giovedì 7 aprile 2011

Vanitá

Una chiesa, poggiata con la sua pianta a farfalla -  muri tondeggianti  come ali spezzate - lungo il corso di un quartiere di periferia. (munnezza,  tutt'attorno, e caos e strepiti di macchine, motorini e voci).
Bassa e bianca tra  anonimi palazzi.
L'oratorio è al piano interrato, vi si accede da una porticina posta su un'ala.
Dentro, un disimpegno su cui affacciano delle stanze.
Il disimpegno è  decorato con pitture murali dipinte in modo fumettistico ed essenziale, colori a larghe campiture e contorni netti: pecorelle e buon pastore, natività, santi indistinti tra erbette e nuvolette e pecorelle (invito alla mansuetudine).
Defilato, quasi nascosto dalla porticina, un ritratto: il parroco.
Abito blu con collarino bianco, braccia larghe lungo i fianchi, ciuffo ribelle, occhiali con montatura di metallo, guance rubiconde, sorriso ebete.
E' proprio lui, non ci si può confondere.
Il pittore è stato fedelissimo, ma gli ha reso omaggio alleggerendolo di una decina di chili.
L'immagine conta, l'occhio deve avere la sua parte.
Il parroco sua santità/vanità.

(meglio pazziare a pallone miezz 'a via)




2 commenti:

  1. però, insieme ai dieci chili il sorriso ebete glielo poteva togliere a sua santità /vanità

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  2. Forse quello che per me è ebete per lui è rassicurante.

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