura all’autonoleggio [coi soldi pagati per il noleggio avrei potuto comprarla un’auto così vecchia. O aria condizionata o salita, rigorosamente in seconda. Però si è potuto godere del vento caldo e di ogni minimo particolare del paesaggio] e parcheggiata nell’apposito spazio a disposizione dell’appartamento, si comincia con la visita al museo archeologico, aria condizionata salvifica. Molto di ciò che è stato ritrovato nei palazzi minoici è nel museo. 

Oltre ai noti disco di Festos e all’affresco della taurocatapsia [molto più piccolo di quanto lo immaginassi, molto ricostruito], il museo contiene (contiene, sì. È un museo molto tradizionale, poco più di un contenitore) oggetti di straordinaria bellezza e inusitata modernità, come la coppa ritrovata a Festos raffigurante tre figure femminili stilizzate o la scultura della bimba su altalena ritrovata a Agia Triada.

Dal museo fino alla rocca veneziana è una breve passeggiata; sulla via del ritorno, uno sguardo agli altri luoghi topici segnalati come “architetture notevoli” della città: la loggia, la fontana Morosini e la fontana Bembo. Sono memoria di dominazione, e non mi entusiasmano più di tanto. 

Sento di aver già dato il tributo al versante cultura: tra le alternative della sosta intermedia tra i pernottamenti previsti dal mio itinerario, palazzo di Cnosso o palazzo di Festos o baia di Matala, opto senza alcuna incertezza per Matala.

(il solo pensiero di scarpinettare tra millenarie assolate pietre roventi mi produce l’eritema)

Creta dovrà essere  aria, terra, fuoco e acqua. Soprattutto acqua, mare.

Più che i siti archeologici, ho da spuntare le spiagge must: Elafonissi, Preveli, Triopetra, Vai, Xerocambos.

Mi manca  il fisico per affrontare le salite su terreni accidentati e lo spirito per i barconi affollati di gente, per cui su Balos ho messo croce sopra e amen.

Qualche decina di anni fa Matala doveva essere davvero ipnotica: non mi meraviglio che gli hippies delle grotte ne fecero case.

Ora l’atmosfera peace e love resiste nei tavolini colorati dei milleuno taverne e baretti, nelle stradine dove sopravvivono i disegni del Matala street painting, preludio del  matalabeachfestival.

Vista l’orda di turisti, c’è poco di autentico. Il mare però è autenticamente trasparente.

Il viaggio cretese comincia davvero  da Matala a Kerames, anzi, ad un monolocale  sul mare ad otto chilometri dal borgo di Kerames.

Una sessantina di chilometri percorse in due ore e tremila patemi d’animo.

Google maps non si rivela un sussidio utile: dopo, molto dopo, si è capito che le strade che propone come scorciatoie sono praticabili solo dalle capre.

Inserita la destinazione, comincia il percorso su serpentine  lungo le quali non si incontra né anima viva né anima morta, o su sterrati tra il fianco della montagna e il precipizio. 

Straordinario paesaggio, se non si avesse il catorcio che arranca sulle salite accompagnando la fatica con un rumore da aeroplano, se il vento caldo non raggiungesse i 43°, se non ci fosse il pensiero fisso maròesesi fermalamacchinasoprastopizzodimuntagnacomesimettenome.

Ma ci si abitua. Mai alla bellezza, piuttosto alle straducole e ai tornanti. E se si ferma la macchina  qualcuno verrà.

La terrazza del monolocale incarna la mia idea di vacanza: essere sgombro, libero, svuotato dall’ordinario. Nei dintorni non ci sono negozi, finestre, persone, macchine.  Davanti agli occhi solo il mare, le piante, le montagne, il cielo.

In lontananza, in un’altra baietta, ad Agia Fotini, una sola taverna raggiungibile a piedi.

Nella spiaggia sotto casa  non c’è mai nessuno. Sembra di possedere una discesa privata.

Beatitudine.

Ma si è ad un tiro di schioppo da alcune delle spiagge della lista e non le si va a vedere?

Preveli beach,  attraversata dal fiume sulle cui sponde crescono le palme.

Ci si arriva via mare, con i taxi boat, o via terra con non indifferente camminata,  da ovest, parcheggio sulla cima della montagna e discesa superpanoramica a piedi (che poi diventa tutta salita al ritorno) , da est, parcheggio sulla spiaggia da cui parte un sentiero – a tratti scalinate di roccia - , prima in salita e poi in discesa, meno panoramico ma sicuramente più breve.


Nonostante l’arrivo in spiaggia alle 9 del mattino,  mi sono chiesta se valesse la fatica (una spugna di sudore, con passeggiata breve).

Sull’acqua, anche se non sono ancora arrivate le barche, c’è una velatura d’olio.


Molto meglio Triopetra. La spiaggia è lunghissima, solo una piccola parte è attrezzata con ombrelloni. Verso i faraglioni a fettine (così mi sembrano i tre scogli che le danno il nome) l’acqua è davvero cristallo.

Ma ancora più bella è Ligres.

Non c’è acqua dalla cascatella che dovrebbe finire a mare, ma ci sono pace, silenzio, un ventariello dolce … e all’estremità una parete di sabbia sulla quale vorrei salire per scivolare come se fosse una duna nel deserto.


Elafonissi è a sud ovest di Creta. Da Paleochora, sempre sud ovest, che dista in linea d’aria pochi chilometri, non c’è strada diretta: occorre risalire a nord e poi scendere di nuovo. Da Kerames sono tre ore e più di viaggio. Indispensabile una sosta. 

Georgioupolis.

Avevo visto delle incantevoli foto di una chiesetta in mezzo al mare, raggiungibile percorrendo  un sentiero di lastroni in pietra.

Agios Nikolaos Chapel. Vista. Incantevole. Però… quanti chitemmuort scappati su quella striscia di rocce non li ho  contati. Soprattutto la parte centrale della “stradina” è fatta da scogli scivolosi, muschiosi, sui quali le onde sguazzano.  Mi sono sentita un elefante con le vertigini. Gli attacchi di sudore freddo hanno raggiunto picchi stratosferici, così come quelli di invidia per chi con gli infradito saltellava di qua e di là manco fosse farfalla o libellula.

Moni Chrisoskalitissis è un piccolo agglomerato di case sparse  che ruota attorno al monastero che non ho visitato, ma ammirato al tramonto dal terrazzino del monolocale.


Lo sviluppo del paesiello (molte casette nuovissime, moltissime in costruzione) non è certo dovuto al richiamo spirituale dei monaci ortodossi (la domenica mattina tutto l’aere rimbomba della preghiera), ma alla vicinanza – solo 4 chilometri – dalla famosissima laguna di Elafonissi, che è, innegabilmente, una meraviglia.

Alle 8 del mattino non c’è nessuno: la spiaggia, anzi le spiagge, perché tante sono le calette che costituiscono la laguna  dell’isolotto di Elafonīsi, hanno venature rosa e sabbia sottile e morbida; l’acqua è bassa e calda.

Si fa il bagno – non si nuota, non ci si rinfresca: si fa proprio il bagno, un ammollo lunghissimo in una gigantesca e luccicante vasca marina.

Della gente che arriva a frotte  non me ne rendo conto fino a quando non vado via.  Ma la laguna è grande, nell’acqua c’è spazio per un esercito.

Vicinissima ad Elafonissi c’è un’altra spiaggia top, Kedrodasos, la spiaggia coi ginepri fino al mare. Ne faccio a meno. (Così come di Falassarna)

Mi innamoro invece della comoda e vicinissima Voulolimni – un “cratere”, una piscina naturale - dove gli abitanti di Moni Chrisoskalitissis si intrattengono, le vecchiette in acqua a fare gli inciuci, i vecchietti sugli scoglietti a fare gli inciuci.

Voulolimni è  dei locali, ci sono pochissimi turisti. Sembra proprio un laghetto, tondo, con l’acqua verdissima, riparata in caso di vento e mare mosso. Il tramonto è struggente.

Anche ad Aspri Limni, altra insenatura quasi chiusa, si sta benissimo. Ci sono sette ombrelloni e alcuni lettini  gratuiti, a  disposizione di chi prima arriva. Il giorno in cui ci sono stata io sono bastati per tutti.

Si risale a nord. Chiana, o La Canea. Solo un pernottamento, in un albergo sulla collina che ha il notevole vantaggio di avere una navetta che porta al centro storico della città (no stress parcheggi, please)

E’ carina la zona del porto vecchio:  un artista di strada  suona la chitarrina e balla su un filo, una folla stratosferica  fa lo struscio, il cuofano di ristoranti sono tutti zeppi di gente che magna, il super yacht –  Jewel – sul cui ponte passeggia una donna in chador e sul cui ponte dopo chiacchierano ragazze in divisa dalla fisionomia orientale spicca tra i suoi fratelli più sfortunati,  un calesse trainato da cavallo  passa vicino alla moschea ora luogo di mostre e eventi. 

Ma è carino il lungomare  del porto vecchio, per la passeggiata di una sera.

Tra Chiana e Rethimo la sosta è al lago Kournas.

Superato il burdello degli affitta pattini e canoe, dei  negozi di souvenir, all’ombra degli alberi, con  il sottofondo musicale delle cicale, c’è la pace. E l’acqua del lago è calda e trasparente, non fanghigliosa, la terra sembra morbida sabbia.  

Imperdibile, soprattutto dopo aver constatato la riminitudine del lungomare di Rethimo, che in compenso  ha dei vicoletti deliziosi. Si ha la sensazione di perdere l’orientamento, aggirandosi tra soffitti e pareti di fiori e finestre decorate.

Ad una mezzoretta dalla cittadina, uno dei monasteri più importanti di Creta (forse il più importante)

Arkadi.

Nel 1866, alcune centinaia di persone, confortate dalla benedizione del prete, saltarono in aria dando fuoco alla polveriera pur di non cedere all’assedio  degli ottomani. Questa “resistenza”, permeò le coscienze occidentali e portò le potenze europee del primo Novecento ad acconsentire all’unificazione dell’isola con la madre Grecia.

Si arriva tardi, secondo google dovrebbe già essere chiuso [vabbuò, guardiamo gli esterni]. E invece è ancora aperto, il bigliettaio ci fa entrare senza neanche farci pagare. C’è ancora qualcuno che gironzola. Il monastero mi ricorda quelli spagnoli, non so perché. Più che la chiesa (mi sembrano tutte uguali le chiese ortodosse, un horror vacui di icone fisse e lampade e lampadari) e gli spazi accessibili, più che i totem del ricordo (l’albero che ha ancora conficcato il proiettile), vorrei vedere ciò che non si può: le celle dei sette monaci che ci vivono, ad esempio. E sapere come trascorrono il tempo resistendo all’invasione dei turisti.

Dalla costa nord si riscende di nuovo al sud, per arrivare all’estremo est.

Lungo la strada, il villaggio di Amiras ospita uno dei tanti memoriali delle atrocità tedesche subite dai cretesi durante la seconda guerra mondiale. L’urlo del vento fa da colonna sonora.  

Tra Myrtos – un paesiello proprio sul mare, sonnacchioso e lento - e Ierapetra (bruttarella non poco), mi impressiona la quantità enorme di serre. Teli di plastica bianchi hanno preso il posto della terra nuda. Cerco di capire cosa nascondano, ma solo talvolta riesco a intravedere qualche albero, delle foglie. Quasi tutti sono tendoni vuoti.

Il tratto di strada che si affronta per arrivare all’ultima tappa del viaggio, da Makrys  Gialos a Kato Zakros è il più fascinoso.

In un punto X,  sulle montagne [la distanza tra i villaggi è siderale, tra un minuscolo assembramento di case e un altro non ci sono che rocce, cespugli e olivi] , sembra di essere entrati nel regno di Pan. Sul ciglio della strada, capre, caproni, pecore.

Tantissimi. E tantissimi sparsi tra i cespugli e le rocce. Mi sento un’intrusa, mi pare quasi di violare qualcosa di ancestrale.

Kato Zakros è un’insenatura tra le montagne. Solo qualche taverna sulla spiaggia, neppure un minimarket.   Un luogo di assoluta tranquillità e pace, senza folla. 

Kato Zakros

Anche a Kato Zakros c’è un sito minoico, privo di visitatori. (Tutte le vestigia, ovvero qualche pietra, è a  vista;  a che serve pagare il biglietto per entrare nel recinto? Vi saranno un paio di pannelli esplicativi in tutta l’area)  Vi è anche l’ingresso per la Gola dei Morti, così chiamata perché è stato ritrovato un luogo di sepolture minoico.

[A proposito di sepolture. Nel museo di Heraklion vi è un grande vaso con uno scheletro rannicchiato in posizione fetale. Anche questo sepolcro viene da Kato Zakros. Il morto nel vaso di terracotta, preambolo al ritorno nel grembo della madre terra.]

Della gola dei Morti ho percorso solo un centinaio di metri, giusto il tempo per sentire l’eco della voce tra le montagne e provare la sensazione di sentirmi smarrita.

Da Kato Zakros ci vuole quasi un’ora per arrivare a Vai beach, un altro must cretese, la spiaggia con il più esteso palmeto d’Europa. Bellissima.

Però.

Non è tanto un peccato che sia interdetto l’accesso – le palme sono rinchiuse dietro staccionate, non è più possibile passeggiarvi nel mezzo – quanto che ne sia interdetta la vista: file di ombrelloni, con le pagliarelle e pure a baldacchino, per chi ha il portafoglio largo, privano lo sguardo di una meraviglia che pure ha diritto di essere preservata dal turismo selvaggio.

Fortuna che anche qui c’è un’ampia zona di spiaggia libera dove almeno fino alle undici si può stare larghi come pascià.

E che mare incantevole!

Kato Zakros è un buon punto di appoggio per raggiungere le spiagge di Xerocambos: tante calette tutte con acqua cristallina, poca gente, facile accesso.

Meravigliosa è argilos beach. Le pareti rocciose sono ricche di argilla, con la quale ci si può impiastricciare e fare una seduta di beauty therapy assolutamente naturale e gratis.

E’ un pochino laborioso sciogliere le rocce nell’acqua, ma proprio all’inizio della spiaggia vi è una grande pietra cava nella quale è possibile raccogliere l’argilla già pronta per l’impacco.

Di tanta bellezza non ci si sazia mai.

Ma le vacanze finiscono, si deve ritornare.

Da Kato Zakros ad Heraklion ci vuole tempo, più di 3 ore. Sulla costa nord, la strada veloce con tante automobili e gli agglomerati urbani mi riavvicinano alla “normalità”. Gli edifici non finiti, i tanti finiti e abbandonati – più di un resort ho intravisto tra Sitia e Malia completamente in malora, mi intristiscono: modernità come spreco.

Restituito il catorcio all’agenzia di noleggio, all’aeroporto si paga lo scotto di due settimane di tranquillità: una bolgia infernale di persone e valigie, file dovunque, rumore. Non c’è un angolo dove sedersi. Ore di attesa per l’imbarco in una situazione di surreale affollamento.

La vacanza è davvero finita. 


domenica 29 ottobre 2023

La fredda estate nei Paesi Bassi (5) Nimega, Maastricht, Roermond.

Il castello di Doorwerth, non lontano da Nimega in Gheldria, è   in perfetto stato di ricostruzione. 

Per una fortunata circostanza la visita è capitata in una delle giornate in cui attori in costume  animano alcune stanze del castello. Parlano benissimo l’olandese. Io no.

Castel & landscape: kastel Doorwerth viene segnalato in binomio. 

Il paesaggio circostante è bellissimo, anche la strada per arrivarci, una galleria tra gli alberi.  Non c’è bisogno di conoscere la lingua per leggere il paesaggio.  Incantevole.  

Altre due grandi città dei paesi bassi: Nimega e Maastricht

Nimega è una città universitaria. Immagino tutti i ragazzi rintanati negli studentati a fare burdello: è domenica e non c’è anima viva. Le strade sono completamente deserte e cambia poco anche di lunedì, anche nella strada dello shopping.  Anche nei Paesi Bassi ad agosto le città si svuotano. Completamente.  


Forse per meglio farsi notare, i ristoranti e i bar aperti hanno tutti delle file di luci accese. 

Lanterne gialle. 

Si sorprendono del nostro ingresso  gli addetti alla visita della torre della cattedrale, la Stevenstoren: con questo tempaccio non aspettavamo nessuno, dicono. 

Ci apre il portone e ci accompagna un gentilissimo  ex professore, prodigo di spiegazioni in inglese essenziale (come parlare a bambini).

Il vento e la pioggia sono sferzanti. 

A Nimega i tetti degli edifici storici sono in ardesia, il lungofiume è in mattoni grigi, l’acqua del fiume è scura, anche il verde – e Nimega è la città più verde d’Europa, si dice -  è cupo. 

Anche a Maastricht il sole è ritroso, splende solo dopo scrosci che svuotano improvvisamente le strade. Si sta appiattiti sulle soglie dei negozi o dei palazzi, come sogliole sul fondo del mare. 

Maastricht conserva parte delle mura antiche. Mi sorprendono  finestre di abitazioni incuneate nelle feritoie delle mura. 

Da mura difensive a pareti di appartamenti. 

Da magazzino ad archivio a libreria: queste le trasformazioni della chiesa gotica dei domenicani, sconsacrata dal 1794. 

Peccato, una bellissima chiesa. Certo, meglio libreria che magazzino. Ma meglio ancora sarebbe stato biblioteca pubblica, tempio dei libri piuttosto che mercato. 

La basilica di San Servazio  - che nome, che nome, il santo della chiave - e la concorrente protestante  Sint-Janskerk dominano  una grande piazza in un angolo del quale ci sono delle strane sculture, memento del carnevale. 

Dicono che sia sentito quasi come a Rio – con travestimenti più pudici, immagino. 

Anche Maastricht è verde. 

Il parco cittadino, stadspark,  accoglie innumerevoli tipi di volatili – ci sono tanti alberi con le casette per uccelli, sculture scolpite nel legno, un triste orso con mani e piedi al posto delle zampe nei pressi di quella che un tempo era la fossa degli orsi, laghettini e fontanelle. Un luogo ameno. 

Però davvero senza sole tutto diventa triste. 

E’ forse il sole che ha  brillato senza nascondersi per alcune ore su Roermond, città di cui non conoscevo l’esistenza, a farmela sembrare bella e briosa. 

O forse anche la presenza di “trappoline per turisti”, come gli occhiali da sole giganti davanti al Muziekkoepe,  o la sedia a sdraio titanica  o la cartolina enorme in cui infilare la testa per fare la foto ricordo.  

Ma anche la bella piazza del mercato, il municipio e la torre orologio con figure che fanno girotondo ogni ora accompagnate da scampanio e musichetta. 



Un’ultima annotazione. 

Tranne che al Markthal di Rotterdam, dove la varietà etnica   è accentuatissima [si può scegliere di mangiare qualunque cosa – greco, indonesiano, cinese, messicano etc etc – preparato e servito da greci, indonesiani, cinesi, messicani etc etc],  ho notato pochissimi immigrati. 

Boh, chissà perché. 

Il semel in anno del 2023 è andato. (andò)

Il vertiginoso turbinio dei funesti  eventi mi impedisce di pensare, anzi, di programmare il prossimo. 

Il pensiero c'era già. Ah, il vicino oriente...




La fredda estate nei Paesi Bassi. (1)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (2)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (3)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (4)



















La fredda estate nei Paesi Bassi. (4) Urk, Giethoorn, Thorn, Valkenburg aan de Geul

Flevoland – che nome evocativo – è la dodicesima provincia dei Paesi Bassi.

E’ terra strappata al mare, una grandissima isola artificiale.

Urk, ora nel Flevoland, prima era un’isola. Avevo letto della resistenza delle tradizioni locali: effettivamente la bandiera con il pesce sventola un po' dappertutto, ma di uomini con l’orecchino a forma di àncora ne ho visto solo uno. 


Il vento frustra le dune e le vele delle imbarcazioni nuove e antiche, eppure c’è chi ha il coraggio di immergersi nell’acqua scura. Altre tempre. Rimpiango di non aver portato il piumino pesante in valigia.


Non c’è molta gente. L’unica fila è davanti un localino che vende pesce fritto.

In ogni città o paesino dei paesi bassi la fila è sempre lì, davanti ai furgoni che vendono pesce fresco o già cotto. Sulla cucina olandese è meglio che non dica nulla.

Giethoorn è sicuramente il paesiello più famoso, il villaggio auto free, solo canali e ponti.

Però. Che medaglia dalle facce opposte  per i pochi abitanti. Ricchezza e disagio.

Una fiumana enorme di turisti – asiatici tanti, tanti – ingombra i vialetti e i pochi ponti percorribili. Le abitazioni su zolle di terra tra i canali, hanno le catenelle sui ponti d’accesso, o i cancelletti, eccezione olandese per tener freno all’invadenza del branco.


Per non dire delle barche, barchetelle, barconi che in fila indiana attraversano i canali. E sono arrivata sul finire del giorno. Non oso immaginare lo scenario nell’ora di punta.

Un’oasi di pace trasformata in giostra.  


Thorn è un altro villaggio “anomalo”. Per molti secoli, fino all’occupazione francese nel 1700,  è stato  un principato governato da una badessa. 


Un’enclave teocratica abbastanza liberale per i tempi. La abitazioni che circondano l’abbazia sono tutte bianche. 

Vicino Thorn c’è una spiaggia sul fiume.

 Anche qui, con la pioggia intermittente, accanto  agli ombrelloni hawaiani con il tetto di paglia prendono l’aria aspiranti bagnanti. 

Thorn è proprio sul confine con il Belgio. La riserva naturale di Koningssteen è il confine. Si può  passeggiare con un piede nei Paesi Bassi e uno in Belgio su una stretta lingua di terra tra i canali che forma la Mosa.

Adoro le terre di confine che non hanno confini.

Anche Valkenburg aan de Geul è una piccola città a qualche chilometro da Maastricht, vicinissime entrambe  sia al Belgio che alla Germania. In posizione sopraelevata. Collina.


E’ questo che la rende superattrattiva per gli olandesi? Ci sono tantissimi turisti locali. Ho contato più ristorantini lungo la strada principale che a Maastricht.

Ma oltre le rovine del castello – rovine, proprio all’inglese -, alle cave di marna trasformate da guide preparate in meraviglie turistiche (non ho capito una mazza, ma posso dedurre la bravura della guida dalla teatralità dei gesti e dall’attenzione degli altri visitatori, bambini compresi) e alle terme di recente costruzione non ho visto  altro.

Ma sono distratta e anche poco preparata.


La fredda estate nei Paesi Bassi. (1)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (2)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (3)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (5)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (3) Olanda Meridionale

Visitata già Amsterdam, la più bella – e ora lo posso dire con assoluta certezza – città dei Paesi Bassi, sarebbe stato bello fare puntatina in tutte le altre  province olandesi.

Nonostante la piccola estensione del territorio e le distanze relativamente brevi, ci sarebbero voluti almeno 20 giorni, tappe di avvicinamento escluse.

Molte province dei Paesi Bassi vengono sacrificate al giogo del tempo e del portafoglio.

Si comincia dall’Olanda Meridionale. Geervliet è un piccolo borgo ad una ventina di chilometri da Rotterdam.

La casetta in cui abbiamo alloggiato era un tempo un pollaio, immersa in un enorme giardino, alle spalle il mulino a vento, di fronte il campanile della chiesetta.

Le galline, considerate dei pet – hanno anche i nomi, impronunciabili naturalmente – razzolano quiete e discrete.

Un’oasi di pace.

Di contro non immaginavo le strade/autostrade  olandesi così tanto trafficate. Nu burdell di auto, camion, file ai semafori, agli incroci, sui ponti, per entrare e uscire dai parcheggi.

Dei malori delle grandi città gli olandesi sono immuni al senso di insicurezza.

Nessun  cancello, recinto, muretto, filo spinato, né siepi altissime  a chiudere le villette e le basse abitazioni.

Nessuna inferriata o grata alle finestre -  larghe finestre alla quota stradale - nessuna porta blindata.

A Brielle – che mi fa pensare all’Irlanda, non so perchè -  sul marciapiede, davanti ad una finestra, uno scaffale con tanti barattoli di marmellata home made, una scatola di latta e un cartello con l’indicazione dei prezzi. Nessuno a vigilare.

Scegli il vasetto, lo prendi, metti i soldi nella cassetta e te ne vai.

Un modello improponibile alle mie latitudini.

Sui davanzali delle grandi finestre, schermate solo talvolta da tendine decorative, non mancano vasi con e senza fiori, piantine, statuine, sculture, cazzimpocchi.

Talvolta i davanzali sono talmente affollati di cose che viene il dubbio se dietro la finestra ci sia un’abitazione privata o un negozio di chincaglierie.

Poi butti l’occhio oltre il davanzale e vedi il divano su cui qualcuno legge o guarda la tv.

[penso ai bassi napoletani e alla mia inversa percezione della protezione dell’intimità] 

Balconi, cortili, terrazze, giardini, sono tutti attrezzati con poltroncine, tavolini, sedie a sdraio e ombrelloni.

Vorrei sapere quando se ne vedono bene, con la pioggia semiperenne.

Pioggia fine fine, a volte a scrosci, e un attimo dopo esce una lenza di sole, anche se per lo più tutto è grigio e per scattare una foto si aspetta l’attimo fuggente.

Rockaine è una delle località balneari più famose dell’Olanda meridionale, ci sono centinaia di lettini ripiegati uno sull’altro, ombrelloni a palma tristemente vuoti, ma un cuofano di gente – pochi in tenuta da bagno in verità - che si rilassa al freddo vento.

A me piacciono le dune e gli uccelli padroni della spiaggia.

Fingo di non vedere lo stabilimento balneare.

Se l’Olanda avesse dalla sua anche il clima benevolo, sarebbe davvero quasi un paradiso terrestre.

Un paradiso sottile come una piadina romagnola.

Mi spiego come un cocente desiderio di alterità la smisuratezza dei nuovi palazzi di Rotterdam (e non solo di Rotterdam), o la fama di Valkenburg -  una folla esagerata, molto più che nelle grandi città -  un paesino collinare nel sud dell’Olanda, che non mi sembra davvero niente di che. Ma il paesaggio è appena appena più verticale. 

A Rotterdam lo spirito di Escher, la compenetrazione tra più mondi, aleggia su tutta la nuova architettura.


I vetri e gli specchi sui grattacieli e sull’astronave che è il  depot Boijmans (una meraviglia), nel Markthal (il dentro visto da fuori e il fuori riflesso sul dentro) e anche, per le prospettive improbabili, nelle case cubiche.



Gli edifici o complessi di edifici iconici di Rotterdam sono davvero imperdibili.

A Gouda il giovedì, nella stagione estiva, nella piazza davanti allo Stadhius, si inscena con tanto di carretti e cavalli e giovani vestiti da antichi casari con zoccoli e cappellino, la vendita del formaggio.

Le grandi forme di plastica formano due ali di fronte al municipio. Il vero gouda si acquista alle bancarelle, che fanno ala alle ali del finto formaggio.

La pioggia non ferma la vendita né la messa in scena.  Ma con la pioggia è tutto più triste.

Lo stadhius, pur con le bandierine rosse, ha un inquietante aspetto gotico.

E meno male che la maggior parte dei Gouda hanno la paraffina gialla e non nera come l’Asiago o il Bella lodi. 

L’Aia, anzi Den Haag è una città  molto elegante, un salotto buono.


Lo si nota anche dai tipi seduti ai tavolini dei locali: in nessuna altra città dei paesi bassi ho notato così tante signore con  cappelli a faldone e  foulard (Ambrogio, un cioccolattino), e non solo nei dintorni della strada delle ambasciate.

Escher in Het Paleis (quanti disegni italiani!) e il Panorama Museum sono due musei assai belli.

Certo, il costo del biglietto del Panorama Museum sembra un po' esagerato per un solo quadro (c’è anche altro, ma è decisamente trascurabile), ma di dipinti così  non credo ce ne siano altri. Non immaginavo di trascorrere più di un’ora a guardare una sola opera.

Un po' per il trastulliamento davanti alle prospettive aliene di Escher, un po' per l’osservazione minuta del quadrone di paesaggio di Hendrik Willem Mesdag (14 metri di altezza e 120 metri di circonferenza), la riviera della città me la sono persa.

Vabbuò. Ma tanto per cambiare, anche a Den Haag piove e fa freddo.


La fredda estate nei Paesi Bassi. (1)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (2)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (4)

La fredda estate nei Paesi Bassi. (5)

La fredda estate nei Paesi Bassi.(2)

mercoledì 25 ottobre 2023

La fredda estate nei Paesi Bassi. (1)

Comincia a far freddo.  A questo punto non resta che ricordare i mesi estivi,  luglio e agosto 2023, in Olanda. Un ritaglio d'autunno in mezzo ad una  lunghissima estate. 

Arrivare con l’auto direttamente nei Paesi Bassi, (epi)centro del viaggio di quest’anno, non sarebbe stata  una pazziella, una vacanza, ma una smazzata  (manco i camionisti). 

Diviso il percorso e  moltiplicate le tappe, il risultato è stato tanti viaggi in uno.  Paesi Bassi e verso e da i Paesi bassi:  Modena, Como e dintorni, Colmar e dintorni, Friburgo e dintorni.  



Modena non era prevista, è stata infilata pochi giorni prima della partenza  [la vita è breve, meglio coglier al balzo tutte le occasioni], per fare l’esperienza di un ristorante stellato (monostellato, il firmamento non è alla mia portata). 

Sotto l’afoso  solleone, con pochissima gente per strada, mi ricorderò dei portici, rifugio ombroso, della memoria partigiana incardinata sulla torre Ghirlandina, simbolo della città, la cui visita – mappata di scalini – è stata ripagata non esclusivamente dalla vista a 360°  ma da un sollazzevole venticello percepibile solo alla  quota dell’ultimo piano.

[e le zanzare, ma quello sono un flagello che non ha nazionalità né campanile]




Del  variegato piccolo assaggio di alcune località del lago Lario, Abbadia Lariana, sul ramo di Lecco, è stata una casuale e bella scoperta. 

Spiaggia semideserta, più anatroccoli che persone, acque trasparenti, alberi, aucelluzzi.  Pace. 

Sarà stato il giorno infrasettimanale, sarà stata la tempesta mattutina che ha scoraggiato le gite fuori porta, sarà che la fortuna qualche volta passa. 

Qualche volta. 

La visita di Villa Monastero a Varenna, programmata in anticipo,  zompa: parcheggi full.  E allora si infila l’alternativa: Fiumelatte, il fiume dal corso più breve che c’è. 

Infatti non c’è proprio. 

Asciutto, completamente secco. Anche a risalire verso la sorgente, in una stradulella dove l’incuria impera,  si coglie solo un leggero umidore della terra che la rende culla per zanzare. 

L’arrivo in anticipo al punto di imbarco auto  da Varenna per Menaggio offre  la possibilità di ingannare l’attesa facendo un rapidissimo giretto. Un tempo  era borgo di pescatori. Un tempo. 

La passeggiata sul ponte degli innamorati ha poco di romantico, nel frenetico andirivieni di turisti; l’immaginazione ha la meglio sulla realtà. 

Menaggio, sul ramo di Como, è affollata di auto, di persone, di alberghi e ristoranti. 

Argegno è un borgo meno caotico. Un bel colpo d’occhio da lontano, ma aggirandosi tra i vicoli stretti del centro storico la percezione è di trascuratezza. 

E’ stata un’ottima scelta aver preferito come base  un paesino delle montagne, nella Val d’Intelvi, piuttosto che uno dei rinomati paesi fronte lago. 


[La folla s’addice ai centri commerciali.]  

E’ a Cerano d’Intelvi che mi sono resa conto della impari lotta – cronopio v/s fama – tra l’ambizione a voler essere  montanara e le abitudini cittadine. 



Camminate?
Chiede Orso, l’oste allevatore.Il Sentiero delle espressioni è la meta. 

A 20 minuti, recita il cartello, inizia il sentiero. A 5 minuti da lì, con il fiato corto e innumerevoli inciampichi e ruciulamenti, il dietro front. 

Obiettivo fallito ancor prima di avvicinarlo, stante una ripida salita sterrata,  adatta agli zoccoli delle  caprette, a piedi addestrati e non  ai miei sandaletti.

Eppure è  un sentiero facile. Ma quali camminatori. Passeggiatori urbani.

Urbani e di pianura. 

Liscio il caffè? Ho pensato che l’alternativa potesse essere schiumato, macchiato, lungo. Gli anziani a colazione lo bevono con la grappa.

Mio nonno  qualche volta, quando non era troppo vecchio e io assai bambina,  aggiungeva l’anice al caffè.  Poi di caffè corretti dalle parti mie non ne visti più.

Como città non avrebbe meritato uno sguardo di sfuggita. 

Meglio poco che niente:  Villa Olmo e la passeggiata Gelpi, il verde – alberi, panchine -  che punteggiano la cittadina sono rilassanti anche se animati;  freschi, belli. 

Molto meno attraenti le file maestose sotto il sole cocente agli imbarchi per i traghetti: i nebulizzatori proprio sull’uscio della biglietteria mentre il serpentone umano si allunga per metri e metri mi sono sembrati quasi uno sfottò [il premio per aver tanto patito]