venerdì 22 aprile 2011

Zobeide

Erano pochi, ma davvero pochi,  quelli che avevano la grazia nella mano.
Invidiavo la capacità straordinaria di mettere sul foglio le immagini mentali (l’interno di un appartamento,  l’iperuranio platonico,  la sinuosità di una fanciulla mentre corre in un campo di papaveri).
I più erano bravi copisti (scopiazzatori)  e assemblatori, o tecnici della matita e delle squadrette.
(E figura disegnata,  la materia del ritrarre dal vero le  veneri  in gesso senza naso, e i corpi semimobili dei compagni scelti a turno, e delle modelle - l’informità  pesante avvolta nel cappottone con collo di pelliccia della modella grassa e la rigidità spigolosa, occhiali quadrati compresi, di quella magrissima.) 
Anni di ruggine. 
E poi d’un tratto, una voglia irrefrenabile di disegnare.
Un fremere della mano.  Come inseguire  un antico sogno.
“Nella disposizione delle strade ognuno rifece il percorso del suo inseguimento;  nel punto in cui aveva perso le tracce della fuggitiva ordinò diversamente che nel sogno gli spazi e le mura in modo che non gli potesse più scappare. Questa fu la città di Zobeide in cui si stabilirono aspettando che una notte si ripetesse quella scena. Nessuno di loro, né nel sogno né da sveglio, vide mai più la donna. “
Italo Calvino  - Le città invisibili.

Non riuscirò mai a disegnare Despina, né Sofronia.

3 commenti:

  1. Mai riuscito a quagliare qualcosa con linee, punti e spessori, e il peggior contrappasso è "vedere" nella tua testa il disegno e non riuscire a trasportarlo! Ho perso le speranze migliari e migliari anni fa'

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  2. È vero quello che dice The Champ la cosa peggiore è vedere chiaramente il disegno,ma non riuscire a guidare la mano fino a compierlo.Ti invidio.

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